Don Garzia (Alfieri, 1946)/Atto terzo
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ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Cosimo, Garzia.
con pronta umile filíal risposta,
prevenire i tuoi detti, or posso, io primo
il mio fallo accusando, in te far scema
l’ira tua giusta, e l’onta in me. Potessi
men di perdono indegno agli occhi tuoi
cosí pur farmi! altro non bramo al mondo.
Provocato da Diego, io l’oltraggiava;
troppo men duol; né darmen puoi gastigo,
che il mio pentir pareggi. A te piú caro,
di me maggiore, e giá, per lunga usanza,
Diego censor d’ogni opra mia, null’altro
dovea trovare in me, che ossequíoso
silenzio pieno, e pazíenza, e pace.
Cosimo Quant’io vo’ dirti antivedesti in parte;
ma il tutto, no. L’udir da te mi giova,
che dal tuo petto ogni rancor sia lunge;
qual ch’ella fosse, ira non v’ha di un padre,
che al tuo parlar non caggia. Io mai non ebbi
dubbio neppur, che intiepidito appena
quel calor primo, che ai pungenti motti
vi spinse, ambo a mercede ripentiti
contesa or sorge a cancellar la prima,
nell’accusar ciascun se stesso; ond’io
vi assolvo entrambi, e nullo reo ne tengo. —
Altro or dirotti. — Entro al pensier tornommi
quel tuo consiglio, ch’io biasmai stamane,
come non dritto e inopportuno. Or vedi,
sempre il miglior non è il parer primiero:
quanto piú in mente or rivolgendo io vado,
fra gli altri avvisi, il tuo, meno a me spiace.
Non giá ch’io creda, che affidar mi debba
ciecamente in Salviati; ei m’odia troppo:
ma teme anch’egli, e teme assai. Se dunque
all’odio alterno un tale ostacol pure
frappor potessi; o tale ordire un nodo,
che a reciproca fede ci astringesse;
un mezzo in somma, onde securi entrambi
vivessimo; ritrar dal sangue il core
non niegherei fors’io: forse anco aprirlo
alla pietá potrei...
Garzia Padre, e fia vero?
Oh qual m’inonda alta letizia il petto!
Non, ch’io superbia dal parer mio tragga,
che nulla insegno al mio signor; ma gioja
verace sento, in rimirar che il padre
ad ottener l’intento suo pur sceglie
dolcezza usar, pria che minacce e sangue.
In chi regna sta il tutto; egli a sua posta
l’odio e il timor scemare o accrescer puote
in chi obbedisce. Ah! potess’egli entrambi
svellergli appien dall’altrui core, e a un tempo
dal suo! ma, il niega ai regnatori il fato.
Cosimo Ma, che fora, se un dí dolcezza troppa
ad increscer mi avesse?
Garzia A cor gentile
increbbe mai? Né temer dei, che danno
Salviati l’odio, che racchiuder suole
uom cui sdegno di re persegua e prema.
Ei ben lo sa, che la tua grazia tolta
per sempre gli è: né fia che a freno il tenga
speme omai, né timor: per se non teme;
tutto perdé nel dispiacerti. Eppure,
d’ogni suo oprar perpetua norma ei fassi
sol di quanto a te piace: e tu, se ingiuste
vie per servire al tuo rancor non tieni,
perder nol puoi mai per diritta via.
Cosimo V’ha chi m’inganna dunque?... Oh trista sorte
di chi piú puote! Or, quanto a me feroce
altri nol pinse? Ognun quí mente a prova;
e si fa ognun di mia possanza velo
a sue private mire...
Garzia A tutti è noto,
che in odio t’era di Salviati il padre;
quindi a gara ciascun ten pinge il figlio,
rubello, infame, scellerato.
Cosimo Ah! vero
parli, pur troppo! Un prence, il cor d’altrui
mal può saper, s’altri penétra il suo. —
Ma dimmi pure: or donde sai sí espresso
qual sia l’animo in lui? Bench’ei seguito
m’abbia in Pisa, nol vedi in corte mai:
che dico, in corte? ogni consorzio umano
ei fugge, e mena sí selvaggia vita,
che diresti che in petto alti ei rinserra
gravi pensieri; e ch’ei d’ogni uom diffida.
Garzia Direi, se il dir lecito fosse...
Cosimo Or, parla:
mi piace il ver; godo in udirti.
Garzia Ei venne
su l’orme tue, ma sol per torti ei venne
ogni sospetto di sua fe; che in mezzo
dubbia avuta l’avresti in lui pur sempre.
