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382 don garzia
Giulia fors’anco... Oh ciel!... Deh, madre, accorri;

deh! s’io mai ti fui caro, or vanne, veglia
su l’amor mio. Chi sa?...
Eleon.   Temer soverchio
l’amor ti fa.
Garzia   Tutto temer dall’atra
ira di Cosmo vuolsi: ancor n’hai tempo;
sta in te il rimedio; il suo furor t’è forza
deluder; vano il raddolcirlo fora.
Come or piú vuoi, Giulia si scampi; e intanto
fingi me quasi ad obbedir giá pronto:
tempo, non altro, io chieggio. Al fin, sei madre;
amor di madre inspireratti. A un figlio
dei risparmiare un delitto sí orrendo;
e innocente donzella dei sottrarre
da ingiusta forza. Or, tu mi vedi umíle
pianger, pregar, finché riman pur speme:
guai, se a vendetta il genitor mi spinge;
guai, se sua rabbia in quella, in cui sol vivo,
rivolger osa. Ad inondar la reggia
trascorreran rivi di sangue; e questo
mio braccio il verserá. Piú non conosco
ragione allor; piú non m’estimo io figlio...
Eleon. Deh t’acqueta; che di’? Tropp’oltre vedi:
lunge da te di sí fatale eccesso
anco il pensier...
Garzia   Dunque previeni, o madre,
ciò che impedir poi non potresti. Al duro
passo, a cui tratto il padre m’ha, deh! cerca
scampo a me tal, ch’io traditor non sia.
Eleon. Sí, figlio, sí; ma i tuoi bollenti spirti
rattempra: io volo a lui. Cangiar potessi
il suo fiero comando! In salvo almeno
Giulia porrò, per darti pace. Intanto
nulla imprender, tel vieto, anzi ch’io rieda.