Don Chisciotte della Mancia Vol. 2/Capitolo LXXIV
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Traduzione dallo spagnolo di Bartolommeo Gamba (1818)
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CAPITOLO LXXIV.
Come don Chisciotte cadde ammalato, e del testamento che fece e della sua morte.
Il notaio entrò con tutti gli altri in camera, e dopo avere scritto l’introduzione del testamento, e raccomandata a Dio l’anima di don Chisciotte con tutte le forme cristiane che sono d’uso, venendo ai legati, disse: — Item, è mia volontà che a Sancio Panza, il quale nella mia pazzia io m’aveva eletto scudiere, non sia cercato verun conto dei danari che teneva di mia ragione, essendo corse fra lui e me varie partite e disgusti e differenze. Se ne sopravanzassero, dopo essersi pagato di quanto gli debbo, il restante sia tutto suo, chè già sarà poca cosa, e in ogni modo buon pro gli faccia: e se quando io era pazzo mi era proposto di dargli il governo d’un’isola, ora che sono in giudizio gli darei il governo di un regno, se lo avessi, perchè la strettezza della sua condizione e la fedeltà meritano ogni cosa.„ Rivoltosi a Sancio, gli disse: — Perdonami, amico, quelle occasioni che ti ho date di parere pazzo con me, facendoti cadere nell’errore in cui io era che vi fossero o vi sieno al mondo cavalieri erranti. — Ahi, rispose Sancio in mezzo ai singulti, vossignoria non muoia, signor mio, pigli il mio consiglio, badi a vivere, chè non può fare l’uomo peggiore bestialità in questa vita del lasciarsi morire così alla babbalà, senzachè nessuno lo ammazzi, nè altre mani lo finiscano fuorchè quelle della malinconia: non si lasci per carità cogliere dalla poltroneria, e si levi di questo letto, chè anderemo in campagna vestiti da pastori, come siamo rimasti d’accordo; e chi sa che dietro a qualche bosco non troviamo la signora donna Dulcinea non più incantata, come è comune nostro desiderio: e se per caso vossignoria muore del dolore di essere stato vinto, ne dia a me tutta la colpa, e dica che se avessi strette un poco più le cinghie a Ronzinante, non sarebbe stramazzato; e già vossignoria avrà letto molte volte nei suoi libri di cavalleria che i cavalieri erano soliti scavalcarsi l’un l’altro, e che quello che oggi è vinto, dimani è vincitore. — Così è, disse Sansone Carrasco, e il buon Sancio è molto pratico di questi casi. — Signori, replicò don Chisciotte, andiamo pian piano, chè adesso nei nidi dell’anno passato non sono più uccelli: poc’anzi fui pazzo, ed ora sono savio; fui don Chisciotte della Mancia, ed ora, ripeto, non sono altro che Alonso Chisciano il buono: possano il mio pentimento e la mia ingenuità riguadagnarmi presso di voi, o amici, quella riputazione di cui una volta ho goduto; e seguiti a scrivere il signor notaio. — Item, lascio la mia facoltà ad Antonia Chisciana, mia nipote, ch’è qui presente, levando prima da essa quanto occorre per soddisfare a tutti i legati da me istituiti, ed il primo intendo che sia quello di pagare il salario che devo alla mia serva per tutto il tempo che mi ha prestato la sua assistenza, e di più venti ducati da farsi un vestito. Nomino per esecutori testamentarii il signor curato ed il signor baccelliere Sansone Carrasco, qua presenti. Item, è mia volontà che se Antonia Chisciana, mia nipote, vorrà maritarsi, si accompagni ad un uomo, del quale si sappia per certo che non abbia letto mai libri di cavalleria; e nel caso che gli avesse letti, e che nullostante mia nipote lo volesse sposare, lo sposi pure, ma perda tutto quello che le ho lasciato, ed i miei esecutori possano a loro beneplacito distribuirlo in opere pie. Item, supplico i detti miei signori testamentarii che se la buona sorte facesse loro conoscere l’autore, il quale si dice che abbia scritta l’istoria che corre impressa col titolo di Seconda Parte delle prodezze di don Chisciotte della Mancia, gli dimandino perdono da parte mia con ogni affetto possibile per l’occasione che io gli ho data, senza volerlo, di scrivere quei tanti e sì grossi spropositi che in essa si leggono, perchè io mi distacco da questa vita collo scrupolo di avergliene dato motivo.„ Chiuse con queste ultime parole il suo testamento e côlto da uno svenimento, si distese nel letto quanto era lungo. Allora fu generale il disordine della famiglia, e tutti accorsero a dargli soccorso nei tre giorni che sopravvisse al testamento, cadendo di tratto in tratto in totale perdimento dei sensi. Ad onta del generale scompiglio, si pensava per altro al refrigerio, e la nipote mangiava, la serva brindeggiava e Sancio gozzovigliava; giacchè il fare eredità scancella o tempera negli eredi la memoria del dolore ch’è ben ragionevole che il morto lasci.
