Don Chisciotte della Mancia Vol. 2/Capitolo XLI

Capitolo XLI

../Capitolo XL ../Capitolo XLII IncludiIntestazione 9 febbraio 2017 75% Da definire

Capitolo XL Capitolo XLII

[p. 366 modifica]


CAPITOLO XLI.


Venuta di Clavilegno, e fine della presente prolungata ventura.



LL
a notte arrivò, e con la notte il punto determinato per la venuta del famoso cavallo Clavilegno, la cui tardanza cominciava ad inquietare don Chisciotte, sembrandogli che indugiando Malambruno a mandarlo, o non foss’egli il cavaliere cui riserbata era quella ventura, o non osasse l’incantatore di venire seco lui a conflitto. Ma ecco ch’entrarono d’improvviso in giardino quattro Satiri, vestiti tutti di verd’ellera, recando sugli omeri il gran cavallo di legno. Lo posero a terra, e disse uno di questi Satiri: — Chi non si lascia atterrire dai cimenti monti su questa macchina. — Io non vi monto, disse Sancio, perchè ho paura, e perchè non sono cavaliere„. Continuò il Satiro: — Se il cavaliere errante ha uno scudiere al suo servigio, monti costui e si fidi del valoroso Malambruno, chè se non resterà ferito dalla sua propria spada, non avrà [p. 367 modifica]offesa da verun altro acciaro o da verun’altra mal’arte. Egli non ha a fare altro che torcere il bischero che sta qua sopra il collo, e volerà per l’aria fino dove Malambruno lo sta attendendo; ma perchè l’altezza e la sublimità del cammino non gli producano vertigini, bisognerà tener bendati gli occhi, finchè annitrirà il destriere, il che sarà segno di aver raggiunta la meta del viaggio„. Detto ciò e lasciato ivi Clavilegno, con bella grazia tornarono i Satiri per dove erano venuti.

