Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.2.djvu/377


capitolo xli 367

offesa da verun altro acciaro o da verun’altra mal’arte. Egli non ha a fare altro che torcere il bischero che sta qua sopra il collo, e volerà per l’aria fino dove Malambruno lo sta attendendo; ma perchè l’altezza e la sublimità del cammino non gli producano vertigini, bisognerà tener bendati gli occhi, finchè annitrirà il destriere, il che sarà segno di aver raggiunta la meta del viaggio„. Detto ciò e lasciato ivi Clavilegno, con bella grazia tornarono i Satiri per dove erano venuti.

Giunto appena il cavallo, la Trifaldi, quasi con le lagrime agli occhi, disse a don Chisciotte: — Valoroso cavaliere, le promesse di Malambruno si sono avverate; ecco qui il cavallo; crescono le nostre barbe ad ognuna di noi, e per ogni pelo di esse, siamo a supplicarti che tu ce le rada e cimi, null’altro restando a tal fine se non che tu salga col tuo scudiere, e dia felice cominciamento al nuovo viaggio. — Lo farò di buonissimo grado, disse don Chisciotte, e della migliore intenzione, o donna Trifaldi, senza andarmene a cercare guanciale, e senza mettermi sproni per non frapporre ritardi: tanto è il desiderio mio di vedere voi, o signora, e tutte le vostre matrone rase e pulite. — Ma non lo farò io, disse Sancio, nè di buona nè di cattiva voglia in modo alcuno: e se così è che questa rasura non si possa fare senza che monti in groppa lo scudiere, il mio padrone ne cerchi un altro che lo accompagni, ovvero trovino queste signore altra maniera di nettarsi il muso: chè io non sono già uno stregone da pigliarmi il gusto di andare per aria. E che direbbero gl’isolani miei sudditi quando sapessero che il loro governatore se ne va passeggiando per i venti? E ci è di più, che essendovi di qua a Candaia tremila leghe, se il cavallo si stanca, ovvero se il gigante si adira, noi tarderemo a tornare una mezza dozzina di anni, e non ci saranno più isole o isoli al mondo che mi conoscano. E poichè si suol dire che il pericolo sta nella tardanza; e quando ti dieno la vacchetta provvediti di una funicella, mi perdonino le barbe di queste signore, chè bene sta san Pietro in Roma, e voglio dire che io sto bene in questa casa dove mi fanno mille carezze, e dove aspetto la provvidenza promessami dal padrone di diventar finalmente governatore„. Disse allora il duca: — Amico Sancio, l’isola che vi ho promessa, non è mobile, nè fuggitiva, ed anzi ha radici sì profonde che giungono negli abissi della terra, nè potrebbero essere sbarbate nè sradicate per piccole scappatelle; e poichè vi è noto che io so non potere darsi officio di maggiore importanza di questo, e che non deve concedersi senza avervi un qualche guadagno, così per la mia ricompensa io mi contento di conferirvi il governo a patto solo che andiate col vostro signor don