Egloghe (Chiabrera 1608)/VII

Egloga VII

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VI
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VII.

Alcippo, Aminta.

Ami.
C
ERTO non leggiermente io mi raviso

Diletto Aminta; così sei cangiato
               3Di domestici panni, e più di viso;
          Dipartisti pastor, torni soldato;
               Altro che cetra, e boschereccia piva
               6La spada, che ti pende al manco lato;
          Hor come oggi apparisci? e di qual riva?
               Chi tolse ad Arno il tuo soave canto,
               9Che per ciascun si volentier s’udiva?
Ami. Ch’io mi partissi la cagion fu pianto;
               Non potei rimirar queste pianure
               12Morendo Tirsi, ch’io prezzai cotanto;
          Da lunge men andai per far men dure
               L’aspre miserie; e de la lunga strada
               15Lungo saria contar le mie venture.
Alc. Ma pur, perche ritorni homo di spada?
               Non pensare al camin; ben alto è’l Sole;
               18Molto ha da gir prima che’n mar sen cada.
Ami. Posiamci qui; poi che per te si vole
               Io parlerò; presi ad errare intorno,
               21Perche’l viaggio rallegrar l’huom suole;
          Adunque il mio camin volsi a Livorno;
               Ritrovai quivi un popolo guerriero
               24Tutto di piume, e di belle armi adorno;
          Era sul navigarsi; ogni nocchiero
               Spalmar facea del Signor nostro i legni,
               27Ch’assalir l’Oriente havea pensiero;

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          Io veder vago peregrini regni
               Entrai con gl’altri; il navigar lontano
               30Era à punto il miglior de miei disegni;
Alc. Ferocissimo cor; sul mare insano
               Lunge peregrinar? grande ardimento;
               33Me per compagno spereresti in vano;
          Su per l’onde non è lo stesso vento
               Che sù per l’aia; che camin t’avvenne?
               36Incontrasti ventura à tuo talento?
Ami. Lieti talhor con incrociate antenne
               Quasi volammo sopra il mar; tal’hora
               39Non picciola procella si sostenne;
          E pur colà donde esce fuor l’aurora
               Fummo sentiti, e vi lasciammo in pene
               42Il popol rio, che Macometto adora;
          Tutte predammo le nemiche arene;
               Ma quanti de Cristian sul mar errando
               45Furo tratti per noi d’aspre catene?
          Lassi, che schiavi, e de la patria in bando
               Mirando darsi à cara libertate
               48Voce altra non mettean, che Ferdinando;
          Ho corso in guisa tal più d’una estate;
               Veduto ho varie terre, e varia gente
               51Hor mi ritorno a queste piagge amate.
          Ma dimmi tù, come felicemente
               Menate i giorni? ancora vive Alfeo?
               54Che soleva cantar sì dolcemente;
          Arde più di Mirtilla Alfesibeo?
               Che fa Dameta, che fra noi pastori
               57Era quasi uno antico Melibeo?

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Alc. Son vivi; et altri in dilettosi amori
               Consuma; et altri di suo ben pensoso
               60Del campo attende a gli utili lavori;
          Aminta il viver nostro è dilettoso;
               Quel FERDINANDO, che i nimici infesta
               63Anco a’ popoli suoi serba il riposo;
          Arida fame qui non ci molesta;
               Giustitia regna; è l’habitar securo
               66Come ne le Città per la foresta;
          Cosi fosser con noi, come già furo
               Le cortesie del nostro caro Tirsi;
               69Ma tacerò, che’l rimembrarne è duro.
Ami. Alcippo à Dio, tempo è di dipartirsi.

IL FINE.