Giunto appena il cavallo, la Trifaldi, quasi con le lagrime agli occhi, disse a don Chisciotte: — Valoroso cavaliere, le promesse di Malambruno si sono avverate; ecco qui il cavallo; crescono le nostre barbe ad ognuna di noi, e per ogni pelo di esse, siamo a supplicarti che tu ce le rada e cimi, null’altro restando a tal fine se non che tu salga col tuo scudiere, e dia felice cominciamento al nuovo viaggio. — Lo farò di buonissimo grado, disse don Chisciotte, e della migliore intenzione, o donna Trifaldi, senza andarmene a cercare guanciale, e senza mettermi sproni per non frapporre ritardi: tanto è il desiderio mio di vedere voi, o signora, e tutte le vostre matrone rase e pulite. — Ma non lo farò io, disse Sancio, nè di buona nè di cattiva voglia in modo alcuno: e se così è che questa rasura non si possa fare senza che monti in groppa lo scudiere, il mio padrone ne cerchi un altro che lo accompagni, ovvero trovino queste signore altra maniera di nettarsi il muso: chè io non sono già uno stregone da pigliarmi il gusto di andare per aria. E che direbbero gl’isolani miei sudditi quando sapessero che il loro governatore se ne va passeggiando per i venti? E ci è di più, che essendovi di qua a Candaia tremila leghe, se il cavallo si stanca, ovvero se il gigante si adira, noi tarderemo a tornare una mezza dozzina di anni, e non ci saranno più isole o isoli al mondo che mi conoscano. E poichè si suol dire che il pericolo sta nella tardanza; e quando ti dieno la vacchetta provvediti di una funicella, mi perdonino le barbe di queste signore, chè bene sta san Pietro in Roma, e voglio dire che io sto bene in questa casa dove mi fanno mille carezze, e dove aspetto la provvidenza promessami dal padrone di diventar finalmente governatore„. Disse allora il duca: — Amico Sancio, l’isola che vi ho promessa, non è mobile, nè fuggitiva, ed anzi ha radici sì profonde che giungono negli abissi della terra, nè potrebbero essere sbarbate nè sradicate per piccole scappatelle; e poichè vi è noto che io so non potere darsi officio di maggiore importanza di questo, e che non deve concedersi senza avervi un qualche guadagno, così per la mia ricompensa io mi contento di conferirvi il governo a patto solo che andiate col vostro signor don [p. 368 modifica]Chisciotte a dar fine e compimento a questa memoranda ventura, e che ritorniate su Clavilegno con la celerità che può promettersi dalla sua leggerezza. Se per avversa fortuna doveste anche tornare a piedi, come pellegrino di albergo in albergo, e di osteria in osteria, troverete sempre al ritorno vostro l’isola dove la lasciate, e tutti i vostri isolani collo stesso desiderio che sempre hanno avuto di ricevervi per loro governatore. Sarà immutabile il voler mio, nè mettete in dubbio, signor Sancio, questa verità, chè ciò sarebbe fare un torto evidente al desiderio che nutro di farvi piacere. — Basta basta, disse Sancio: io sono un povero scudiere, nè posso sostentare il peso di tante cortesie; monti pur su il mio padrone, mi bendino gli occhi, mi raccomandino a Dio, e mi dicano solo se quando andremo per quelle altitudini, mi sarà permesso d’invocare nostro Signore e gli angeli benedetti affinchè mi aiutino„. Rispose la Trifaldi: — Ben potrete, o Sancio, raccomandarvi a Dio, o cui più vi piaccia, mentre Malambruno, tuttochè incantatore, è cristiano, e con molta sagacità e avvedutezza eseguisce i suoi incantesimi, nè cozza con chicchessia. — Orsù dunque, soggiunse Sancio, mi aiuti Iddio e la Madonna di Gaeta. — Dalla memoranda voltura delle gualchiere in qua, disse don Chisciotte, non ho più veduto Sancio compreso da sì grande spavento come lo è adesso; e se io badassi, come altri, ai mali augurii, la pusillanimità sua mi produrrebbe qualche apprensione: ma accostati a me, o Sancio, chè con permissione di questi signori voglio dirti due parole a quattr’occhi„. Tirato Sancio da parte tra certi alberi del giardino, e pigliategli ambe le mani, gli disse: — Tu vedi, fratello Sancio, a qual lungo viaggio stiamo per accingerci, e Dio solo sa quando torneremo dall’averlo compito, e quali cure e incontri possiamo avere nelle nostre imprese, e però io vorrei che tu ti ritirassi nella tua stanza, come in aria di andartene ad apprestare qualche cosa necessaria pel viaggio, e in un battere di occhio ti dessi a conto delle tremila e trecento frustate alle quali obbligato ti sei, cinquecento sole, chè quando sono date non vi si pensa più, e il cominciare le cose è un averle quasi mezzo finite. — Vossignoria è diventato matto? rispose Sancio: questo è come quello che dicono: vedi che ho fretta, e mi comandi adagio? Ora che devo andarmi a sedere sopra un pezzo di tavola rasa pretenderebbe vossignoria che mi flagellassi? In verità ch’ella esce del seminato: andiamo a radere queste matrone, e da quello che sono prometto che al mio ritorno mi darò tutta la premura di soddisfare al mio obbligo in modo che vossignoria resterà pienamente contento; e non parliamo altro„. Rispose don Chisciotte: — Or via sopra questa tua promessa, [p. 369 modifica]Sancio mio galante, io parto consolato, ma tengo fermo che la manterrai; perchè alla fin fine, benchè tu sia sciocco, ti conobbi sempre veridico. — Io non sono verde ma bruno, disse Sancio; ma quand’anche fossi mischio, manterrei la mia parola„.