Giunse finalmente l’ultima ora per don Chisciotte, dopo avere avuti tutti i sacramenti e dopo avere abbominati con molte e sode ragioni tutti i libri di cavalleria. Il notaio allora disse ad alta voce: — Non ho mai letto in alcuna opera di cavalleria che un cavaliere errante sia morto nel suo letto così tranquillo e così cristianamente rassegnato come don Chisciotte.„ Tra la compassione ed il pianto dei circostanti egli dunque esalò lo spirito, e voglio dire morì; ed il curato ottenne dal notaio la legale testimonianza che “Alonso Chisciano il buono, chiamato comunemente don Chisciotte della Mancia, era passato da questa presente vita, e morto naturalmente.„ Si volle questa giurata prova per togliere l’occasione che qualche altro autore, diverso da Cide Hamete Ben-Engeli, lo facesse risuscitare con falsità e dettasse interminabili storie delle sue prodezze. E questo fu il fine dell’ingegnoso Idalgo della Mancia, la cui patria non volle Cide Hamete rendere chiaramente nota per lasciare che tutti i paesi e i villaggi della Mancia contendessero tra loro per affigliarselo e tenerlo per suo, come contesero per Omero le sette città della Grecia.
Non si registrano in questo luogo le lamentazioni di Sancio, della nipote e della serva di don Chisciotte, nè i nuovi epitaffi della sua sepoltura. Sansone Carrasco però gli pose il seguente:
“Giace qui il forte idalgo salito a tal grado di valore, che morte non potè trionfare di lui nel suo morire.
“Affrontò tutto il mondo e vi recò lo spavento; e fu sua ventura viver pazzo e morir rinsavito.„
Qui poi il prudentissimo Cide Hamete rivoltosi alla sua penna, disse: — O pennuzza mia, tu rimarrai qua attaccata a questo uncino e a questo filo di rame, non so quanto ben temperata, e tu vivrai per lunghi secoli, se prosuntuosi e malevoli istorici non ti vengano a distaccare per profanarti: ma primachè ti tocchino, li puoi avvertire e dir loro nel miglior modo che sai:
“Via, gente perversa, che nessuno mi tocchi; perocchè questa impresa, o buon re, era serbata a me solo.1„
Per te sola nacque don Chisciotte, e tu per lui: egli seppe fare e tu scrivere; voi due soli siete d’accordo ad onta e a dispetto dello scrittore finto e tordesigliesco, il quale ardì o vorrà ancora ardire di scrivere con mal temperata penna di struzzo le prodezze del valoroso nostro cavaliere, il che non è peso dalle sue spalle, nè opera dal suo agghiacciato ingegno. Lo avvertirai, o penna, se giugni per caso a conoscerlo, che lasci riposare in pace nella tomba le stanche e già guaste ossa di don Chisciotte, e non lo voglia portare a Castiglia la vecchia, facendolo escire dalla fossa dove realmente e veridicamente giace disteso quanto egli è lungo, e nell’assoluta impossibilità di fare la terza giornata od altre nuove peregrinazioni. Per pigliarsi giuoco delle tante che fecero tutti i cavalieri erranti, bastano bene le due ch’egli ha eseguite con tanto gusto e diletto delle genti che n’ebbero notizia sì in questi come in altri regni stranieri. Resterà così satisfatta la cristiana tua professione consigliando al bene chi ti vuol male; ed io autore rimarrò assai contento di essere stato il primo che abbia goduto per intero il frutto degli scritti miei, com’era mio desiderio. Non altro volli se non che mettere in abbonimento degli uomini le finte e spropositate istorie dei libri di cavalleria, i quali, la mercè delle venture accadute al mio vero don Chisciotte, vanno a quest’ora inciampandole senz’alcun dubbio cadranno poi onninamente.
Note
- ↑ Antica romanza.