Edipo a Colono (Sofocle - Romagnoli)/Terzo episodio

Terzo episodio

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Sofocle - Edipo a Colono (401 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1926)
Terzo episodio
Secondo stasimo Terzo stasimo
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corifeo
Ramingo ospite, dir falso profeta
tu non potrai chi per te vede. Scorgo
le figlie tue condotte già qui presso.
edipo
1170Dove? Dove? Che dici? Come parli?
Tornano Antigone ed Ismene, accompagnate dai soldati di Teseo.
antigone
O padre, o padre, qual dei Numi a te
concederà che tu quest’uomo egregio
possa veder, che a te qui ci condusse?
edipo
Figlia mia, siete qui?

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antigone
 Sí! Queste mani
di Tesèo ci han salvate, e dei carissimi
1175compagni suoi.
edipo
 Fatevi presso al padre,
o figlia mia, ché al seno mio vi stringa:
ch’io non credea che piú tornaste.
antigone
 Quanto
chiedi, otterrai: brama è per noi, ciò ch’è
per te favore.
edipo
 Ove, ove siete?
antigone
 Entrambe
1180vicine a te.
edipo
 Germogli miei dolcissimi!
antigone
A chi lo generò, caro è ogni figlio.

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edipo
O miei sostegni!
antigone
 Miseri d’un misero!
edipo
Quanto piú amo, ora ho con me. Morendo,
misero in tutto non sarò, se voi
1185presso mi siete. All’un mio fianco, e all’altro
appoggiatevi, o figlie mie, stringetevi
a chi vi generò, fate che cessi
questo gramo solingo antico errare,
e ciò che avvenne a me narrate, breve
1190quanto potete piú: brevi parole,
poiché giovani siete, a voi si addicono.
antigone
Ci ha salvate costui: lui devi udire:
l’opera mia cosí presto è compiuta.
edipo
a Teseo.
Se con le figlie, contro ogni speranza
1195tornate a me, s’effonde il mio discorso,
non ti meravigliare, ospite, lo so
che da niun altri questa gioia a me
di rivederle è balenata: tu
salvate le hai, nessun altri degli uomini.

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1200E ciò ch’io bramo, i Numi a te concedano,
e a questa terra: ché fra tutti gli uomini
solo fra voi trovata ho la pietà,
e la mitezza, e il non mentire: intendo,
e tal vi dò ricambio di parole:
1205ché quello che posseggo, io lo posseggo
per te, non già per altri. A me la destra
porgi, o Signore, ch’io la stringa e baci,
ed anche il capo tuo, se pur m’è lecito.
Sebben, che dico mai? Voler potrei
1210che il rampollo d’Egèo toccasse un uomo
su cui, qual macchia d’obbrobrio non è?
Non lo consento io, no, non lo consento!
Partecipar tali miserie, gli uomini
debbono sol ch’esperïenza n’ebbero.
1215Tu da lungi ricevi il mio saluto;
e giusta cura nei giorni venturi,
come sin qui l’avesti, abbi di me.
teseo
Anche se piú, per il piacer che avevi
delle figliuole tue, si fosse effuso
1220il tuo discorso, io non avrei stupito,
né se pria delle mie volesti udire
le lor parole, il cuore mio si cruccia.
Non voglio illustre la mia vita rendere
piú di parole che di fatti. Vedilo:
1225di quanto, o vecchio, io t’ho giurato, nulla
io t’ho mentito: le tue figlie, vive
ti reco qui, d’ogni minaccia illese.
E come vinto fu l’agone, a che
far vani vanti? Lo saprai da queste.

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1230tu che vivi con loro. Invece, bada
ad una nuova che a me giunse, mentre
qui m’avviavo: ch’è piccola a dire,
eppure, tal da farne meraviglia:
né fatto v’è che un uom debba spregiare.
edipo
1235Figlio d’Egèo, qual’è la nuova? Informami:
ché di quanto mi dici, io nulla so.
teseo
Un uomo1 che non è concittadino
tuo, ma congiunto, dicono che supplice
giunse all’altare di Nettuno, dove,
1240quando io qui mossi, sacrifizi offrivo.
edipo
Di qual paese? A che giunge qui supplice?
teseo
Nulla io so, tranne un punto: ei chiede, dicono,
teco un colloquio, non molesto, e breve.
edipo
E quale, dunque? Di brevi colloqui
1245non è questa la sede.

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teseo
 Ei chiede, dicono,
d’aver teco un colloquio; e per la via
onde qui giunse, partir poi sicuro.
edipo
Chi sarà mai costui che giace supplice?
teseo
Vedi se in Argo alcun parente avete
1250che tal bisogno aver possa di te.
edipo
Oltre non dire: taci, o mio carissimo!
teseo
Che t’avviene?
edipo
 Non chiedere.
teseo
 Che cosa?
Parla.
edipo
 Ho capito, udendoti, chi sia
quel supplice.

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teseo
 Chi mai costui sarà,
1255che biasimare anch io dovrei?
edipo
 Mio figlio,
quell’odïoso, o re: né v’è mortale
che con piú grave cruccio udir potessi.
teseo
E come? Udir non puoi, forse, e non fare
ciò che non vuoi? Che cruccio t’è l’udire?
edipo
1260Nimicissima al padre suona, o re,
quella sua voce. A ceder non costringermi.
teseo
Ti astringe il gesto suo. Vedi se provvido
non sia per te rispetto avere al Nume.
antigone
O padre, il mio consiglio odi, se pure
1265giovine io sono. Fa’ tu che quest’uomo
di ciò ch’ei brama compiacere possa
sé stesso e il Nume, e che il fratello nostro
venga, concedi a noi. Fa’ cuore: a forza
dal tuo volere ei non potrà rimuoverti,
1270se ciò che a te non giova ei ti dirà.

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Udir parole, è danno? Anzi, i disegni
tristi, dalle parole a luce vengono.
Tu gli sei padre: onde, se pure tristi
fra quanti son piú tristi atti ei compiesse,
1275contro di te, per te non è giustizia
dargli infesto ricambio. Anche altri padri
han tristi figli, e umore acerbo; eppure,
dai blandimenti degli amici indotti,
placan l’indole loro. E tu, le pene
1280volgiti a riguardar, che per tuo padre,
per tua madre soffristi, e non a queste
che soffri adesso: ché se a quelle badi,
vedrai, lo so, come la trista collera
riesce a tristo fine. Ed argomenti
1285non futili n’hai tu, degli occhi tuoi
privo, che piú non vedono. A noi cedi:
bello non è che chi dimanda il giusto
debba chieder blandendo, e che non sappia
chi grazie ricevè, grazie anche rendere.
edipo
1290Un favor che mi pesa, o figlia mia,
vinto avete da me, col vostro dire.
A Teseo.
Però, quando ei qui giunga, ospite, niuno
sia, che del mio volere abbia l’arbitrio.
teseo
Una volta, non due, tal prece, o vecchio,
1295udire vo’. Né cerco vanti. Sappilo:
salvo tu sei, finché me salva un Nume.
Parte.

  1. [p. 338 modifica]Pag. 200, v. 1236. - Un uomo ecc.: è Polinice che, bandito di Tebe, era riparato in Argo; cfr. p. 146, v. 414 e p. 201, v. 1248.