Don Chisciotte della Mancia Vol. 2/Capitolo L
Questo testo è completo. |
Traduzione dallo spagnolo di Bartolommeo Gamba (1818)
◄ | Capitolo XLIX | Capitolo LI | ► |
CAPITOLO L.
Si dichiara quali furono gl’incantatori e i carnefici che frustarono la matrona e pizzicarono don Chisciotte; e si narra quanto accadde al paggio che portò la lettera a Giovanna moglie di Sancio Panza.
Ora ci narra la storia che il paggio era molto avveduto, scaltrito ed assai voglioso di compiacere ai suoi padroni, e che molto volentieri se ne andò al paese di Sancio. Prima di entrarvi vide che stavano parecchie donne lavando presso ad un fiumicino, e dimandò loro se sapessero indicargli se nel paese stesse una donna chiamata Teresa Panza, moglie di certo Sancio Panza scudiere di un cavaliere chiamato don Chisciotte della Mancia. A questa dimanda si alzò in piedi una giovinetta che stava anch’essa lavando, e disse: — Questa Teresa Panza è mia madre, e questo tal Sancio è il mio signor padre, ed il cavaliere che dite è il nostro padrone. — Venite dunque, o ragazza, disse il paggio, e conducetemi a vostra madre, chè io ho da darle una lettera ed un regalo per parte di vostro padre. — Ben volentieri, signor mio, rispose la ragazza, ch’era di circa quattordici anni: e lasciati i panni che lavava in custodia ad altra sua compagna, senz’assettarsi il vestito o mettersi scarpe, a piè scalzi e scapigliata com’era, saltò dinanzi alla cavalcatura del paggio, e disse: — Venga vossignoria, chè la nostra casa sta all’entrare nel paese, e vi troverà mia madre molto appassionata perchè sono molti e molti giorni che non ha nuove del mio signor padre. — Eh le porto io e buone, disse il paggio; e tanto buone che ne ringrazierà Dio„. Saltellando pertanto e correndo, e tutta giuliva giunse la giovane al paese, e prima di entrare in casa gridò dalla porta: — Venga giù, mamma Teresa, venga giù, faccia presto ch’è qua un signore che porta lettere e buone nuove di mio padre„. A queste grida uscì fuori Teresa Panza sua madre, che stava filando una matassa di stoppa, ed aveva la zimarra bigia sì corta che lasciava scoperte quasi più che le gambe, con bustarello pure bigio e con iscollatura. Non era vecchia gran fatto, tuttochè mostrasse oltre i quarant’anni, ma forte, soda, nerboruta, fatticcia. Vedendo sua figlia e il paggio a cavallo, disse: — Che cosa è di nuovo, figliuola mia? che signore è questo? — È un servitore della mia signora donna Teresa Panza, rispose il paggio; e, detto ciò, smontò da cavallo, e venne a mettersi molto umilmente in ginocchio dinanzi alla signora Teresa, dicendole: — Mi dia la signoria vostra le mani, mia signora donna Teresa, legittima e particolare consorte del signor don Sancio Panza governatore in anima e in corpo dell’isola Barattaria. — Eh signor mio, stia cheto, non dica queste cose, rispose Teresa, chè io non sono niente palazziera, ma povera contadina, figliuola di un rompilegna, e moglie di uno scudiere errante, e non di un governatore. — Vossignoria, rispose il paggio, è moglie degnissima di un governatore arcidegnissimo; ed in prova di questa verità pigli questa lettera e questo regalo:„ e cavò allora di tasca la filza di coralli con punte d’oro, e gliela mise al collo dicendo: — Questa lettera è del signor governatore, e quest’altra con i coralli è della mia signora duchessa che la manda a vossignoria„. Tanto Teresa come sua figliuola erano attonite, e la ragazza disse: — Possa morire se qua non c’è qualche cosa del nostro signor padrone don Chisciotte, che deve aver dato a mio padre il governo o la contea che tante volte gli aveva promesso. — Così è per lo appunto, rispose il paggio, mentre in contemplazione del signor don Chisciotte è ora il signor Sancio governatore dell’isola Barattaria come si leggerà in questa lettera. — Me la legga vossignoria, signor gentiluomo, disse Teresa, perchè io so filare, ma non so leggere una parola. — E nemmeno io, soggiunse Sancetta; ma favoriscano di aspettare, chè io andrò a chiamar o il signor curato stesso o il baccelliere signor Sansone Carrasco, i quali verranno volentieri, la leggeranno, e ci daranno le nuove del signor padre. — Eh non occorre chiamare alcuno, soggiunse il paggio; chè io non so filare ma so leggere, e la leggerò„. Allora la lesse per disteso, nè qui si ripete per essere già stata riportata più sopra. Ne trasse poi di saccoccia altra della duchessa, la quale diceva così:
