VI. - La conoscenza imperfetta

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Baruch Spinoza - Etica (1677)
Traduzione dal latino di Piero Martinetti (1928)
VI. - La conoscenza imperfetta
Libro Secondo - V Libro Secondo - VII
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VI. — La conoscenza imperfetta.


1) Le proposizioni 24-36 trattano ora dell’imperfe­zione della nostra conoscenza, la quale non è mai una conoscenza adequata, cioè una conoscenza di sè e delle cose come sono in Dio, ma una conoscenza parziale che considera le cose soltanto in quei rapporti accidentali che sono le loro affezioni. Il nostro corpo è un complesso organico d’individui relativamente indipendenti: ogni affezione corporea (cui corrisponde un’affezione spiri­tuale, un’idea) è un’affezione d’una parte del corpo che si riflette poi su tutto il corpo. Ora la conoscenza delle affezioni delle parti del nostro corpo è una conoscenza che apprende queste parti solo nelle modificazioni loro da parte delle cause esterne, quindi una conoscenza di queste parti unitamente alle cause empiriche che le mo­dificano: perciò una conoscenza che non apprende per­fettamente nè il corpo, nè le cause agenti su di esso, in quanto in essa sono confuse e la parziale conoscenza del nostro corpo e la parziale conoscenza delle cause esterne (prop. 24-28).

Prop. 19. L’anima umana non conosce il corpo umano in se stesso e non sa che esiste, se non per le idee delle affezioni onde il corpo è affetto.

Prop. 25. L’idea d’un’affezione qualunque del corpo umano non involge la conoscenza adequata del corpo esterno.

Prop. 27. L’idea d’un’affezione qualunque del corpo umano non involge la conoscenza adequata dello stesso corpo umano.

Lo stesso deve dirsi quanto alla conoscenza che l’anima ha di se stessa (prop. 29).

Da ciò segue che la mente umana tutte le volte che apprende le cose secondo l’ordine comune della natura non ha nè di sè, nè del suo proprio corpo, nè dei corpi esterni una conoscenza adequata, ma solo una conoscenza mutila e confusa. La mente [p. 58 modifica]infatti non conosce se stessa quando apprende le affezioni del corpo, non apprende il suo corpo se non per mezzo delle idee delle affezioni del corpo ed è anche solo per mezzo di queste che percepisce i corpi esterni: perciò in quanto essa ha queste idee delle affezioni del corpo, essa non ha una conoscenza ade­quata nè di se stessa, nè del suo corpo, nè dei corpi esterni, ma soltanto una conoscenza mutila e confusa. (Et., II, 29, scol.).

Questa conoscenza, per la quale la mente nostra vede sè, il proprio corpo e le cose esterne solo nelle affezioni proprie, è da Spinoza detta imaginatio: che è in fondo la conoscenza sensibile ordinaria, quella che altrove chiama la conoscenza di primo grado. «Quando la mente umana contempla i corpi esterni per le idee delle affezioni del suo corpo, allora diciamo che essa immagina». (Et., II, 26, coroll., dim.).

2) Nelle due proposizioni seguenti (prop. 30-31) Spi­noza mostra che questa conoscenza inadequata è ap­punto la causa per la quale le cose ci appariscono nel­l’esistenza temporale come mutabili e contingenti. Ogni modo, in quanto è in Dio, è per sè eterno ed esiste ne­cessariamente: quando invece il modo, in quanto sepa­rabile, appare a sè come un essere singolo ed ignora la sua vera natura e la sua unità con le cose in Dio (cioè, secondo il linguaggio di Spinoza, è in Dio in quanto Dio è considerato come affetto dalla rappresentazione particolare di questo o di quell’essere), allora esso identifica sè con certi momenti dell’essere suo, dipendenti da determinate cause; perciò trasforma sè in un essere dall’esistenza limitata ed incerta, contingente e corruttibile: e lo stesso fa delle altre cose.

3) Nelle prop. 32-36 Spinoza tratta della causa di questa imperfezione del conoscere e ci dà la sua teoria dell’errore.

Prop. 32. Tutte le idee, in quanto si riferiscono a Dio, sono vere.

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Prop. 33. Non vi è nelle idee nulla di positivo per cui sian dette false.

Prop. 34. Ogni idea che è in noi assoluta, cioè adequata e perfetta, è vera.

Prop. 35. La falsità consiste nella privazione della cono­scenza che implicano le idee inadequate, cioè mutile e confuse.

Alla teoria dell’errore si è già accennato nel libro 1° (V, 3). Tutto in Dio è vero: tutte le idee sono vere in quanto si riferiscono a Dio nella sua realtà assoluta (e non solo a Dio come esistente limitatamente nella mente umana) perchè allora costituiscono un ordine in sè perfetto, parallelo e rispondente all’ordine delle cose reali. Onde se, anche nella nostra condizione presente, vi può essere in noi qualche idea o concatenazione di idee, che è così come è in Dio, essa è vera. L’errore non è nulla di positivo: non è che una privazione ed una limitazione dovuta all’impotenza del senso, che ap­prende una realtà monca e fa di essa la totalità. Spi­noza ce ne dà due esempi, tra i quali quello dell’illu­sione della libertà.

Gli uomini errano in quanto si credono liberi: e quest’opi­nione consiste in ciò solo che sono conscii delle loro azioni ed ignari delle cause che li determinano. Questa è adunque la loro idea della libertà, che non conoscono alcuna causa delle proprie azioni. Perchè quello che essi dicono e cioè che le azioni umane dipendono dalla volontà, sono parole a cui non annettono alcun senso. Poiché tutti ignorano che cosa sia la volontà ed in che modo muova il corpo: quelli che hanno più alte pretese e fan­tasticano d’una sede o d’una dimora dell’anima, non destano che riso e sprezzo. — Così quando noi guardiamo il sole, imma­giniamo che sia distante da noi circa duecento piedi: e l’errore non consiste qui in questa sola immaginazione sensibile, ma in ciò, che mentre ci formiamo quest’immagine, ignoriamo la vera sua distanza e la causa di questa illusione del senso. Perchè sebbene in appresso conosciamo che dista da noi più di seicento diametri terrestri, non lascieremo per questo di rappresentarcelo coi sensi come vicino a noi; ed invero noi non [p. 60 modifica]ci rappresentiamo il sole così vicino perchè ignoriamo la vera sua distanza, ma perchè l’affezione del nostro corpo involge l’essenza del sole unicamente in quanto il nostro corpo è affetto dallo stesso. (Et., II, 35, scol.).

Anche il sistema delle nostre idee imperfette non è tuttavia un caos sconnesso: in quanto l’imperfezione loro è solo una deficienza, ciò che hanno di vero e di positivo procede da Dio con la stessa necessità con cui ne procede il sistema delle idee adequate: il che fa sì che anch’esse hanno una concatenazione empirica ne­cessaria, che è un riflesso della concatenazione divina (prop. 36).