Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 42
Questo testo è completo. |
◄ | Epistole | Lettera 43 | ► |
A M. NICOLÒ
PRIORE DELLA PROVINCIA DI TOSCANA 1.
I. L’esorta ad armarsi dell’armi dell’amore per combattere contro i vizj, e poter poi arrivare allo stato di perfezione, al quale Dio lo chiamava, cioè a combattere virilmente contro gl’infedeli per acquistar l’anime loro alla fede di Gesù Cristo; onde lo prega ad avere in ciò l’amore di Gesù Cristo davanti gli occhi, con cui vinse la morte del peccato con la sua morte, e c’acquistò la salute.
Lettera 42.
Al nome di Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
I. Carissimo figliuolo in Cristo dolce Jesù. Io Catarina, serva e schiava de’servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cavaliere virile spogliato dell’amore proprio di voi medesimo e vestito dell’amore divino; perchè il cavaliere che è posto per combattere in sul campo della battaglia, debbe essere armato dell’arme dell’amore che è la più forte arme che sia, e non basterebbe che l’uomo fosse armato solamente di corazze e di panciera, perocchè spesse volte diverrebbe, che se non avesse l'arme dell'amore, ed il desiderio d’appetire onore, e volere sapere la cosa per la quale egli combatte, subito che egli vedesse i nemici, temerebbe e volgerebbe il capo a dreto. Così vi dico, che l’anima che comincia ad entrare nel campo della battaglia per combattere coi vizj, col mondo, col dimonio e con la propria sensualità, se non s’arma dell’amore della virtù, e non si reca il coltello in mano dell’odio, e della vera e santa coscienzia fondata in amore divino, già mai non combatte, ma viensi meno, e come negligente persona che è armata della propria sensualità, si pone a giacere dormendo nei vizj e nei peccati. Questa è quella arme gloriosa che scampa l’uomo dalla morte eternale, e gli dà lume, e tollegli la tenebre, e da stato bestiale viene a stato d’uomo, che colui che vive nei vizj, e nei peccati, e nella molta immondizia, egli prende i costumi e la forma delle bestie, che come la bestia non ha in sè ragione, anzi va secondo gli appetiti suoi: così l’uomo che è fatto bestiale, ha perduto il lume della ragione, e lasciassi guidare a movimenti carnali, ed agli disordinati appetiti che gli vengono, e tutto il suo diletto non è in altro che in disonestà ed in ben mangiare e bere, in delicatezze, delizie, stati ed onori del mondo, i quali tutti passano come il vento. Costui non è cavaliere vero, e non è da ricevere i colpi, perchè s’è messa l’arme della morte, e posta in sè la condizione dell’animale. Questo non voglio tocchi a voi, ma voglio che virilmente e realmente siate uomo, e non tanto che uomo, ma crescendo in virtù, avendo combattuto già co’vizj, come detto è, vegnate a stato angelico voi e la vostra compagnia, siccome Dio v’ha chiamati; che voi sapete che lo stato umano 2 è lo stato del matrimonio; a stato angelico sete voi e la vostra religione, siccome gli altri religiosi i quali ha posti nello stato della continenzia; non sarebbe cosa convenevole, anzi sarebbe spiacevole a Dio ed abbominevole al mondo, che voi, che sete chiamati ed andate alla maggiore perfezione, che non tanto che in stato umano o in stato angelico, ma voi sete posti nello stato de’gloriosi martiri 3, posti a dare la vita per Cristo crocifisso; che voi foste poi nello stato delle bestie, molto sarebbe spiacevole a mescolare grande tesoro col brutto e miserabile loto. Orsù virilmente, senza veruno timore servile, alle due battaglie che Dio v’ha posto; la prima è la battaglia generale data ad ogni creatura che ha in sè ragione, che come siamo in tempo da discernere il vizio dalla virtù, così siamo attorniati da’nemici nostri, cioè dal dimonio e dalla propria carne, e perversa sensualità, che sempre impugna contro lo spirito, ma con l’amore della virtù ed odio del vizio gli sconfiggerete. L’altra battaglia è in particolare data a voi per grazia 4, della quale ognuno non è fatto degno, alla quale battaglia vi conviene andare armato, non solamente d’armatura corporale, ma dell’arme spirituale, che se non aveste l’arme dell’amore dell’onore di Dio, e desiderio d’acquistare la città dell’anime tapinelle infedeli, che non participano il sangue dell’agnello, poco frutto acquistereste con l’arme materiale; e però io voglio, carissimo padre e figliuolo, che voi con tutta la vostra compagnia vi poniate per obietto Cristo crocifisso, cioè il sangue prezioso dolcissimo suo, il quale fu sparto con tanto fuoco d’amore per torci la morte e darci la vita, acciocchè pienamente in grande perfezione venga in effetto quello, perchè voi andiate e riceviate il grandissimo frutto, cioè frutto di grazia e di vita, che dalla grazia giugniamo alla vita durabile. Imparate da questo consumato e svenato Agnello, che in su la mensa della croce, non raguardando la sua fatica, nè la sua amaritudine, ma con diletto del cibo, dell’onore del Padre, e