Seco talvolta io m’abboccai, né il niego:
deh, tu lo udissi! il cor d’angoscia pieno
e d’amarezza, e con temenza, ahi quanta!
e con rispetto, moderatamente
del tuo errore si duole; e, te non mai,
soli ne incolpa i tuoi fallaci amici,
veri a virtú nemici; e in te i sospetti
non crede tuoi...
Cosimo Ma pure, ei sa, che figlio
a me tu sei; come narrarti?...
Garzia Ei forse
me di pietá crede capace...
Cosimo Intendo:
in suo favor, tu presso me...
Garzia I miei detti
appo te vani ei troppo sa...
Cosimo Gli avrai
forse tu pur gli arcani tuoi dischiuso: —
tu, mesto sempre, e al par di lui, solingo: —
stringeavi forse paritá di affetti.
Quanto a’ suoi mali tu, pietoso ei dunque
a’ tuoi, non odia il sangue mio del tutto?
Egli ti ascolta, e parla? assai diverso...
Garzia Diverso, ah! sí, da quel che fama il suona.
Mi porgi ardir, ch’io non m’avria mai tolto.
Sappi, che il tuo piú caro (e qual vuoi scegli,
tra quanti hai carchi, io non dirò satolli,
d’onori, e d’oro) ei t’è men fido, il giuro;
e t’ama meno; e men per te darebbe,
di quel Salviati vilipeso, oscuro,
e certo in cor della innocenza sua,
cui provar, per piú pena, non gli è dato.
S’ei tal pur è nel suo squallore, or pensa
qual ei fora, se in pregio.
ti sta costui: forte è il tuo dir, né il biasmo.
Poiché tu ’l di’, virtude alcuna in esso
aver pur dee: ma, parla; e il ver mi narra;
giá tu mentir non sai: t’incende or sola
sua virtude a laudarlo?
Garzia Ah! poiché credi
ch’io non sappia mentir, neppur tacerti
in parte alcuna il ver vogl’io. Mi punge
anco l’amore: ardo per Giulia; e quindi
doppia ho pietá del genitore.
Cosimo Ed egli
il sa?
Garzia Gliel dissi.
Cosimo E, ti seconda?
Garzia E il danna;
e il danno io pur. Deh! qual mi credi?
Cosimo Accorto;
ma, non a tempo.
Garzia Amor, no, non m’accieca,
né onor mi spoglia. A te Salviati io laudo,
perch’egli tutto a sua virtú pospone:
altro il direi, s’altro il sapessi; e fosse,
com’egli è avverso, anco al mio amor secondo.
Tradire il ver non so: d’alcuna speme
non pasco io, no, quel fuoco che mi strugge;
cui né nudrire in cor vorrei, né posso
spegnerlo pure. Il non cangiabil mai
severo tuo voler, so che per sempre
me da Giulia disgiunge. A te non chieggio
pietá: pur troppo, alla insanabil piaga
so che non ho rimedio, altro che morte!
Te supplicai pel suo innocente padre,
che tale il so; ma, s’ei nol fosse, amore
mai traditor non mi faria del mio.
Cosimo Perfido, udir dalla tua propria bocca
Giulia è il minor de’ tradimenti tuoi.
Garzia Che ascolto? Oh ciel! creder dovea verace
mai la bontade in te?
Cosimo Mai nol dovevi,
di te pensando; mai. L’animo tuo
ben sai tu appien; tu, traditore. — Io ’l modo
dianzi cercava, onde quell’empio torre
dagli occhi miei: fortuna, ecco, mel reca;
e il feritor mi accenna. A me scolparti
di fellonia vuoi tu? vuoi tu, ch’io creda
tuo sol delitto amor? poco ne avanza
di questo dí cadente: al sorger primo
dell’ombre amiche, entro mia reggia venga,
qual giá piú volte ei venne, il rio Salviati,
sconosciuto, di furto; e tu lo invita;
e tu lo scorgi entro all’usata grotta,
in cui sí spesso ei si abboccò giá teco:
e tu, (guai se a me ’l nieghi) entro il suo petto,
lá, questo ferro immergi.
Garzia Oh cielo!...
Cosimo Taci.
Tradisti il padre, il tuo signor, te stesso:
l’ammenda è questa. E che? quand’io comando,
resister osi?
Garzia Ed altra man piú infame
ti manca a ciò?
Cosimo Scelta ho la tua: ciò basta.
Garzia Perir vo’ pria.