Con questo tornarono, e si misero in punto di salire su Clavilegno. Stando per montarvi, disse don Chisciotte: — Sancio, bendati e monta su, chè chi da sì longinqui paesi ci manda a chiamare, non può volerci trarre a nessun mal passo per la poca gloria che potrebbe ridondare nell’ingannare chi vive in fede; ed ancorchè tutto avvenisse al rovescio di quello che io mi figuro, non potrà venire oscurata da malizia di sorte alcuna la gloria di aver tentata quest’alta e nuova impresa. — Andiamo, signore, disse Sancio, chè le barbe e le lagrime di queste donne le tengo conficcate nel cuore, nè mangerò boccone che mi faccia pro se io non le veda ritornate ad esser nette e lisce. Monti prima vossignoria, e si bendi, perchè è ben naturale che se io ho da mettermi in groppa monti prima chi si ha da metter davanti. — È vero, è vero,„ disse don Chisciotte, e tratto un fazzoletto di tasca, disse alla Trifaldi che gli bendasse gli occhi a dovere; e dopo ch’ella ebbe ciò fatto, egli li scoperse di nuovo, e disse: — Se male non mi ricordo, io lessi in Virgilio che quello del Palladio di Troia, che fu un cavallo di legno offerto dai Greci alla diva Pallade, era pregno di cavalieri armati che poi furono la totale distruzione di Troia, ond’è che sarebbe ben fatto vedere prima quello che Clavilegno ha nel suo ventre. — Non occorre, disse la Trifaldi; sono io che fo guarentiggia; sono inutili le diligenze, mentr’io so bene che Malambruno nulla cova di malizioso, e la signoria vostra, signor don Chisciotte, monti pure francamente e senza timore, e a conto mio vada il male che può nascere„. Parve a don Chisciotte che qualunque cosa soggiungesse intorno alla sicurezza sua personale pregiudicherebbe alla sua bravura, e perciò senz’altro salì sopra Clavilegno, e provò a muover il bischero che si girava con facilità; e perchè mancavano le staffe e teneva ciondolone le gambe, sembrava una figura di tappeto fiammingo dipinta o tessuta in qualche trionfo romano. Di mal animo e adagio adagio montò Sancio, raggruzzolandosi il meglio che potè sulle groppe, che trovò dure alquanto, sicchè rivoltosi al duca, il supplicò che se fosse possibile lo accomodassero di qualche cuscino o guanciale, se bene fosse tolto dallo strato della signora duchessa, o dal letto di qualche paggio, mentre la groppa di quel cavallo pareva piuttosto di marmo che di legno. La Trifaldi allora alzò la voce, e disse che nessuna sorte di guarnimento o di morbidezza potea Clavilegno soffrire sul dorso, e che questo solo [p. 370 modifica]poteva essergli conceduto, di mettersi a sedere come le donne; chè a questo modo non sentirebbe tanto incomodo per la durezza. Sancio così fece, e dicendo addio, si lasciò bendare gli occhi; ma dopo bendati li tornò anch’egli a scoprire, e dando tenere e piangenti occhiate a tutti quelli che stavano nel giardino, disse che lo aiutassero in quel pericolo con un Pater ed un’Ave, perchè Iddio desse poi anche a loro il ricambio quando si trovassero in simili disastrosi pericoli. Allora disse don Chisciotte: — E come? sei tu forse, ladrone, sul patibolo o in agonia che tu abbia ad usare di simiglianti preghiere? Non vedi, creatura codarda e pusillanime, che stai nello stesso sito già occupato dalla bella Magalona, da cui ella scese non per entrare in sepoltura, ma per sedere regina sul trono di Francia, se non mentono le istorie? Ed io, che sto al tuo lato, non posso eguagliarmi al valoroso Pierre che calcò questo stesso luogo che io ora calco? Cuopriti, cuopriti, animale senza cuore, nè far sentire la paura che hai, o per lo meno non manifestarla in presenza mia. — Dunque mi bendino gli occhi, rispose Sancio; e poichè non si vuole neppure che mi raccomandi a Dio, nè che sia raccomandato da altri, perchè non dovrò io temere di essere strascinato in qualche regione di diavoli che ci menino a Peralviglio1„.

