Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 38
Questo testo è incompleto. |
◄ | Lettera 37 | Lettera 39 | ► |
» 23o AD UN GRAN PRELATO (A * / I. Dello zelo della salute de’prossimi che dobbiamo avere, consideraodo il desiderio e la faine ch’ebbe della nostra salute Gesù Cristo in croce, ed in tutta la sua vita, ed ha sem* pre, conforme manifestò ad una sua dirotissima serva, onde esorta il detto prelato ad annegare la propria volontà, cercando la salute deU’anime, ed amando Dio tutto per gloria sua, non per propria utilità.
II. Dei disordini che cagiona nella santa Chiesa 1’ amor proprio de’ prelati, ed il non riprendere li sudditi; onde lo stimola a destarsi da una tal negligenza, confidando nella divina bontà e nel sangue di Gesù Cristo.
Al nome di Jesà Cristo crocijisso e di Maria dolce.
I. H^everendo e carissimo padre in Cristo Jesù.
Io Catarina, serva e schiava de* servi di Jesù Cristo crocifisso, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi affamato del cibo della creatura per onore di Dio, imparando dalla prima dolce Verità, che per fame e sete che egli ha della nostra salute muore. Non pare che questo Agnello immaculato si possa saziare, grida in croce satollato da obbrobrj, e dice che ha sete: poniamo che corporalmente esso avesse sete, ma maggiore era la sete del santo desiderio che egli aveva della salute ddl’anime. 0 inestimabile dolcissima carità, e non pare che tu dia tanto, 23 I dandoti a tanti tormenti, che non rimanga maggiore il desiderio che egli uvea della salute dell’anime, di più volere dare tutto; n’è cagione l’amore, non me ne maraviglio che l’amore tuo era infinito, e la pena era finita, e però gli era maggiore la croce del desiderio che la croce del corpo. Questo mi ricordo, che il dolce e buono Jesù manifestava una volta ad una serva sua; vedendo ella in lui la croce del desiderio e la croce del corpo, ella dimandava, Signore mio dolce, quale ti fu maggiore pena, o la pena del corpo, o la pena del desiderio. Egli rispondeva dolce e benignamente, e diceva: Figliuola mia, non dubitare, che io ti fo sicura di questo, che veruna comparazione si può fare dalla cosa finita alla cosa infinita.
Cosi ti pensa, che la pena del corpo mi fu finita, ma il santo desiderio non finisce mai, però io portai la croce del santo desiderio; e non ti ricorda, figliuola mia, che una volta, quando ti manifestai la mia natività, tu mi vedevi fanciullo parvolo nato con. la croce al collo? perch io ti fo sapere, che come io parola incarnata fui seminata nel ventre di Maria, mi si cominciò la croce del desiderio ch’io avevo di fare 1 obedienzia del Padre mio, e d’adempire la sua volunth nell1 aomo, cioè, che l’uomo fusse restituito a grazia e ricevesse il fine pel quale egli fu creato.
Questa croce m’era maggiore pena che veruna altra pena che io portassi mai corporalmente, e però lo spirito mio esultò con grandissima letizia, quando mi vidi condotto all’ultimo e specialmente nella cena del giovedì santo, e però dissi, con desiderio ho desiderato, cioè, di fare questa pasqua, di fare sacrificio del corpo mio al Padre. Grandissima letizia e consolazione avevo, perchè vedevo appareech.are il tempo, disposto a tormi questa croce del desiderio, cioè, che quanto più mi vidi giugnere a’ flagelli ed a’ tormenti corporali, tanto mi scemava più la pena; che con la pena corporale si cacciava la pena del desiderio, perocché vedevo adempito quello che io desideravo. Ella rispon» 232 deva e diceva: o Signor mio dolce, tu dici che questa pena della croce del desiderio ti si partì in croce.
In che modo fu? or perdesti tu il desiderio di me?
Ed egl» diceva, figliuola mia dolce, no, che morendo io in su la croce, terminò la pena del santo desiderio ad un’ora con la vita, ma non terminò il desiderio e la fame che io ho della salute vostra, che sé l’amore ineffabile che io ebbi ed ho all’ umana generazione fusse terminato e finito, voi non sareste; perocché, come l’amore vi trasse dal seno del Padre mio,’ creandovi con la sapienzia sua, così esso amore vi conserva, che voi non sete fatti d’altro che d’amore.
Se ritraesse a sè l’amore con quella potenzia e sapienzia, con la quale egli vi creò, voi non sareste.
