Don Giovanni Tenorio o sia Il dissoluto/Atto IV
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ATTO QUARTO.
SCENA PRIMA.
Camera in casa del Commendatore con mensa preparata.
Il Commendatore, Donn’Anna, Don Giovanni e servi; poi un Paggio del Commendatore.
La cortesia del vostro cuore accresce.
Commend. Altro convito il merto vostro esige,
Ma più darvi non può chi sempre mai
Nemico fu di accumular tesori.
D. Giovanni. (Che bel volto!) (guardando donn’Anna
Donn’Anna. (Quegli occhi, che da’ miei
Non si partono mai, che dir vorranno?)
Don Alfonso. Desia da solo a solo
Esser con voi.
Commend. Scendan le scale i servi.
(il paggio parte
Anderò ad incontrarlo. Don Giovanni,
Perdonate s’io deggio...
D. Giovanni. Itene pure;
Non vi caglia di me.
Commend. Figlia, restate
Seco fino ch’io torni.
(Si pone la spada al fianco, ch’era sul tavolino, e parte
SCENA II.
Don Giovanni e Donn’Anna.
Più per quest’oggi!)
Donn’Anna. (Il cuor mi balza in petto).
D. Giovanni. Bellissima donn’Anna, alfin la sorte
Libero favellarvi a me concede.
Donn’Anna. V’impedia forse il genitor discreto
Favellar lui presente?
D. Giovanni. Il padre antico
Men della figlia mi sarà cortese.
Ah donn’Anna! (sospira
Donn’Anna. Signor, voi sospirate?
(Tornasse il genitore!)
D. Giovanni. Ah non crediate,
Che il van desio di vagheggiar Castiglia
M’abbia quivi condotto. Il cuor mi accese
Della vostra beltà fama o destino.
Queste fur le mie guide, e de’ miei passi
Voi mi propose amor, regola e meta.
Giunsi a mirarvi, e ne’ begli occhi vostri
Abbastanza spiegar loquace labbro,
Nè il desio figurar. Fu un punto solo,
Bella, il vedervi e il sospirar d’amore.
D’insoffribile fiamma arder mi sento;
A voi chiedo pietà.
Donn’Anna. Gli accenti vostri
Inaspettati, e forse mal sinceri,
M’han sorpreso, il confesso. Io non conosco
Pregio in me che di fama impegni il grido,
Nè ambiziosa sarei di possederlo.
Beltà passa cogli anni, e molto estimo
Più di frale bellezza un cuor sincero.
D. Giovanni. Bella sincerità, quanto sei rara!
Ah l’amo tanto, e tante volte invano
Rinvenirla tentai! Me fortunato,
Se l’amante cuor mio sperar potesse
In voi trovar la sospirata e bella
Fedeltà sconosciuta.
Donn’Anna. Un cuor fedele
Altrui talor la fedeltade insegna.
D. Giovanni. Sperar può l’amor mio da voi mercede?
Donn’Anna. Se una giusta mercè chieder saprete,
Ingrata forse io non sarò.
D. Giovanni. V’intendo.
Voi d’un casto imeneo parlar volete,
E questi è il fin del mio pudico amore;
Questa mano sospiro...
(vuol prender la mano a donn’Anna, essa la ritira
Donn’Anna. Ad altro tempo
Si riserbi parlarne.
D. Giovanni. Or che l’abbiamo,
A che tempo aspettar?
Donn’Anna. (Nè giunge il padre,
Nè si vedono i servi).
Strugger mi sento in dolce foco il cuore.
Pronunciate quel sì, che mi dia vita;
Ricevete da me la destra in pegno.
Donn’Anna. Sappialo il genitor. Da lui dipende
Il mio voler. Del duca Ottavio io sono
Destinata consorte, e sciorre il nodo
Da me sola non posso.
D. Giovanni. Eh che l’amore
Tutto può in noi; e se m’amaste, o cara...
Donn’Anna. Che vorreste da me?
D. Giovanni. La destra in dono;
E poi sappialo il padre. Eh tutto lice
Per formarsi un contento; ed io mi rido
D’un vano inutile rispetto.
Donn’Anna. E ardite
Di parlarmi così? Ma questa è un’onta,
Che mi provoca a sdegno.
D. Giovanni. Io vi consiglio
Porgermi in don ciò che rapir potea
Un cuor più risoluto.
Donn’Anna. E a questo segno
Temerario s’avanza il vostro ardire?
D. Giovanni. Sì, resistete invano: io vo’ da voi
La vostra mano in dono; o questo ferro
Vi darà morte. (impugna lo stile
Donn’Anna. Ah traditore, indegno!...
Servi, padre, chi ascolta...?
D. Giovanni. E padre e servi
Chiamate invano, invano i numi istessi
Chiamate, se alla fine1 a’ cenni miei
Non v’arrendete; o questo ferro immergo...2
(don Giovanni s’alza
D. Giovanni. (Trattenendola per le vesti) Olà fermate...
Donn’Anna. Ah scellerato!
D. Giovanni. Io vi ferisco...
Donn’Anna. Indegno!
Che violenze son queste?...
D. Giovanni. (Vedendo di lontano venire il Commendatore, lascia donn’Anna)
Ah son scoperto!
Farmi strada convien con il mio ferro.
(prende la spada ed il cappello
SCENA III.
Il Commendatore, Donn’Anna ritirata in fondo della sala, e Don Giovanni.
D. Giovanni. Nulla. Vi chiedo
Licenza di partire.
Donn’Anna. Ah padre! è questi
Un empio, un traditore. Ei la mia mano,
Questa mia mano destinata altrui,
Temerario voleva. Egli col ferro
Giunsemi a minacciare.