“Amica Teresa. Le buone parti della bontà e dell’ingegno di vostro marito Sancio, mi mossero ed obbligarono ad interessare il duca mio marito, perchè gli desse il governo di una delle molte isole che possede. Ho notizia ch’egli governa come un girifalco; di che mi trovo molto soddisfatta, e lo è ancora il mio signor duca. Io ringrazio vivamente il cielo di non essermi ingannata nell’averlo trascelto a quel posto, perchè voglio che sappiate, mia signora Teresa, che difficilmente si trova un buon governatore nel mondo; e così mi aiuti Iddio come Sancio governa. Vi accompagno, amica mia, con la presente una filza di coralli con punte d’oro, e vorrei che fossero perle orientali; ma chi ti dà l’osso non ti vorrà vedere morta, e verrà tempo che ci conosceremo e converseremo insieme, e Dio sa quello che sarà. Tenetemi raccomandata a Sancetta vostra figliuola, e ditele da parte mia che si apparecchi, che io la voglio maritare altamente quando meno se lo pensi. Mi viene detto che codesto paese abbonda di ghiande grosse, mandatemene un paio di dozzine chè ne terrò molto conto per venire dalle vostre mani. Scrivetemi a lungo, e datemi nuove della vostra salute e del vostro bene stare. Se qualche cosa vi occorre non avete da far altro che aprire la bocca; chè sarete servita per lungo e per largo. Dio vi guardi.
Di questo luogo, la vostra amica che vi vuol bene,
la duchessa„.
— Oh! gridò Teresa, sentendo la lettera, oh! che buona, che affabile, che umile signora! Ah con queste sì mi caccino sotto terra, ma non già colle cittadine che si usano in questo paese, che si figurano per esser tali che il vento non le abbia da toccare; e vanno alla chiesa con albagia come se fossero regine; e pare proprio che elleno si rechino a disonore di dare un’occhiata ad una contadina! Vedete qua, che questa signora, duchessa com’è, mi chiama amica, e mi tratta come se fossi una sua uguale; ma io con tutto il cuore vorrei vederla uguale in altezza al più alto campanile che sia nella Mancia. In quanto poi alle ghiande, signor mio, ne manderò alla sua signora un quartaccio, e tanto grosse che le potrà mostrar a tutti per maraviglia. Sancetta, resta qua a far accoglienza a questo illustrissimo; conduci poi il suo cavallo dove ha da stare: va per delle uova nella stalla, taglia prosciutto all’ingrosso, e diamogli a mangiare come se fosse un principe, perchè le buone nuove che ci ha portato, e quel buon viso ch’egli ha, meritano tutto: io corro intanto alle mie vicine per dare loro nuova della nostra allegrezza, e vado dal curato e dal maestro Nicolò barbiere, che sono e sono stati sempre buoni amici di tuo padre. — Lasciate fare a me che mi porterò bene, madre mia, rispose Sancetta; ma ricordatevi che dovete darmi la metà di questi coralli, perchè non credo che la signora duchessa sarà stata tanto balorda da mandarla tutta per voi. — Tutta è per te, figliuola, rispose Teresa; ma lasciamela portare al collo per alquanti dì, che pare proprio che mi si allarghi il cuore. — Vossignorie sì rallegreranno di più, disse il paggio, allorchè vedranno il fagotto che sta in questo portamantello, e ch’è un vestito di panno sopraffinissimo che il governatore don Sancio portò un giorno solo alla caccia, e questo lo manda tutto intero per uso della signora Sancetta. — Oh che possa vivere mille anni, soggiunse questa, ed altrettanti anni chi me lo porta, ed anche due mila se occorre„.