Si bendarono finalmente ambedue, e sentendosi don Chisciotte che stava come dovea giacere, tastò l’ordigno, e l’ebbe toccato appena, che le matrone e quanti erano presenti alzarono la voce, dicendo: — Dio ti guidi, valoroso cavaliere: Dio ti accompagni, scudiere intrepido: eccovi per aria, voi la trapassate come saette, già cominciate a sospendere, noi tutti siamo stupefatti; tienti forte, valoroso Sancio, chè tu barelli; guarda di non cascare, chè la caduta sarebbe peggiore di quella dell’ardito garzone che volle guidare il carro del Sole suo padre„. Sancio sentì queste parole, e strìngendosi bene al suo padrone, e cingendolo colle braccia, gli disse: — Signore, possono asserir costoro che noi montiamo tant’alto quando sentiamo le parole che ci dicono, e pare che stieno parlando qui a canto a noi? — Non por mente a questo, disse don Chisciotte, chè siccome siffatte cose e questi volamenti vanno fuori del corso naturale, tu vedrai e udirai ciò che brami anche lontano mille leghe; ma non istringermi tanto, chè mi fai cadere, e non so comprendere di che ti turbi e ti spaventi quand’io potrei giurare che in tutto il tempo di vita mia non ho adoperato cavalcatura di passo più posato, e pare proprio che noi non ci moviamo: ora sbandisci [p. 371 modifica]la paura chè la cosa va in fatti come l’ha da andare, e abbiamo il vento in poppa. — È verissimo, rispose Sancio, perchè da questa [p. 372 modifica]parte mi fischia un vento sì gagliardo che pare che mille mantici mi soffino addosso„. Ed era così per lo appunto, poichè un paio di grossi mantici andava facendo vento: e sì bene ordita era questa ventura dal duca, dalla duchessa e dal suo maggiordomo, che non mancò nulla a renderla perfetta. Sentendosi dunque don Chisciotte venteggiare addosso, soggiunse: — Senza dubbio, o Sancio, che noi ci dobbiamo trovare nella seconda regione dell’aria dove si genera la grandine e la neve; nella terza regione si generano i tuoni, i lampi, e le saette, e seguitando di questo passo arriveremo presto presto alla regione del fuoco, nè so come regolare quest’ordigno perchè non abbiamo a salire in luogo dove potremmo restare abbruciati„. Intanto con certe stoppe facili ad accendersi ed a smorzarsi, e che stavano attaccate ad una canna i circostanti andavano loro riscaldando la faccia. Sancio che sentì il calore, disse: — Possa essere ammazzato se non siamo già arrivati nel luogo del fuoco o molto a quello vicini, perchè gran parte della mia barba mi si è abbrostita, or ora io sto per cavar via questa benda e voglio vedere in che parte ci ritroviamo. — Non fare questo, rispose don Chisciotte, e tieni a mente il vero successo del dottore Torralva, che fu portato a volo dai diavoli per aria a cavallo di una canna, e cogli occhi chiusi andò in dodici ore a Roma, smontò a Torre di Nona, ch’è una strada della città, e vide tutto il fracasso l’assalto e la morte del Borbone, e poi la mattina istessa era di ritorno a Madrid, dove die’ conto di quanto aveva veduto, ed egli disse che mentre viaggiava per aria gli comandò il demonio che aprisse gli occhi, che gli aperse e si vide tanto vicino, a parere suo [p. 373 modifica]al corpo della luna che poteva pigliarla colle mani, nè ebbe mai ardire di guardare in giù perchè non gli girasse il capo. Dunque, o Sancio, non occorre che adesso ci scopriamo mentre darà conto di noi chi ci tiene a suo carico. Noi andiamo già guadagnando e salendo in alto, ci lasceremo cadere poi sul regno di Candaia, come fa l’uccello pellegrino sopra la gazza che si eleva moltissimo per indi calarsi e predarla: e poi sebbene ci paia appena mezz’ora che ci partimmo dal giardino, credimi ch’io tengo per fermo che noi abbiamo già fatto uno sterminato viaggio. — Non so quello ch’e’ sia, rispose Sancio; so ben dire che se la signora Magagliana o Magalona si contentò di questa groppa, ella non debb’avere avuto le carni molto tenere„.

