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138 | discorso sul testo del poema di dante |
perstizione alle vecchie dottrine letterarie, e la affettazione di forestiere, l’una e l’altre aggravate dalla pubblica servitù — che oggi è pessima — hanno prolungato certa guerra per la quale, nè più nè meno che nelle virili di sangue, all’Italia non ne rimarranno che i danni. Diresti che s’argomentino — alcuni d’imprigionare la mente de’ loro concittadini nel cranio degli arcavoli — e alcuni d’esiliarla lontano dalle consuetudini e dalle illusioni, e dall’aria propria d’Italia, e dalle reminiscenze delle origini Greche e Romane della loro patria, e da’ fantasmi e da’ nomi di quella poesia, senza la quale Canova non avrebbe mai potuto ideare le Grazie. Forse in Roma per la greca lingua che v’abbellì le belle arti ne resta la gratitudine; e so che ove alcuni nelle altre città tuttavia la professino, sono non foss’altro ammirati da chi non lo sa; ma testi e commenti vi arrivano oggimai da più tempo dalla Germania, dove la dottrina somma e la industria più che umana sono di rado ajutate dalla velocità dell’ingegno. Credo che della scuola di Padova, ove la lingua latina era custodita sino a’ miei giorni, sopravvivano molti; ma la diresti fedecommesso lasciato a promovere l’educazione de’ preti. Di parecchi frammenti illustrati d’antichi fra questi ultimi quindici anni, alcuni pochissimi non sono disutili, se non che dalle magnificenze che se ne dissero, escono indizj di povertà alla quale ogni piccolo nuovo acquisto pare tesoro. Spesso la oziosa curiosità letteraria loda perchè non guarda; poscia ne ride: e davvero que’ frammenti furono dissotterrati con solennità di panegirici; quasi cadaveri sollevati alla venerazione popolare sopra gli altari.
IV. S’agitava, quand’io mi partii, la contesa, se fosse migliore o peggiore il despotismo irrequieto del genero; regnatore nuovo e plebeo per conquista — o la quetissima tirannia del suocero; procreato di razza regale e succeduto nella dittatura de’ principini in Italia in virtù di trattati. La disperazione e le pazze speranze aspreggiavano la discordia; però che gli uni avevano perduto assai, e gli altri si promettevano d’acquistare ogni cosa. Pur non potendo prorompere a chiare parole, cominciarono a spassionarsi sotto le apparenze del problema: se sia da stare all’antica scuola di letteratura, o alla nuova. — E questa nuova riescirà sterilissima: sì perchè, emancipandosi da’ Greci e Latini, imita tuttavia forestieri, e sì perchè l’imitazione essa pure lavora paurosa, ed esosa al principe, quasi sia stata promessa da quanti oggi fidano nella perfettibilità illimitata dell’uomo. Presentono universale la libertà ne’ progressi irresistibili della ragione, e nella divinità dell’opinione pubblica, com’essi la stimano. Forse oggi s’avveggono, che ogni ragione si dilegua annientata dalla vera, unica, eterna forza de’ fatti; e che la umana razza grida, tace e si ricrede per obbedire, non so se alla provveduta, o fatale, o fortuita, ma certamente onnipotente necessità del presente, che fa dimenticare l’esperienze del passato, e accieca intorno agli av-