In questo uscì Teresa di casa con le lettere e con la filza al collo, e andava battendo le dita sulle lettere come se suonasse un cimbalo; e trovati a caso il curato e Sansone Carrasco, cominciò a saltellare ed a dire: — Alla fè’ che non vi è più parente povero; oh abbiamo adesso un governuccio! vengano mo adesso a contrastare con me queste prosontuose dttadine, chè io darò a divedere chi sono. — E che vuol dire ciò, Teresa Panza? che pazzie sono le vostre? che lettere queste? disse il curato. — La pazzia, ella rispose, non è altro se non che queste sono lettere di duchesse e di governatori, e questi che porto al collo, sono coralli fini, e le ave marie e i pater nostri sono di oro a martello, e io sono governatora. — Noi non v’intendiamo, disse il curato, nè sappiamo quello che vogliate dire. — Adesso capirete tutto, rispose Teresa;„ e detto fatto mise nelle loro mani le lettere. Il curato le lesse in maniera che Sansone Carrasco ne intese il contenuto, l’uno e l’altro si guardarono in faccia come stupefatti di ciò che avevano letto. Il baccelliere dimandò chi avesse recate quelle lettere. Rispose Teresa che la seguitassero fino a casa, e che avrebbero visto il messaggiere, che era un giovanotto bello come un angelo, e che le aveva portato altro regalo che valeva quello che sta bene. Il curato le levò i coralli dal collo, li guardò, li tornò a guardare, ed accertatosi che erano dei fini, tornò a fare le maraviglie, e disse: — Per l’abito che porto che non so nè che mi dire nè che pensare intorno a queste lettere ed a questi doni: da una parte veggo e tocco il molto pregio di questi coralli, e dall’altra osservo che una duchessa manda a dimandare due dozzine di ghiande. — Chi l’ha mai da capire? disse allora Carrasco: orsù andiamo a vedere il portatore di questi dispacci, ch’egli ci chiarirà le difficoltà che ci si parano innanzi„. Così fecero, e Teresa se ne tornò a casa in loro compagnia.
Trovarono il paggio che stava vagliando un poco di biada per la sua cavalcatura, e Sancetta occupata a tagliare il presciutto per fare una frittata rognosa da darla a mangiare al paggio, della cui presenza, e del cui buon arnese rimasero Sansone Carrasco ed il curato assai soddisfatti. Dopo i saluti scambievoli lo pregò Sansone che gli desse novelle di don Chisciotte e di Sancio Panza; chè sebbene avesse veduto le lettere di Sancio e della signora duchessa, rimaneva tuttavia confuso, nè sapeva indovinare che cosa si fosse quel governo di Sancio, nè quella isola, perchè tutti o la più parte dei governi e le isole del Mediterraneo sono in dominio di sua maestà. Rispose il paggio: — Io non vado a fare quistione se sia isola o no quella che il signor governatore governa, ma vi basti sapere che è un paese che conta mille fuochi. Quanto all’affare delle ghiande, la signora duchessa è tanto affabile ed umile che non solo manda a chieder ghiande ad una contadina, ma non si astiene talvolta di pigliare a prestito sino il pettine dalle sue vicine. Voglio che sappiano vossignorie che le signore di Aragona, tuttochè sieno di grande nobiltà, non la guardano punto così pel sottile, nè sono gonfie e pettorute come le signore castigliane; ma trattano famigliarmente e alla dimestica con tutti„. Stando così discorrendo, saltò fuori Sancetta con la falda piena di uova, e dimandò al paggio: — Signore, mi dica, di grazia: dopochè il mio signor padre è governatore, porta egli le calzette strette? — Non ci ho posto mente, rispose il paggio, ma ardirei dirvi che sì. — Ah mio Dio, replicò Sancetta, che bella cosa ha da essere a vedere il mio signor padre con quelle calze! Sappiate che da quando io sono nata, e sin da quando era ancora picciola picciola ho sempre avuto gran voglia di vedere mio padre con questa sorta di calze. — Oh purch’ei viva, rispose il paggio, lo vedrete andare con altro che con queste cose; e credetemi che se dura governatore per due mesi ancora si vedrà camminare col pappafico„. Si accorsero molto bene il curato ed il baccelliere che il paggio andava parlando ironicamente, ma la finezza dei coralli e l’abito da caccia inviato da Sancio, e che Teresa aveva loro mostrato, li mettevano nuovamente in imbarazzo; nè lasciarono di rider del desiderio di Sancetta, e molto più quando Teresa disse: — Signor curato, faccia in grazia diligenza per il nostro paese se trova qualcuno che vada a Madrid o a Toledo, chè io vorrei che mi comperasse una faldiglia tonda, bella e fatta, che da di moda e delle migliori che si trovino; perchè davvero davvero che voglio far onore al governo di mio marito per quanto mai possa: ed anche se mi salta l’umore sono donna da andare io alla corte e da adoperare un cocchio come le altre; chè colei che ha suo marito governatore può molto bene provvederlo e mantenerlo. — Oh parlate pur bene, madre mia, disse Sancetta: e piacesse a Dio che fosse oggi piuttosto che dimani: e poco importa che coloro che mi vedessero seduta nel cocchio colla signora madre dicessero: Guardate là la tale e la quale, la figliuola di colui che sempre mangiava àgli; guardate là ch’è seduta e distesa che la pare una papessa; ma noi lasceremo che pestino il fango, e intanto anderemo nel cocchio coi piedi alti da terra, e mal anno e mal mese e mala settimana a quanti mormoratori sono al mondo, purchè noi altre abbiamo del bene: e chi non ne ha suo danno: non parlo io bene!