Discorso sul testo della Commedia di Dante/IV

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[p. 138 modifica]IV. S’agitava, quand’io mi partii, la contesa, se fosse migliore o peggiore il despotismo irrequieto del genero; regnatore nuovo e plebeo per conquista — o la quetissima tirannia del suocero; procreato di razza regale e succeduto nella dittatura de’ principini in Italia in virtù di trattati. La disperazione e le pazze speranze aspreggiavano la discordia; però che gli uni avevano perduto assai, e gli altri si promettevano d’acquistare ogni cosa. Pur non potendo prorompere a chiare parole, cominciarono a spassionarsi sotto le apparenze del problema: se sia da stare all’antica scuola di letteratura, o alla nuova. — E questa nuova riescirà sterilissima: sì perchè, emancipandosi da’ Greci e Latini, imita tuttavia forestieri, e sì perchè l’imitazione essa pure lavora paurosa, ed esosa al principe, quasi sia stata promessa da quanti oggi fidano nella perfettibilità illimitata dell’uomo. Presentono universale la libertà ne’ progressi irresistibili della ragione, e nella divinità dell’opinione pubblica, com’essi la stimano. Forse oggi s’avveggono, che ogni ragione si dilegua annientata dalla vera, unica, eterna forza de’ fatti; e che la umana razza grida, tace e si ricrede per obbedire, non so se alla provveduta, o fatale, o fortuita, ma certamente onnipotente necessità del presente, che fa dimenticare l’esperienze del passato, e accieca intorno agli [p. 139 modifica]avvisi dell’avvenire imminente. Ne le opinioni prevalgono mai se non quanto regnano in compagnia della forza de’ governi per cui solo possono prosperare; e si mutano a un tratto quando ogni forza di popoli e di governi s’atterra abbattuta dilla forza del tempo, che si porta via quelle opinioni, poi le riporta, tanto che tornino a predominare per cedergli nuovamente. L’illusione, che l’universalità de’ popoli illuminata dalla filosofia costringerà i loro signori a ridurre le monarchie tutte d’Europa a liberali costituzioni, affrettò gl’Italiani alla prova sciaguratissima di fondare libertà teorica dove non era indipendenza, nè patria. Così innanzi di avere cacciato un esercito forestiero all’oriente di là dall’Alpe, accattarono costituzione forestiera dall’occidente. E che pro? quand’anche dovendo operare a difenderla contro a leghe di principi ipocriti, discorrevano a questionare come, dove, quando dovesse alterarsi? tanto gl’innamorati filosofici della libertà sembrano destinati nè ad acquistarla, nè a perderla virilmente. In quali condizioni la letteratura si rimanesse d’allora in qua, non l’ho mai risaputo, nè domandato. Pare a ogni modo — che la religione per l’antica scuola sta forse a rischio di vedersi ricondotta da’ Gesuiti a superstizioni dimenticate oggimai da trent’anni — che l’ammirazione alla nuova darà da piangere a molte madri, ed emolumenti alle spie — e che sì l’una che l’altra promoveranno il sapere e l’originalità degli ingegni fino a’ termini conceduti dalla alleanza della dittatura Tedesca e dell’Ecclesiastica; ma né un passo più in là. Pur è somma ventura che oggi pochi, se pur taluni, dissentano dall’opinione che il poema di Dante domanda d’essere meditato assiduamente. Molti nati per avventura a lavori più lieti accorrono a sudare intorno alle edizioni di quel libro. Nè di certo ritroveranno rifugio migliore agli studi e all’ingegno; da che oggimai nè durata di triste condizioni politiche, nè vicissitudini di regni e di religioni, nè forza umana potranno distruggerlo o proibirlo. Di quanto sarà più illustrato tanto più gioverà ed in più modi; e le fatiche arriveranno aspettate alla letteratura fuori d’Italia.

Note