Dracula/XIX
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CAPITOLO XIX.
Giornale del Dottor Seward.
3 ottobre.
Durante l’assenza dei nostri amici, il professore si sforzò distrarci con considerazioni molto interessanti.
Mentre parlava, fummo interrotti da un colpo bussato al portone. Trasalimmo. Van Helsing andò ad aprire. Un giovine fattorino del telegrafo gli diè un dispaccio. Egli subito l’aperse e lesse:
«Diffidate di D. Ha lasciato poco fa Carfax, certo diretto a Londra. Firmato: Mina.»
— Finalmente, potremo agire! — esclamò Van Helsing. — Oggi il potere del nostro nemico non oltrepassa quello d’un comune mortale: e da qui al tramonto non potrà trasformarsi. Ora non può tardare: speriamo che Arturo e Quincy sieno tornati prima.
Una mezz’ora dopo, un nuovo colpo di battente scuoteva la porta. Ci guardammo inquieti e ci precipitammo ad aprire.
Stavamo già pronti a brandire i nostri fiori d’aglio e le nostre rivoltelle, quando constatammo con gioia ch’erano Quincy Morris e Lord Godalming.
— Tutto va bene — disse Arturo: — abbiamo ritrovato le due case. Ci sono sei casse in ognuna: sono tutte santificate.
— Non c’è più che dà aspettare — disse Quincy. — Stavolta, se alle cinque non sarà giunto, faremo bene a ripartire perchè sarebbe imprudente lasciare sola la signora Harker dopo il tramonto.
— State tranquilli — disse Van Helsing; — non ci sarà tanto da aspettare, prendete le armi e pronti. Pssst!
Infatti una chiave veniva allora introdotta pianamente, con precauzione, nella porta d’entrata.
Ammiro come, nei momenti tragici, ognuno di noi riveli il suo carattere. In tutte le nostre antiche battute di caccia, Morris dirigeva il piano d’azione. Arturo ed io obbedivamo. Istintivamente egli riprese l’antica abitudine. Con un gesto, designò i nostri posti: Helsing, Harker ed io accanto all’uscio; Arturo e lui nascosti accanto alla finestra per tagliare la ritirata da quella parte al Conte.
I passi si avvicinavano prudenti e lenti. Temeva un agguato?
Di botto, con uno slancio brusco, piombò nella stanza prima che alcuno di noi potesse fare un gesto. La sua agilità aveva qualche cosa di felino. Harker si gettò con un balzo contro la porta di comunicazione.
Scorgendoci, il Conte ebbe un sogghigno orrendo che gli scoprì i suoi denti canini; poi prese un’aria di disdegno maestoso.
Cambiò faccia tuttavia quando, con un solo impeto, ci avanzammo alla sua volta. Per disgrazia, avevamo preparato male il nostro piano perchè io non sapevo neppure dove ferirlo nè se le nostre armi omicide avessero potuto servirci a qualche cosa.
Harker non esitò, lui. Brandendo il suo gran coltello, s’avventò sul nemico. Ma con uno scatto, il Conte sgusciò via. Il coltello tagliò soltanto il vestito all’altezza d’una tasca donde sfuggirono un fascio di biglietti di banca e parecchie monete d’oro.
L’espressione del Conte era così atrocemente piena d’odio che, temendo per la vita di Jonathan, m’avanzai tenendo con la sinistra delle tuberose e nella destra una rivoltella. I miei amici fecero altrettanto e il Demonio indietreggiò. Da livido che era, Dràcula diventò verde; i suoi occhi lanciarono fiamme. Con un balzo passò sotto il braccio di Harker che spiccò un salto per colpirlo nuovamente. L’uomo atroce raccolse rapidissimo alcune monete d’oro, le fece scivolare in tasca; e saltando dalla finestra sparve in mezzo ad un strepito di vetri infranti.
Era caduto nella corte senza farsi male. Lo vedemmo spingere la porta della scuderia e voltarsi verso di noi:
— Credete di vincermi? — gridò. — Ebbene, non siete ancora alla fine delle vostre tribolazioni. Credete d’avermi tagliato ogni ritirata? Errore! ho altri rifugi. La mia vendetta comincia appena. La stenderò sui secoli venturi poichè il tempo m’appartiene. Le vostre donne son già mie, per mezzo loro, sarete miei!
Con un sogghigno, tirò dietro a sè la porta della scuderia; poi l’udimmo aprire e chiudere un’altra porta.
Van Helsing fu il primo a riaversi.
