Discorso sul testo della Commedia di Dante/V

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[p. 139 modifica]V. La poesia primitiva sgorgava spontanea da quelle epoche singolari insieme e brevissime, e più meritevoli d’osservazione, nelle quali i fantasmi dell’immaginazione erano immedesimati nelle anime, nella religione, nella storia, e in tutte le imprese, e per lo più nella vita giornaliera de’ popoli. Oggi la finzione poetica, e le dottrine filosofiche e religiose, e la pratica della vita, e fin anche le più generose fra le passioni del cuore, sembrano non pure dissimili, ma separate nella mente d’ogni uomo da larghi intervalli. Pur dove la poesia viene stimata fittizia, riesce meno efficace, e giova appena di stimolo empirico al torpore morboso della fantasia — se pur giova. Perchè oggimai non siamo eccitati dalla materia nè dal lavoro; bensì dalla ammirazione per l’arte e l’artefice. A che abbiamo noi bisogno di critici, se non perchè siamo tardissimi e freddi a sentire [p. 140 modifica]nell’arte il potere della natura? Che gli uomini lontani ad un modo e dalla stupidità della barbarie e dalla scientifica civiltà non fossero tocchi di manìa, nol direi. Parrebbe anzi che la fantasia s’immedesimasse nelle passioni, negli organi della mente e ne’ sensi, come fosse facoltà unica, o predominante sulle altre, e predominata potentemente essa pure da pochissime idee fitte, ardenti, profonde, che insistevano ad affaccendarla. Vedevano il mondo naturale nel teologico: confondevano la vita e la morte, e non per via d’astrazioni, ma viveano co’ morti, udivano demoni: conversavano con gli abitatori del cielo. Qualunque pur sia il punto intermedio in che i popoli, nel loro corso invisibile dalla stupida infanzia dello stato selvaggio alla corrottissima decrepitezza della civiltà, si sentono meno miseri, pur è manifesto che l’umana ragione si sta fra gli estremi della manìa e della fatuità: e forse ci siamo; quand’oggi molti cercando la realtà in ogni cosa, vivono a ricredersi di ogni religione, e a morire paurosi di tutte. Ad ogni modo, fra l’età poetica e la scientifica il tempo s’è frapposto sempre di tanto che l’una rimase oscurissima all’altra. E se pure non sorridiamo arrogantemente di popoli a’ quali unica voluttà d’intelletto era la poesia, non però stiamo meno attoniti a’ loro poeti, ridomandando quale si fosse la terra e l’epoca procreatrice del Genio gigante.

Note