Cosimo Nol dire: il certo pegno
io tengo in man dell’obbedir tuo pronto. —
SCENA SECONDA
Garzia.
Ma, di qual pegno parla? entro ogni vena
scorrer mi sento inusitato un gelo:
di Giulia intende ei forse? Ah! sí: qual pegno
a lei si agguaglia? Oh ciel!... Che fo?... Si corra...
SCENA TERZA
Eleonora, Garzia.
deh! mi spiega di Cosmo. Ei mi t’invia,
in soccorso; perché? qual caso?...
Garzia Oh madre!...
che ti diss’egli?
Eleon. «Va; reca consigli
al tuo Garzía; sovvienlo; or gli fai d’uopo».
Né piú vi aggiunse; e passava oltre, in volto
turbato, qual mai non lo vidi. Or parla;
non m’indugiar; che fu?
Garzia Madre, conosci
tu questo ferro?
Eleon. Del tuo padre al fianco
io sempre il veggo: e che per ciò?...
Garzia Stromento
di regno è questo: e al solo Cosmo il fosse!
Contaminar la mia innocente destra
non ne dovessi io mai! ma il crudo padre
in man mel reca ei stesso; e vuol che in petto
io di Salviati a tradimento il vibri.
Eleon. Che ascolto? Oh ciel!... Ma, perché a te commessa
Garzia Egli me sceglie,
sol perché di Salviati pietá sento;
perch’io lordo non son di sangue ancora;
perch’io la figlia, la infelice figlia
di quel padre infelice, amo...
Eleon. Che ascolto?
Giulia!
Garzia Sí, l’amo; e malaccorto il dissi
a Cosmo io stesso: e in lui si accese quindi
snaturata, e di lui sol degna voglia,
di fare il padre dell’amata donna
dall’amante svenare. Or non è il tempo
di narrarti com’io fui preso ai lacci
di virtú tanta a tal beltade aggiunta;
né, s’io ’l narrassi, il biasmeresti, o madre:
sol ti dico, ch’io n’ardo, e che me stesso,
pria che il suo padre, io svenerò.
Eleon. Deh... figlio!...
Oimè!... Che dici?... E che farò?... Funesto
amor!... Per quanto oltre ogni cosa io t’ami,
lodar nol posso.
Garzia O madre, al fianco tuo
Giulia tuttor si sta: sue rare doti
tu ben conosci e apprezzi; e tu l’hai cara
sovra ogni altra donzella: indi ben sai,
che scusa almen, se pur non lode, io merto.
Ma, se il vuoi pur, mi biasma: a te non spiacqui,
madre, giammai: m’è legge ogni tuo cenno.
Amor, se trarmel non poss’io dal core,
tenerlo a fren poss’io. Sol che di Cosmo
nei feri artigli tu cader non lasci
quell’innocente angelico costume.
Salvarla vo’, non farla mia. Feroce
Cosmo uscia minacciandomi: un delitto
solo, al crudo suo cor forse or non basta;
deh! s’io mai ti fui caro, or vanne, veglia
su l’amor mio. Chi sa?...
Eleon. Temer soverchio
l’amor ti fa.
Garzia Tutto temer dall’atra
ira di Cosmo vuolsi: ancor n’hai tempo;
sta in te il rimedio; il suo furor t’è forza
deluder; vano il raddolcirlo fora.
Come or piú vuoi, Giulia si scampi; e intanto
fingi me quasi ad obbedir giá pronto:
tempo, non altro, io chieggio. Al fin, sei madre;
amor di madre inspireratti. A un figlio
dei risparmiare un delitto sí orrendo;
e innocente donzella dei sottrarre
da ingiusta forza. Or, tu mi vedi umíle
pianger, pregar, finché riman pur speme:
guai, se a vendetta il genitor mi spinge;
guai, se sua rabbia in quella, in cui sol vivo,
rivolger osa. Ad inondar la reggia
trascorreran rivi di sangue; e questo
mio braccio il verserá. Piú non conosco
ragione allor; piú non m’estimo io figlio...
Eleon. Deh t’acqueta; che di’? Tropp’oltre vedi:
lunge da te di sí fatale eccesso
anco il pensier...
Garzia Dunque previeni, o madre,
ciò che impedir poi non potresti. Al duro
passo, a cui tratto il padre m’ha, deh! cerca
scampo a me tal, ch’io traditor non sia.
Eleon. Sí, figlio, sí; ma i tuoi bollenti spirti
rattempra: io volo a lui. Cangiar potessi
il suo fiero comando! In salvo almeno
Giulia porrò, per darti pace. Intanto
nulla imprender, tel vieto, anzi ch’io rieda.