Commend. Empio! Le leggi
Dell’ospitalità tradire ardiste?
Malnato cavalier, chi a voi si affida
Oltraggiate, insultate? Uscite, indegno,
Fuori di queste soglie. Onta simile
Vuol vendetta, vuol sangue.
Donn’Anna. (Oh stelle! i servi), (parte
D. Giovanni. Commendator, vostra cadente etade,
Atto poco vi rende a tal cimento.
Trovate chi per voi la pugna accetti;
Son cavalier, risponderò col ferro.
Giuro sull’onor mio.
Perfido, mentitor?
D. Giovanni. Non provocate
Lo sdegno mio.
Commend. Lo sdegno d’un fellone
Facil è provocar.
D. Giovanni. Facile ancora
Mi sarà la vendetta.
Commend. Ah più non freno
L’ira nel petto mio. Del proprio albergo
Non m’arresta il rispetto. Anima indegna,
Quella spada impugnate.
D. Giovanni. Incauto vecchio,
Ti pentirai del forsennato ardire.
Commend. Vieni pure.
D. Giovanni. Son teco. (si battono
Commend. Ahi, son ferito!
Torna, barbaro, torna... Ahi non mi reggo.
D. Giovanni. Quel sangue nel mio sen pietà non desta.
Chi è cagion del suo mal, pianga se stesso, (parte
SCENA IV.
Il Commendatore ferito, poi Donn’Anna e servi.
Seguirlo, oh Dio! col vacillante piede.
Ah ch’io manco, ah ch’io cado! Ah figlia, figlia,
Non m’ascolti? Ove sei? Misera figlia,
Chi avrà cura di te? Numi! Le forze...
M’abbandonano; il cuor manca nel seno.
Tremante il piè... più non sostiene il peso
D’una vita che langue... Oggetti foschi
Mirano le pupille... Io manco... Io moro. (cade morto
Donn’Anna. Eccomi, o genitor... Cieli! Che miro!
Non respira... È già morto. Ah, dov’è l’empio,
Che ti fé’ l’infelice? Ah padre amato,
Questo tenero pianto, il primo ufficio
Sia della mia pietà. Ma da me attendi
La più giusta vendetta. Il Re negarmi
Giustizia non potrà. Servi, l’estinto
Signor vostro dal suol togliete almeno.
(servi portano altrove l’estinto
SCENA V.
Donn’Anna sola.
Del perfido nel sen cuor sì feroce?
La dolcezza dei sguardi, il volto umile
Coprian l’anima indegna. Empio, inumano,
Potea tentar di più? S’er’io men forte,
Che sarebbe di me? Santa onestade,
Quanti hai nemici! In quante guise e quante
Tese insidie ti sono! Oh caro padre,
Tu mi volesti al traditor vicina;
Tu porgesti... Ma no, l’incauta io fui.
Ai primi accenti scellerati, ai primi
Lusinghevoli sguardi, io mi dovea
Colla fuga sottrar.
SCENA VI.
Don Alfonso, il Duca Ottavio, servi e detti.
Voi d’un padre privò, me d’un amico?
Donn’Anna. Un barbaro l’uccise. Il suolo asperso
Mirate ancor del sangue suo; vendetta
Voi chiedete per me.
Chi fu l’empio uccisore?
Donn’Anna. Ah, don Giovanni.
Ottavio. Non vel dissi, signor, ch’era un indegno?
Donn’Anna. Ospite in nostra casa...
D. Alfonso. A voi commetto,
Duca, l’arresto del fellone. Ei cada
Nelle forze reali, o vivo o estinto.
Ottavio. Eseguiti saranno i cenni vostri. (parte
SCENA VII.
Don Alfonso, Donn’Anna e servi.
Palesarvi, donn’Anna. Al vostro affanno
La ragion ponga freno. Alfin la morte
È destino comun. Felice lui
Che glorioso morì, che giusto visse;
Voi se un padre perdeste, in me l’avrete.
Prove tai vi darò dell’amor mio,
Che sarete contenta.
Donn’Anna. Il primo dono
Della vostra pietà, signor, sia questo:
Sciogliete un imeneo che mi dà pena;
Spose non mancheranno al duca Ottavio.
D. Alfonso. Sì, lo farò; ma voi vorrete ognora
Viver senza compagno?
Donn’Anna. Or non discerno
La brama del mio cuor.
D. Alfonso. Vi compatisco.
Cesserete dal pianto, e a miglior stato
Penserete più cauta.
SCENA VIII.
Il Duca Ottavio e detti.
Di don Giovanni sperasi l’arresto.
Donn’Anna. L’empio fuggì?
Ottavio. No, ma ricovro prese
Nell’atrio immune, ove del Re la legge
Non permette violar le sacre mura.
D. Alfonso. Si raddoppin le guardie all’atrio intorno,
Sicchè fuggire il traditor non possa.
Sappia il Re il suo delitto, e voi, donn’Anna,
Cessate ormai di lacrimar. Pensate
Del padre vostro all’onorate imprese,
E vi sia la virtù conforto e guida.
(parte col duca Ottavio
SCENA XI.
Donn’Anna sola.
Suggerire agli afflitti il darsi pace.
Niuno meglio di me comprender puote
Quant’io perdei nel genitore estinto;
Qual altro amor a quel del padre uguale3
Sperar si può? Misere noi, se in seno
Lo speriamo trovar d’infidi amanti!
Aman essi non noi, ma il lor contento,
E scemando il piacer, scema l’amore.
Pietosi dei, per la grand’alma e bella
Del mio buon genitor, voi difendete
Questo mio cuor dalla comun sventura.
Fine dell’atto Quarto.