Capitolo XVIII

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Bram Stoker - Dracula (1897)
Traduzione dall'inglese di Angelo Nessi (1922)
Capitolo XVIII
XVII XIX
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CAPITOLO XVIII.


Giornale di Jonathan Harker.


3 ottobre.

Dopo colazione venne tenuto consiglio; Mina stavolta era con noi. Sarà la nostra segretaria e, mentre lavorerà, scorderà un poco l’orrendo incubo della notte scorsa.

— Bisogna — disse Van Helsing — che da qui a stasera noi abbiamo purificato e reso quindi inabitabili per il Mostro tutte le casse di terra, di modo che, non trovando nessun rifugio, egli sia ridotto a conservare la forma mortale che avrà preso. E adesso, cominciamo dalla casa di Piccadilly.

— Ma come entrarvi? — chiese Arturo.

— Non importa come! — esclamai; — anche a costo di rompere la serratura.

— E la polizia? — osservò Quincy.

— Ohibò! non s’occuperà di noi! — disse Van Helsing: — anzi, se sappiamo fare, ci verrà in [p. 157 modifica]aiuto. Tutto dipende dal comportarci come proprietari legittimi della casa, e di presentarvici ad un’ora congrua; verso le dieci del mattino, per esempio.

Vidi con piacere che la povera Mina, interessata dalla nostra discussione, scordava un po’ la sua angoscia. Ma era pallida, tanto pallida, e le labbra esangui scoprivano i denti, che mi parvero un po’ più appuntiti. Ahimè! ahimè!... No, non voglio pensarvi.

Decidemmo, prima di partire, di distruggere il covo del Conte al maniero. Poi, di prendere il treno per Piccadilly. Lord Godalming e Quincy sarebbero andati a Walwort e Mile End a esorcizzare gli altri rifugi del Conte. Insistei per restare accanto a Mina, ma ella non volle saperne.

— Non temo più nulla, adesso — disse tristemente. — E starò all’erta. Partite senza timore, amico mio.

— Avviamoci, dunque! — esclamai — non perdiamo tempo!

— Scusate — disse Van Helsing; — ci tengo a far colazione, io, prima di partire; abbiamo bisogno di riprendere le forze.

Pasto strano, nel quale cercavamo bravamente di distrarci e in cui ciascuno di noi era ossessionato dall’idea fissa.

— Adesso si parte davvero — disse Van Helsing quando ci alzammo da tavola. Signora Mina, non correte nessun pericolo fino al tramonto.

Per quell’ora saremo di ritorno. E d’altronde ho purificato la vostra stanza, siate senza timore: Egli non potrebbe rientrarvi. Lasciatemi adesso preservare la vostra persona, toccandola con i fiori. [p. 158 modifica]

Un grido stridulo risuonò; nel momento in cui appoggiava le tuberose sulla fronte di Mina, costei provò una scottatura atroce.

La mia povera moglie diletta si buttò a terra e gemette nascondendosi il viso fra i capelli.

— Sono maledetta! sono maledetta! Porterò questo marchio di vergogna fino al giudizio finale!

La rialzai e la riconfortai come meglio seppi; i nostri amici si asciugavano lagrime furtive.

— Signora Mina — disse Van Helsing con voce profonda — questa bruciatura sparirà il giorno in cui perirà il Vampiro. La vostra redenzione non può tardare.

Quelle parole confortarono un po’ la mia povera cara che si calmò.

Era tempo di andare. Abbracciai Mina con tenerezza come se non dovessi rivederla più, giurandomi di vendicarla. Ma se la maledizione si accanisse su di lei, se ella dovesse diventare (avrò il coraggio di dir la parola?)... un Vampiro... ebbene l’accompagnerò! È così, io immagino, che nei tempi addietro l’amore faceva dei proseliti. Sì, piuttosto che dormire solo in terra santa, voglio essere maledetto con lei... Ma ciò non avverrà!

Siamo entrati facilmente nel maniero. Nulla è cambiato. Nella vecchia cappella le casse stanno allineate, come l’altro giorno.

— Adesso, amici miei — disse Van Helsing — si tratta di purificare questa terra, una volta sacra, ma resa impura dal suo contatto e che egli portò così da lontano con uno scopo delittuoso.

Si tolse dal secco un cacciavite e delle tenaglie; e dopo pochi minuti fece saltare il coperchio della prima bara. [p. 159 modifica]

Sulla terra contenuta in quella prima cassa, posò con rispetto dei fiori di tuberose, pronunziando una preghiera. Poi, pianamente, rinchiuse il coperchio che noi aiutammo ad avvitare. E così si fece per ognuna delle altre casse.

Quando rinchiudemmo la porta della cappella, Van Helsing esclamò:

— Ecco un buon lavoro. Auguriamoci che vada altrettanto bene anche il resto.

Prendemmo allora la via della stazione. Passando davanti all’Asilo, lanciai uno sguardo verso la finestra di mia moglie. Ella indovinò la mia presenza e agitò il fazzoletto. Le mandai un bacio, e raggiunsi in fretta i compagni. Il treno era già fermo in stazione. Siamo saltati in uno scompartimento, da dove scrivo queste note.


Piccadilly, 30, mezzodì.

A Londra abbiam preso una vettura. Poco prima di giungere alla casa, Lord Godalming disse:

— Quincy verrà con me in cerca d’un fabbro. Troppo numerosi, susciteremmo la curiosità. Separiamoci dunque. Aspettateci in Green Park, donde si scorge la casa. Quando vedrete le finestre aperte, vorrà dire che non ci sarà più il fabbro. E allora raggiungeteci.

— Buona idea! — disse Van Helsing.

Godalming e Morris presero un altro cab mentre noi proseguivamo nel nostro, fino all’angolo d’Arlington Street. Io provai un battito di cuore scorgendo la casa triste e nera su cui si concentrava la nostra speranza. Sedemmo su di una [p. 160 modifica]panca aspettando pazientemente e fumando un sigaro. Il tempo ci parve lungo. Finalmente vedemmo i nostri amici tornare col fabbro. Si fermarono sul limitare della casa.

L’uomo si tolse la giacca. Passava un policeman in quel momento e s’accostò. Il fabbro gli disse qualche parola ed egli s’allontanò pacificamente. L’operaio provò diverse chiavi. Alla terza la porta cedette. Godalming e Morris entrarono nel vestibolo.

Noi osservavamo col cuore che batteva. Aspettammo che l’uomo se n’andasse. Poi attraversammo la strada. Morris ci aperse la porta. Lord Godalming aveva già acceso una sigaretta.

— È pestifero — disse. — Lo stesso odore che nella vecchia cappella di Carfax; il Conte dev’essere passato di qui da poco tempo.

Facemmo il giro della casa. Nella sala da pranzo non trovammo che otto casse di terra invece di nove come contavamo trovare. Le aprimmo ad una ad una santificandole come quelle di Carfax.

Sul tavolo, tutte le carte concernenti l’acquisto della casa; dei fogli da lettera, delle buste, penna e inchiostro; tutto quanto avvolto in carta. C’era anche una spazzola per gli abiti, un pettine, una brocca d’acqua e un catino, quest’ultimo piena d’acqua sporca, come rossa di sangue. E poi un mazzetto di chiavi delle altre case.

— È ora di andarcene — disse Godalming a Morris.

Ambedue presero nota degli indirizzi delle altre case e muniti delle chiavi si congedarono da noi.