SCENA QUARTA
Garzia.
Ma oimè! che spero? che a deluder Cosmo
vaglia or la madre, che scolpito in volto
porta il terrore? Oh! di qual padre io nasco!
Sagace al par che crudo, ingannar puossi,
come a pietá piegarlo... Eppur, sua rabbia
non avrá nella timida donzella
rivolta ei, no, pria di saper s’io niego
vibrar l’atroce colpo... Ed io, il consento?...
SCENA QUINTA
Piero, Garzia.
Garzia Che fu?
Piero Ben ora
ti compiango davvero.
Garzia Ora!... Che avvenne?
Piero Misero te! Minaccia Cosmo, e freme,
e traditor ti appella.
Garzia Io tal non sono.
Piero Ma pure, il padre è fuor di se. D’infami
aspre catene carca innanzi trarre
si fea la figlia di Salviati...
Garzia Oh cielo!
Tiranno vile... Io corro.
Piero Ahi!... dove?
Garzia A trarla
d’indegni ceppi.
Piero A orribil morte trarla
tu puoi, col tuo furore. A guardia ei diella,
sotto pena del core, al crudel Geri.
Se in suo favore un menom’atto ei vede
Geri tosto svenarla...
Garzia Or or vedrassi...
Piero Deh! t’arresta; che fai?
Garzia ... Svenarla? Oh rabbia!...
Ma, non giungea la madre a lui?...
Piero Pur dianzi
venne; ma corso era giá l’ordin fero.
Parlar volea; ma dir non la lasciava
l’irato sire: ella piangea: ma il pianto
non bisognare, ei le diceva: «Il mezzo
di scolparsi del tutto, io stesso il diedi
al tuo Garzía».
Garzia Di che, di che scolparmi?
D’esserti figlio? è incancellabil macchia. —
Mezzo ei mi dié? vedi qual mezzo: il ferro,
ch’io immerger debbo a tradimento in petto
del misero Salviati. — Ah! perché figlio,
Cosmo, a te sono? ah, nol foss’io! ben fora
mezzo, e il migliore a discolparmi, il ferro.
Ma in te nol posso; oh rabbia!... In me...
Piero Che fai?
Che tenti? Ah! cessa...
Garzia Anzi che a morte io veggia
trar l’amata donzella; anzi che lordo
farmi del sangue del suo padre, io voglio
svenarmi, io quí...
Piero Deh! ferma;... odimi;... pensa,
ch’è immutabile Cosmo. Ei vuol Salviati
morto, a ogni costo: e se da te lo vuole,
col tuo morir nol salvi; anzi a piú duri
strazj il riserbi: ah! ben sai tu, se l’ira
delusa in Cosmo scemi. E l’innocente
sua figlia, anch’essa forse...
Garzia Oh ciel!...
Piero Che forse?
e padre e figlia ei svenerá.
Garzia D’orrore
gelar mi fai. Ma come uccider io,
e a tradimento, un innocente, un giusto?
L’amico, il padre dell’amata donna
trar quí, di notte, e sotto infame velo
d’amistá finta?...
Piero Ah! non s’udia piú atroce
caso giammai; né mente havvi sí salda,
che non vaneggi a tanto. — Eppur, che vuoi?
ch’altro puoi far? tutto fia peggio. Un solo
pera; fia ’l meglio...
Garzia Ed io vivrommi?...
Piero Ah!... m’odi.
Chi te costringe a tal delitto è il reo,
non tu. — Ma, in parte anco l’orror scemarti
del tradimento io posso, ove in tuo nome
da me inviar lasci a Salviati il messo. —
Risolvi; omai risolvi: ah! pensa in quanta
mortale angoscia or la tua Giulia vive...
Garzia Giulia!... E svenarti il padre?... Ah! no, nol posso...
Eppur, te sveno se lui non uccido...
Ch’io, né morir, né vendicarti, e appena
salvarti io possa! — Ma, la madre io deggio
udire ancor, pria di risolver: forse
il duol, la rabbia, il disperato amore,
altra via m’apriranno.
Piero Ah! no...
Garzia Ma pure,
s’egli è destin, ch’io l’orrido delitto... —
Odi: se a te fra un’ora io quí non riedo,
pur troppo è ver, che sceglier mi fu forza
di trucidar di Giulia il padre. — Allora
lascio a te, poiché il vuoi, l’orrido incarco
di spedir l’empio messagger di morte.