Tutti questi discorsi dei due valorosi erano uditi dal duca e dalla duchessa, e da quei che in giardino si stavano, e se ne pigliavano straordinario piacere. Volendo poscia dar termine alla strana e bene ordita ventura, attaccarono fuoco colla stoppa alla coda di Clavilegno, e al punto stesso, per essere ripieno il cavallo di schioppetti e saltarelli, saltò all’aria con uno strano fracasso, e diede in terra con don Chisciotte e Sancio mezzo abbrostiti. In questo frattempo era già sparito dal giardino tutto il barbato squadrone delle matrone colla Trifaldi, e si videro gittate a terra le altre persone come se fossero svenute. Don Chisciotte e Sancio rivoltaronsi malconci assai, e portando gli occhi in qua e in là, rimasero attoniti nel vedersi nel giardino medesimo da cui erano partiti, e [p. 374 modifica]nel trovare ivi strammazzata sì grande quantità di gente. La maraviglia si accrebbe poi molto più quando videro in un lato del giardino fitta in terra una lunga lancia: e pendente da essa una liscia e bianca pergamena, attaccata a due cordoni di seta verde, in cui a grandi lettere d’oro leggevansi le seguenti parole:

“L’inclito cavaliere don Chisciotte della Mancia pose fine compiutamente, col solo tentarla, alla ventura della contessa Trifaldi, chiamata con altro nome la matrona Dolorida. Malambruno si dà per contento e soddisfatto nella pienezza dei suoi desiderii; le barbe delle matrone restano rase, lisce e monde; i re don Claviscio e Antonomasia nel pristino loro stato; ed allorchè abbia compimento il vapulo scuderile, vedrassi la bianca colomba libera dai pestiferi girfalchi che la perseguitano, e poserà tra le braccia del suo diletto addormentatore. Così comanda il savio Merlino proto-incantatore degl’incantatori„. [p. 375 modifica]

Lette ch’ebbe don Chisciotte le parole della pergamena, chiaramente comprese che parlavano del disincanto di Dulcinea, e rendendo allora mille grazie al cielo che concesso gli avesse di dar compimento con sì poco periglio ad impresa di tanta importanza, col render al primiero colore e carnagione le facce delle venerande matrone, ch’erano di già sparite, recossi dove stavansene simulatamente svenuti il duca e la duchessa, e presa la mano del duca, gli disse: — Allegramente, signor mio, coraggio coraggio, mio buon amico, chè tutto è niente; compita è già la ventura senza pregiudizio d’alcuno, come chiaramente si conosce dallo scritto ch’è in questo castello„. Il duca a poco per volta, e come chi da profondo sonno si desta, cominciò a tornare in sè, e lo stesso fu della duchessa e di quanti altri stavano in quel giardino sdraiati, e con tali apparenze di maraviglia e di spavento, che poteva quasi credersi che fosse loro avvenuto davvero, ciò che seppero colorire con sì destra finzione. Lesse il duca il cartello cogli occhi socchiusi, e poi a braccia aperte strinse don Chisciotte, professando essere egli il più degno cavaliere che visto si fosse nei passati secoli. Andava Sancio ricercando cogli occhi la Dolorida per vedere quale fosse il suo viso senza la barba, e se fosse sì bella senz’essa, come promettevano il vago suo portamento, e la disposizione della persona; ma gli fu detto che quando Clavilegno cadde ardendo per l’aria, e diede in terra, tutto lo squadrone delle matrone era sparito con la Trifaldi, già tutte rase affatto e senza peli. Dimandò la duchessa a Sancio come l’avesse passata in sì lungo viaggio. Al che rispose egli: — Io, signora, ho sentito che si andava, a quanto mi ha detto il padrone, e che si volava per la regione del fuoco; io avrei voluto scoprirmi un poco gli occhi, ma il padrone, a cui ne chiesi licenza, non volle; ma io che mi sento indosso un certo non so qual pizzicore di curiosità e la frega di saper quello appunto che mi è proibito, pian piano e senza ch’egli se ne accorgesse, sviai un poco dalla parte del naso la benda che mi copriva, e guardai verso la terra. In verità che mi parve tutta insieme poco più picciola di un granello di senepa, e gli uomini che vi camminavano poco più grandi delle nocciuole; dal che si può capire quanto stavamo allora innalzandoci„. Rispose la duchessa: — Badate, amico Sancio, a quello che dite, mentre per quanto si suppone, voi non doveste già aver veduta la terra ma gli uomini che vi stavano sopra; ed è ben evidente che se la terra vi sembrò un granello di senapa, e ogni uomo una nocciuola, un uomo solo doveva in questo caso coprire tutta la terra. — È vero, rispose Sancio, ma ad onta di ciò la scopersi da un cantoncino, e la vidi tutta intera. — Considerate, Sancio, [p. 376 modifica]replicò la duchessa, che da un cantoncino non si scopre tutto quello che si ha a vedere„.