salute nostra, si pose a mangiarlo in su la mensa dell’obbrobriosa croce; e siccome innamorato dell’onore del Padre eterno e della salute dell’umana generazione, egli sta fermo e costante, e non si muove per fatiche, nè strazj, nè ingiurie, nè scherni, nè villanie, non per nostra ingratitudine che si vedeva dare la vita per uomini ingrati e sconoscenti di tanto beneficio. Il Re nostro fa come vero cavaliere, che persevera nella battaglia, infino che sono sconfitti i nemici; e preso questo cibo, con la carne sua flagellata sconfisse il nemico della carne nostra; con la vera umiltà, umiliandosi Dio all’uomo; con la pena ed obbrobrio, sconfisse la superbia, le delizie e stati del mondo: con la sapienzia sua vinse la malizia del dimonio, sicchè con la mano disarmata, confitta e chiavellata in croce, ha vinto il principe del mondo, pigliando per cavallo il legno della santissima croce. Venne armato questo nostro cavaliere colla corazza della carne di Maria, la quale carne ricevette in sè colpi per riparare alle nostre iniquità; l’elmo in testa, la penosa corona delle spine affondata infino al cerebro; la spada allato, la piaga del costato che ci mostra il segreto del cuore, la quale è uno coltello, a chi ha punto di lume che debba trapassare il cuore, e l’interiora nostra per affetto d’amore; la canna in mano per derisione, e guanti in mano, e gli sproni in pie’sono le piaghe vermiglie delle mani e delli piedi di questo dolce ed amoroso Verbo. E chi l’hae armato? l’amore. Chi l’ha tenuto fermo, confitto e chiavellato in croce? non i chiodi, nè la croce, nè la pietra, nè la terra tenne ritta la croce, che non erano sufficienti a tenere Dio ed uomo, ma il legame dell’amore dell’onore del padre e salute nostra; l’amore nostro fu quella pietra che’l levò e tenne ritto; quale sarà colui di sì vile cuore, che raguardando questo capitano e cavaliere rimasto insiememente morto e vincitore, che non si levi la debilezza dal cuore, e non diventi virile contro a ogni avversario? veruno sarà, e però vi dissi io, che vi poneste per obietto Cristo crocifisso: tingete la sopravesta nel sangue di Cristo crocifisso, e con esso sconfiggerete i primi nemici, ciò nella prima battaglia detta, perchè già gli ha sconfitti per noi, ed hacci fatti liberi, traendoci dalla perversa servitù del dimonio, e se ci volesse assalire, subito ricorriamo all’arme del Figliuolo di Dio. Morti i vizj nell’anima, e voi mangerete il cibo, e sarete fatto gustatore e mangiatore dell’onore di Dio e salute del prossimo vostro, e con questa fame seguiterete l’Agnello per potere avere questa dolce preda, la quale per affètto d’amore vi dovete immaginare d’avere, nè per pena, nè per morte, nè per veruno caso che possa addivenire, voi il lascierete, nè volgerete il capo a dietro. Oh quanto è gloriosa questa battaglia, che essendo vinto vince, e già mai non rimane perditore; guarda già che non fosse sì vile, che volgesse le spalle, ma chi persevera, sempre vince, e fa come fece il Figliuolo di Dio, che giocando in su la croce alle braccia con la morte, la vita vinse la morte, e la morte la vita; dando la vita del corpo suo, destrusse la morte del peccato, con la morte vinse la morte; e la morte vinse la vita, perchè il peccato fu cagione della morte del Figliuolo di Dio. Odi, dolce gioco e torniello ch’egli ha fatto, voi che sete eletti a questo medesimo in su la croce del desiderio dell’onore di Dio e ricompramento dell’anime infedeli, dovete giocare con la morte della infedelità colla vita del lume della fede: se rimanete morti, questa è l’ottima parte che la morte sarà vincitrice della morte, siccome vediamo che il sangue de’martiri dava la vita agl’infedeli ed a malvagi tiranni, e se vinto senza sangue, anco vinco, cioè che se Dio non permettesse che rimanesse la vita, non è però dimeno la vittoria, sicchè bene è gloriosa. Ma non sarebbe gloriosa per gli matti e simplici che andassero solamente per fumo 5, e propria utilità sensitiva; costoro poco farebbono, e per piccola derrata, darebbono grande prezzo; darebbono il prezzo della vita loro per lo miserabile fumo del mondo. Costoro ricevono il merito loro nella vita finita. Costoro sono armati del vestimento dell’amore proprio di sè medesimi, e non sono uomini da fatti, ma sono uomini da vento, e così si volgeranno come foglia senza veruna fermezza e stabilità, perchè egli non hanno l’obietto di Cristo crocifisso, nè prese l’arme della vita. Il desiderio mio è che siate cavaliere vero voi e gli altri vostri compagni; e però dissi io, ch’io desideravo di vedervi cavaliere virile posto in questo glorioso campo. Spero per la infinita bontà di Dio, che voi adempirete la voluntà sua che vi richiede, così il desiderio mio. Altro non dico. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, e nascondetevi nelle piaghe dolcissime sue, e per scudo togliete la santissima croce. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore.
