Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/100

94 filippo
Filippo In cosí acerba etá, deh! come giunto

sei di perfidia al piú eminente grado?
D’iniquitá dove imparata hai l’arte,
che, dal tuo re colto in sí orribil fallo,
neppur di aspetto cangi?
Carlo   Ove l’appresi?
Nato in tua reggia...
Filippo   Il sei, fellon, per mia
sventura ed onta...
Carlo   Ad emendar tal onta,
che tardi or piú? che non ti fai felice
col versar tu del proprio figlio il sangue?
Filippo Mio figlio tu?
Carlo   Ma, che fec’io?
Filippo   Mel chiedi?
Tu il chiedi a me? Non ti flagella dunque
rimorso nullo?... Ah! no; giá da gran tempo
nullo piú ne conosci; o il sol che senti,
del non compiuto parricidio il senti.
Carlo Parricidio! Che ascolto? Io parricida?
Ma, né tu stesso il credi, no. — Qual prova,
quale indizio, o sospetto?...
Filippo   Indizio, prova,
certezza, io tutto dal livor tuo traggo.
Carlo — Non mi sforzar, deh! padre, al fero eccesso
di oltrepassar quella terribil meta,
che tra suddito e re, tra figlio e padre,
le leggi, il cielo, e la natura, han posto.
Filippo Con sacrilego piè tu la varcasti,
gran tempo è giá. Che dico? ignota sempre
ti fu. D’aspra virtú gli alteri sensi
lascia, che mal ti stan; qual sei, favella:
svela del par gli orditi, e i giá perfetti
tuoi tradimenti tanti... Or via, che temi?
Ch’io sia men grande, che non sei tu iniquo?
Se il vero parli, e nulla ascondi, spera;