— Oh io poi non m’intendo, tornò a dir Sancio, di tutte queste guardature: so questo però, che sarebbe bene che vossignoria intendesse che se noi volavamo per incantesimo, anche per incantesimo io potei vedere tutta la terra e gli uomini tutti per ogni banda ch’io o noi li avessimo guardati. Se la signoria vostra non mi crede questo, molto manco crederà poi che, scuoprendomi accanto accanto alle ciglia, mi trovassi così vicino al cielo che non correa da me a lui la distanza di un palmo e mezzo, e posso adesso giurare, o signora, che il cielo è grande fuori di misura. L’azzardo volle che noi viaggiassimo dalla parte delle sette capre. — Delle Pleiadi, disse la duchessa. — In fede mia, non m’interrompa, replicò Sancio: sappia che al mio paese si chiamano le sette capre, e sino da bambino io era guardiano di esse. Osservando dunque da quella banda mi venne gran voglia di trattenermi con loro un poco, ma non le vidi: oh se non me la fossi cavata, mi sarebbe parso di scoppiare. Che pensa ella ch’io facessi allora? Senza dire niente ad alcuno, e nemmeno al padrone, pian piano e senza essere sentito, smonto dal Clavilegno, e fo la mia conversazione colle capre per quasi tre quarti d’ora, e in tanto Clavilegno non si mosse dal suo posto neppure un momento„.

Durante questo discorso di Sancio intorno alle capre, dimandò il duca a don Chisciotte che cosa stesse pensando. Cui questi rispose: — Siccome tutte queste cose e tutti questi successi escono dell’ordine naturale, non è stupore che Sancio dica quello che dice; quanto a me non mi trovai nè in alto nè a basso, nè ho veduto cielo, nè terra, nè mare, nè arene. Vero è bensì che m’accusi di passar per la regione dell’aria, e di toccare eziandio quella del fuoco, ma non posso già credere che passassimo di là, perchè situata essendo quella del fuoco tra il cielo della luna e l’ultima regione dell’aria, non potevamo arrivare al cielo dove stanno le sette capre, delle quali Sancio parla, senza restarne bruciati: e poichè non avvampammo, o Sancio mente, o Sancio sogna. — Nè mento, nè sogno, rispose Sancio: e se non mi si crede, dimandino i contrassegni della tale o tal altra capra, chè per tal modo conosceranno se io dica il vero o no. — Orsù, Sancio, diteli, replicò la duchessa. — Sono, rispose Sancio, due verdi, due incarnati, due azzurri ed una cangiante. — Questa è una razza di capre del tutto nuova, disse il duca: e per la nostra regione della terra non si usano tali coloriti, voglio dire capre di tali colori. — La ragione è ben chiara, rispose Sancio, chè ci passa gran differenza dalla capre del cielo a quelle della terra. — Ditemi, o Sancio, soggiunse il duca: [p. 377 modifica]vedeste fra quelle capre qualche caprone? — Signor no, rispos’egli, ma intesi dire che niuno lassù supera i corni della luna„.

Bastarono queste dimande intorno al viaggio di Sancio, poichè correasi pericolo, altrimenti facendo, ch’egli avesse intenzione di passeggiare per tutti i cieli e di dar conto di quanto lassù si faceva senza essersi mosso mai dal giardino. In sostanza questo fu il fine della ventura della matrona Dolorida, che somministrò materia di rider ai duchi, non solo in quel tempo, ma in tutto il corso della loro vita. Sancio poi avrebbe avuto di che raccontare per secoli se fosse vissuto. Avvicinatosi don Chisciotte all’orecchio di Sancio, gli disse: — Sancio, se ti piace che io creda che tu vedesti nel cielo e cos da te narrate, io pretendo che tu debba credere a me tutto quello che ti raccontai di aver veduto nella grotta di Montèsino; e non dico altro„.

Note

  1. Luogo dove si giustiziavano i malfattori.