„ Rispose Teresa: — Tutte queste venture, ed anche maggiori, me le ha profetizzate il mio caro Sancio; e tu vedrai, o figlia, che la finirò col diventare contessa, perchè tutto consiste che la fortuna cominci; e come ho sentito dire più volte dal tuo buon padre (che si può dire anche il padre dei proverbii) quando ti diano la vacchetta corri per la funicella e tienla stretta: se ti concedono un governo e tu piglialo: se ti danno una contea acchiappala: quando ti stuzzicano con qualche donativo dàgli di mano: e non occorre dormire e fare i sordi alle buone e prospere venture che battono alle porte delle case. — E che importerà a me, disse Sancetta, che quando mi vedranno intonata e fantasiosa, dicano: il cane si è vestito con le brache di lino? con quello che seguita„. Ciò udendo il curato, disse: — Conviene pure che io confessi che tutti di questa razza dei Panza nacquero con un sacco di proverbi in corpo, mentre non ho veduto alcuno di costoro che non li diffonda a tutte le ore e in ogni discorso. — Questo è vero, disse il paggio, perchè il signor governatore Sancio ad ogni poco ne vuota un sacco, e quantunque pochi cadano a proposito, contuttociò danno gusto; e la mia signora duchessa e il mio signor duca ne dicono molto bene, e li celebrano quando li sentono. — Ma come mai, disse allora il baccelliere, può vossignoria insistere nel farci credere che Sancio sia diventato governatore, e che vi sia una duchessa al mondo che gli mandi doni e che gli scriva? Noi altri tuttochè tocchiamo con mano questi regali ed abbiamo vedute queste lettere, non ci prestiamo però fede, e pensiamo che questa sia una delle solite stravaganze di don Chisciotte nostro compatriotta, il quale tiene che tutto segua per incantamento: e sto quasi per dire che vorrei anch’io toccare e palpare vossignoria per vedere s’ella è imbasciatore fantastico, od uomo di carne e di ossa. — Signori, altro non so di me, rispose il paggio, se non che io sono imbasciatore davvero, e che il signor Sancio Panza è governatore effettivo, e che i miei signori duca e duchessa possono conferire ed hanno conferito il tale governo, e che intesi dire che il signor Sancio Panza si porta valentissimamente: se in tutto questo vi sia incantesimo o no, la disputino fra loro signori: chè io, per la vita de’ miei genitori che sono vivi, e che amo assai, non ne so altro. — Potrà essere ogni cosa, replicò il baccelliere; ma dubitat Augustinus. — Dubiti chi ne vuole, rispose il paggio; verità è quanto ho esposto, e la verità dee andare sopra la bugia come l’olio sopra l’acqua; e quando che no, operibus credite et non verbis: e se vuole venire con me qualcuno di loro signori, vedranno coi loro occhi propri quello che non credono coi loro orecchi. — Verrò io, verrò io, disse Sancetta, e vossignoria mi porterà in groppa al suo ronzino, e verrò molto volentieri a vedere il mio signor padre. — Le figliuole dei governatori, disse il paggio, non devono andar sole per le strade, ma accompagnate da carrozze e livree e da gran numero di servitori. — Oh ci bado io bene! rispose Sancetta; io sono donna, vedete, da andarmene tanto sopra di un asinelio come seduta in carrozza: sì che l’avete trovata la schizzinosa! — Taci, ragazza, disse Teresa, chè tu non sai quello che ciarli, e questo signore sa bene come parla quando ci fa capire che chi ha buon senno si regola a seconda dei casi; e quando Sancio e Sancia, e quando governatore e signora... e in somma bisogna entrare nello spirito delle cose. — La signora Teresa dice più che non pensa, disse il paggio: ma mi diano a mangiare, e mi spediscano con sollecitudine perchè fo conto di tornarmene stasera„. Disse il curato: — Vossignoria verrà a fare penitenza con me, perchè la signora Teresa ha più buona volontà che masserizie per servire degnamente un ospite tanto gentile„. Non voleva il paggio accettare, ma poi la finì col gradire l’invito per istare a suo migliore agio; ed il curato lo condusse seco assai volentieri per avere comodo d’informarsi bene di don Chisciotte e delle sue prodezze. Il baccelliere si offerse a Teresa per iscrivere la risposta alla lettera, ma ella non volle che s’immischiasse nei fatti suoi, perchè lo teneva piuttosto in conto di burlone. Diede una ciambella e una coppia d’uova ad un chierichetto che sapeva scrivere, e questi dettò due lettere, una per suo marito ed un’altra per la duchessa: lettere uscite fuora del suo cervello; e siccome non sono delle peggiori, così non riescono indegne di essere inserite in questa grande istoria, come si vedrà più avanti.