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atto terzo 381
vien sí atroce vendetta?

Garzia   Egli me sceglie,
sol perché di Salviati pietá sento;
perch’io lordo non son di sangue ancora;
perch’io la figlia, la infelice figlia
di quel padre infelice, amo...
Eleon.   Che ascolto?
Giulia!
Garzia   Sí, l’amo; e malaccorto il dissi
a Cosmo io stesso: e in lui si accese quindi
snaturata, e di lui sol degna voglia,
di fare il padre dell’amata donna
dall’amante svenare. Or non è il tempo
di narrarti com’io fui preso ai lacci
di virtú tanta a tal beltade aggiunta;
né, s’io ’l narrassi, il biasmeresti, o madre:
sol ti dico, ch’io n’ardo, e che me stesso,
pria che il suo padre, io svenerò.
Eleon.   Deh... figlio!...
Oimè!... Che dici?... E che farò?... Funesto
amor!... Per quanto oltre ogni cosa io t’ami,
lodar nol posso.
Garzia   O madre, al fianco tuo
Giulia tuttor si sta: sue rare doti
tu ben conosci e apprezzi; e tu l’hai cara
sovra ogni altra donzella: indi ben sai,
che scusa almen, se pur non lode, io merto.
Ma, se il vuoi pur, mi biasma: a te non spiacqui,
madre, giammai: m’è legge ogni tuo cenno.
Amor, se trarmel non poss’io dal core,
tenerlo a fren poss’io. Sol che di Cosmo
nei feri artigli tu cader non lasci
quell’innocente angelico costume.
Salvarla vo’, non farla mia. Feroce
Cosmo uscia minacciandomi: un delitto
solo, al crudo suo cor forse or non basta;