— Ci teme tuttavia, poichè altrimenti non si sarebbe affrettato tanto a piantarci in asso. Perchè ha preso il denaro? Bisogna seguirlo senza indugio. Noi inseguiamo una bestia feroce; nessuna tregua finchè non l’avremo abbattuta.
Raccolse i biglietti di banca e l’oro; mise il denaro in tasca, e così pure gli atti relativi alla compera della casa.
— Non lasciamo qui nulla che gli possa servire — disse.
Il sole calava all’orizzonte. Visitammo invano la scuderia, la corte e i dintorni.
— Ahimè! — disse Van Helsing — credo che sia più saggio rinunziare per oggi al nostro inseguimento e tornare presso la signora Mina. Dobbiamo vegliare su di lei. Ma non ci scoraggiamo. Non rimane più che una cassa di terra; il bandito non ha più che un rifugio, lo scopriremo fra breve!
Siamo rientrati col cuore gonfio. La signora Harker ci aspettava con impazienza. Parve costernata venendo a sapere dello scacco subito, ma, con forza d’animo, seppe dominarsi.
Il pranzo manca d’allegria. Abbiamo deciso di vegliare a turno. C’è Quincy che monterà la guardia stanotte.
Giornale di Jonathan Harker.
3-4 ottobre, mezzanotte.
Mina dorme, calma in apparenza. Quali possono essere i suoi sogni? Povera! cara! l’amo ancora di più per tutto ciò che ha sofferto. Ah! quando usciremo da questo incubo? Quando dormiremo tranquilli?
4 ottobre, mattina.
Mina mi ha svegliato sul finir della notte. L’alba grigia filtrava dalle fessure delle imposte. Ella mi disse con agitazione:
— Va a cercare il dottore Van Helsing. Voglio parlargli subito.
— Perchè?
— Ho un’idea che m’è venuta durante la notte. Bisogna ch’egli m’ipnotizzi prima dell’alba; forse avrò delle rivelazioni da farvi. Presto, amico mio, il tempo stringe!
Corsi nella stanza del professore. Dormiva e parve sorpreso di vedermi.
— Mia moglie vi reclama. Venite presto!
Mi seguì senza protestare. Mina gli espresse il suo desiderio. Allora, senza chiedere particolari inutili, egli fece i passi d’uso. Mina lo guardava fissamente. A poco a poco i suoi occhi si chiusero.
Il Professore fece ancora alcuni gesti e si fermò poichè aveva la fronte madida di sudore. Mina riaprì degli occhi imbambolati. Pareva non vedesse nè noi due nè gli altri tre entrati senza far rumore.
— Dove siete? — chiese Van Helsing.
Ella rispose come in sogno, con una voce lontana:
— Non so, non conosco i luoghi.
— Che cosa vedete?
— Non vedo nulla, è buio.
— Che udite?
— Lo sciacquio delle acque. È il rumore delle onde.
— Allora siete su di una nave?
— Sì, sì, appunto!
— Che udite ancora?
— Sopra la mia testa dei passi d’uomini, un rumor di catena e uno scricchiolio simile a quello dell’argano sopra la ruota d’ingranaggio.
— Che fate?
— Non mi muovo; è calmo, calmo...
Chiuse gli occhi e respirò lievemente come se dormisse.
Il sole s’era alzato. Arturo spalancò le persiane. Il sole inondò la stanza.
Il dottor Van Helsing appoggiò dolcemente la testa di Mina sul guanciale e fece alcuni passi magnetici. Dopo alcuni istanti ella riaperse gli occhi. Guardò tutti noi.
— Ho parlato in sogno? — chiese.
Il Professore le riferì interrogatorio e risposte.
— Non c’è un momento da perdere — disse ella; — forse non è troppo tardi.
Arturo e Morris già si precipitavano.
— Ehi ragazzi miei, dove volete andare? — disse Van Helsing. — Il battello levava l’àncora nel momento in cui ella parlava e ci sono tanti battelli nel porto di Londra!... Ah! canaglia! Capisco adesso perchè gli ci voleva tanto denaro! Per fuggire! Perbacco, non ha che un solo rifugio, viene inseguito come un cane. Londra non è più abitabile per lui! Certo fece caricare su di una nave l’ultima cassa. Ma non speri di sfuggirci. Il sole sorge, la giornata è nostra. Vestiamoci, facciamo colazione e poi all’opera.
Mina ebbe uno sguardo implorante:
— Ma poichè s’allontanava, perchè inseguirlo?
— Perchè — rispose gravemente Van Helsing — vi ha segnata e si può temere qualunque cosa.
Arrivai in tempo ad accoglierla fra le mie braccia!