Annotazioni alla Lettera 42.
- ↑ [p. 13 modifica](A) Il testo a penna della gran Certosa di Pavia dà il titolo di questa lettera così: a Messer Frier Nicolò priore de’Frieri della provincia di Toscana. Dal quale si rileva, che questo Nicolò era priore di qualche ordine cavalleresco, costumandosi di dar del Friere in Italia a’cavalieri delle religioni; e debb’essere degli Ospitalieri, o cavalieri di s. Giovanni, non avendo che fare in Italia alcun altro ordine cavalleresco a’tempi di santa Caterina. Questo Nicolò è quegli che tolse a’Sanesi il luogo di Talamone a nome della Chiesa, per cui ricoverare mandarono questi ambasciatori alla Chiesa, come è detto alla lettera 22.
- ↑ [p. 13 modifica](B) Che voi sapete che lo stato umano, ec. Questo passo nell’antica impressione d’Aldo leggesi sì malconcio per balordaggine dello stampatore, che non poteavisi raffigurare il vero sentimento.
- ↑ [p. 13 modifica](C) Voi sete posti nello stato de’gloriosi martiri. S. Bernardo, s. Antonino ed altri autori citati da Teofilo Rainaudi, hanno dato il titolo di martiri a quei che danno la vita, combattendo a difesi della cattolica fede. I più degli autori però non glie’l consentono, se prendasi questo nel suo più stretto significato; onde reputano convenir loro il bell’aggiunto di martiri per una tal quale corrispondenza di proporzione, cioè che come i martiri danno il sangue e la vita in testimonio della fede per l’amore intenso, c’hanno a Cristo Signor nostro; così i soldati, a difesa dalla vera religione, esponendosi a morire, sembrano ardere d’uno stesso fuoco di carità; onde perciò ella dice essere questi cavalieri posti nello stato dei gloriosi martiri, facendosi d’alcuna maniera a loro simiglianti. Veggasi intorno a ciò il Rainaudo al luogo accennato. Lo stesso titolo di martiri dassi da questa vergine a’soldati, che presa aveano a difendere colle armi la causa d’Urbano VI contro gli scismatici, il che riesce forte agro al gusto del Maimburg.
- ↑ [p. 13 modifica](D) L’altra battaglia è in particolare data a voi per grazia. Ad eseguire la risoluzione presagli nell’assemblea d’Avignone del 1376, si portarono diversi cavalieri a Venezia, a prendervi imbarco, come s’osservò nell’annotazioni alla lettera 13, e di bel nuovo s’avvertirà in quelle della lettera 220, e questo signore eravi pure andato a darvi gli ordini opportuni a questo passaggio. Stimo perciò essere questa lettera de’primi mesi dell’anno 1377.
- ↑ [p. 13 modifica](E) Ma non sarebbe gloriosa per gli matti e simplici che andassero solamente per fumo. Se al numero, al valore e alla magnanimità de’cavalieri crociati fosse sempre andata del pari la disciplina, la concordia, e nei condottieri la perizia, non lamenteremmo fallite di esito spedizioni, alle quali le più belle provincie dell’Asia [p. 14 modifica]dovrebbero la vita loro religiosa e civile. Per poco che altri ponga mente alla infelicissima condizione dei popoli della Grecia, Asia, Siria, ed Egitto, dappoichè sono sotto il dominio arabo e turchesco, se non è egli pazzo, non potrà dare il nome di pazzia agli sforzi generosi de’ nostri padri per migliorare il destino di quelle misere contrade.