Io, unigenito Figliuolo di Dio, sono fatto un condotto che vi porge l’acqua della grazia. Io vi manifesto l’affetto del Padre mio, perocché quello affetto che egli lia ed io ho, è quello che ho io: egli ha, perchè sono una cosa col Padre, ed il Padre è una cosa con meco, e per mezzo di me ha manifestato sè, e però dissi io: ciò che ho avuto dal Padre, io ho manifestato a voi, d’ ogni cosa *»’ è cagione 1’ amore. Adunque ben vedete, reverendo padre, che il dolce e buono Jesù amore, egli muore di sete o di fame della salute nostra.
lo vi prego per l’amore di Cristo crocifisso, che voi vi poniate,per obietto la fame di questo Agnello.
Questo desidera l’anima mia di vedervi morire per santo e vero desiderio, cioè, che per l’affetto ed amore che voi arete all’onore di Dio, salute dell anime ed esaltazione di santa Chiesa, ho voluntà di vedervi tanto crescere questa fame, che sotto questa fame rimaneste morto; che come il Figliuolo di Dio,» come detto abbiamo, di lame morì; così voi. rimagnate morto a ogni amore proprio di voi medesimo, ed a ogni passione sensitiva rimanga morta la voluntà e l’appetito, stati e delizie del mondo, al piacere del secolo e di tutte le pompe sue. Non dubito, che so l’occhio del.cognoscimento si volge a riguardare voi 233 medesimo, cognoscendo voi non essere, troverete Tessere vostro dato a voi con tanto fuoco d’amore. Dico che il cuore e l’affetto vostro non potrà tenersi, che non si spasmi per amore: non ci potrà vivere amore proprio, non cercherà sè per sè per propria sua utilità, ma cercherà sè per onore di Dio. nè’l prossimo per sè, per utilità propria; ma amarallo, e desidererà la salute sna per loda e gloria del nome di Dio; perchè vede che Dio sommamente ama la creatura; e questa è la cagione che subito li servi di Dio amano tanto la creatura, perocché veggono sommamente che l’ama H Creatore, e la condizione dell’amore, è d’amare quello che ama colui che io amo; dicono, che 11011 amano Dio per sè, ma amanlo in quanto è somma ed eterna Bontà degno d’essere amato. Veramente, padre, che costoro hanno messo a uscita la vita, perchè non pensano di loro più, e^li non vogliono altro che pene, strazj, tormenti e villanie, eli» hanno in dispregio tutti li tormenti del mondo, tanto è maggiore la croce e pena che portano di vedere l’offesa ed il vituperio di Dio, e la dannazione delle creature, ed è sì grande questa pena, che dimenticano il sentimento della \ita propria, e non tanto che fuggano le pene, ma essi se ne dilettano e vannole cercando. Accoidansi con quello dolce innamorato di Faulo, che si gloriava nelle tribulazioni per l’amore di Cristo crocifisso. Or questo dolce banditore voglio e pregovi che seguitiate.
II. 0 imè, oimè, disavventurata l’anima mia, aprite l’occhio e raguardate la perversità della morte, che è venuta nel mondo, e singularmente nel corpo della santa Chiesa. Oimè, scoppi il cuore e l’anima vostra a vedere tante offese di Dìo. Vedete, padre, die’i lupo infernale ne porta la creatura, le pecorelle che si pascono nel giardino della santa Chiesa, e non si t^ova chi si muova a trargliele di bocca. Li pastori dormono nell’amore proprio di loro medesimi in una cupidità ed, immondizia (/?) -: sono sì ebbrj di super234 bia, che dormono e non si sentono, perchè veggano che il diavolo, lupo infernale, se ne porti la vita della grazia in loro, ed anco quella de’sudditi loro, essi non se ne curano, e tutto n’è cagione la perversità dell’amore proprio. 0 quanto è pericoloso questo amore nelli prelati e nelli sudditi. Se gli è prelato ed egli ha amore proprio, egli non corregge il difetto de’suoi sudditi, perocché colui che ama sè per sè, cade in timore servile, e però non riprende; che se egli amasse sè per Dio, non temerebbe di timore servile, ma arditamente con virile cuore riprenderebbe li difetti, e non tacerebbe,. nè farebbe vista di non vedere. Di questo amore voglio che siate privato, padre carissimo. Pregovi che facciate sì, che non sia detta a voi quella dura parola con riprensione dalla prima. Verità, dicendo: Maledetto sia tu, che tacesti.
Oimè non più tacere, gridate con cento migliaja di lingue: veggo, che per tacere il.mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita, toltoli è il colore, perchè li è succhiato il sangue da dosso, cioè, che il sangue di Cristo, che è dato per grazia e non per debito, egli sei furano con la superbia, tollendo 1* onorejche debba essere di Dio, e datinolo a loro, e si ruba per simonia, vendendo i doni e le grazie (C) che ci son dati per grazia, col prezzo del sangue del Figliuolo di Dio. Oimè eh* io muojo, e non posso morire: non dormite più in negligenzia; adoperate nel tempo presente ciò che si può: credo che vi verrà altro tempo, che anco potrete più adoperare; ma ora pel tempo presente v’invito a spogliare l’anima vostra d’ogni amore proprio, e vestirla di fame e di virtù reale e vera, a onore di Dio e salute dell9anime. Confortatevi in Cristo Jesù, dolce amore, che tosto vedremo apparire i fiori: studiate che il gonfalone della croce tosto si levi, e non venga meno il cuore e lo affetto vostro per veruno inconveniente che vedeste venire; ma più allora vi confortate, pensando che Cristo crocifisso sarà il facitore ed adempitole degli 235 spasmati desiderj de’servi di Dio. Non dico più. Permanete nella santadolce dilezione di Dio Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso: ponetevi in croce con Cristo crocifisso; nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso: fatevi bagno nel sangue di Cristo crocifisso. Perdonate, padre, alla mia presunzione. Jesù dolce. Jesù amore. .
236 ,, ; (, | i, g | jj mi ,u Annotazioni alla, Lettera 3S* ’ r.. * ’.. ’ (A) Non avendosi in veruno degli esemplare stampati, come nè pure in alcuno de’ testi a pènna, ’l nome di questo prelato, sarebbe temerità il volersi dare ad indovinare a chi di verità’sia indirizzata questa lettera. Forse a bello studio non ri fu posto il nome, perchè era infetto di que’vizj che acerbamente riprendonsi dalla santa.
(B) Li pastori dormono nelV amore proprio di loro medesimi in una cupidità ed immondizia. Che dagli ecclesiastici di qne’tempi si menasse vita dissoluta, e singolarmente immersa nelle lascivie, continuo lamentasene il Signore per bocca della santa in più d’ nn luogo nel libro ch’ella scrisse del Dialogo; ed essa pure in molte delle sue lettere ne fa lamento. Oltre la testimonianza arrecata già nelle note alla lettera 3i, si potrebbero addurre più luoghi del Petrarca a far conoscere la lar„a vita degli ecclesiastici di quel tempo. Il Baluzio francese rigetterebbe la maggior colpa sopra gli Italiani. Si osserva però, che in quanto è alla corte pontificia e ai cardinali, quella era in Francia e questi i più francesi.
(C) Si ruba per simonia, vendendo i doni e le grazie. Di-questo sacrilego eccesso incolpa in altre sue lettere sauta Caterina gli ecclesiastici di que’ tempi. Urbano VI, che severissimo si mostrò contro d’ esso, ne* primi giorni dopo la sna elezione, fece acerbe minacce a’cardinali, se caduti fossero nel vizio di simonia. Il Petrarca nella lettera decimascsta, non lasciò d’ annoverarla tra gli altri errori che correano per la corte d’ Avignone a quel tempo.
Tacco, dice egli, haereditatem siinonis, et illam haeresis speciem non ultimam, Spiritus Sancti dona vendentiiim. Venne purgata di sì brutta macchia la corte romana dal zelo e dalla severità d’Urbano VI, come pur confessano gli stessi suoi avversar*).
I 23; A NICOLÒ DA OS IMO (A).
). L’esorta ad essere colonna ferma di santa Chiesa, non schivando alcuna fatica per lei, per nessuna molestia o tentazione contraria del demonio, mostrando il modo di rispondere a tali tentazioni.
II. Conferma il sopra detto con una rivelazione, con la quale manifestò Iddio ad una sua serva quanto li sia grato l’affaticarsi per ’la salute dell’anime, e specialmente per la riforma della santa Chiesa; con che lo stimola a pregare 1 papa, che voglia esser sollecito io stabilire Is pace della ■stessa Chiesa, e nella sua riformazione. * ^ictteta §9.
Al nome di Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
I. Solarissimo e reverendissimo padre in Cristo dolce Jesùr Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi colonna ferma, che non si muova mai, se non in Dio, non schivando, nè refutando il labore e la fatica che durate nel corpo mistico della santa Chiesa, sposa dolce di Cristo, nè per ingratitudine, «è per ignoranzia che trovaste in coloro che si pascono in questo giardino, nè per tedio che ci venisse di vedere le cose della Chiesa andare con poco ordine: perocché spesse volte addiviene che quando l’uomo s’affatica in una cosa, e poi non viene compiuta in quello modo ed effetto che esso desidera, la