Discorso sul testo della Commedia di Dante/Al lettore
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AL LETTORE
A chi paresse quest’Edizione diversa in tutto dall’una disegnata da me in un manifesto fatto pubblico sul principio dell’anno 1824 — troverà qui alcune ragioni che m’indussero anzi a indugiare che a mutare il mio proposito; e insieme alcuni avvertimenti sì ch’egli ed altri possano giovarsi di questi volumi.
Da che l’autore si tolse per soggetto della Commedia il secolo suo, ed ei se ne fece protagonista, l’animo mio era che fosse preceduta da un volume col titolo: «Storia della vita, de’ tempi e del poema di Dante.»
E perchè tanta dottrina in letteratura e scienze, della quale le opere di lui sono talvolta luminosissime, non poteva originare da ispirazione, io intendeva di corredare ciascheduna Cantica di alcuni discorsi brevissimi ne’ quali la Storia e la Poesia s’illustrassero scambievolmente non solo intorno agli avvenimenti dell’età media accennati da Dante, ma molto più intorno alle fonti antiche, dalle quali il lume della filosofia de’ Romani e de’ Greci, traversando a raggi rotti ed incerti per entro i secoli tenebrosi della barbarie, era giunto quasi a riaccendersi nella sua mente.
Esposizione veruna non era mio intendimento di aggiungere al testo. L’aiuto migliore, anzi l’unico che il critico possa somministrare, consiste, parmi, nell’osservare i fatti reali, che il poeta adornò d’illusioni — l’ingegno suo o nell’inventare, o nell’adoperare i mezzi efficaci al suo scopo — i popoli e i tempi ai quali intendeva di scrivere — e sopra tutto la cognizione del mondo e del cuore umano che può derivare dal Poema, quand’anche fosse privato della magia della illusione, e di tutti gli abbellimenti dell’arte. Allora anche quelli che non hanno l’anima temprata agli allettamenti della poesia, profittano, non foss’altro, delle lezioni dell’esperienza altrui. E si fatte illustrazioni utili in tutti i grandi poemi, sono richieste dalla necessità, quando l’autore aduna avvenimenti e individui infiniti, e li ravvolge sotto il velo della finzione, — quand’egli allude a tutto quello che il mondo sapeva a’ suoi tempi, e richiede che i suoi lettori sappiano assai più di quanto i più degli uomini sanno, — quand’egli è creatore della poesia d’un popolo, e con ingegno straordinario si giova di mezzi ignoti a’ sommi artefici che lo avevano preceduto, e inutili a quanti poi li hanno tentati — e finalmente, quand’egli è il primo e solo pittore dell’età sua, e osservatore de’ vizi, delle virtù, e de’ caratteri di tutti i viventi.
Dante infatti rappresentò la natura — come vive sostanzialmente invariabile nel genere umano — e come va rimutando sembianze per le modificazioni della società di secolo in secolo — e come l’uomo per la ingenita sua necessità d’illudersi perpetuamente, e di vivere ad un tempo in due mondi, l’uno reale l’altro immaginario, si lascia governare da regole di giustizia derivate dal Cielo. La natura invariabile era allora meno repressa. La civiltà era più impetuosa e più rapida ne’ suoi progressi e ne’ suoi cangiamenti. Le opinioni sulla giustizia celeste regnavano onnipotenti, e operavano invisibili, come sempre, sovra la terra; ma allora pareano visibili, così che negli avvenimenti, ne’ costumi ed individui di quell’età lo storico sa raramente discernere, se più la natura o la società o la religione regolassero la vita degli uomini. A Dante nondimeno riuscì di descriverle con più verità ed energia, perchè in ciascheduno dei tre compartimenti del suo Poema fa quasi sempre che l’una predomini su l’altre due: e non già, a quanto io credo, per disegno premeditato, bensì perchè ciascheduno de’ tre regni differentissimi di quel mondo ideale rispondeva spontaneamente a tre distinte intenzioni.
Adunque parevami che potesse riescire opportunissimo commento il premettere alla prima Cantica un Discorso intorno alle condizioni civili dell’Italia, perchè l’originalità dell’ingegno suo risultò in gran parte dalla originalità de’ suoi tempi; e però nell'Inferno ei ritrasse l’umana natura, qual’ei la vedeva schietta, violenta ed eroica, e quale vive a patire e operare fortemente in tutte le età mezzo barbare.
Al Purgatorio, dov’ei più spesso allude alle lettere, alle belle arti, alle case regnanti, alle leggi, e ai costumi del suo secolo, e si compiace di ragionare con poeti e pittori e cantori e artefici di stromenti, era destinato un Discorso intorno alla letteratura di quella era, a fine di rintracciare i principj, e i progressi, e le modificazioni della civiltà, alla quale il genere umano europeo cominciava allora a rinascere.
E alla Cantica terza era da premettersi un Discorso sullo stato della Chiesa d’allora, della quale Dante si professa riformatore per diritto della sua Missione Apostolica, esposta nel Discorso sul Testo. Osservando come la religione fosse sentita e praticata a quei giorni; quanto riuscisse utile o dannosa all’Italia; quanto e perchè Dante volesse rivocarla a’suoi primi istituti, avrei forse indotto taluni a percorrere d’allora in qua colla loro memoria i vantaggi che la loro misera patria derivò dalla Chiesa.
Se non che innanzi tratto importava indagare la lezione del Poema in guisa che potesse essere stabilita, se non per altri, almeno per me, tanto che le illustrazioni rispondessero al loro testo. Quante indagini e cure e carta necessitassero a questo lavoro, ne darà saggio la prima Cantica anche in questa edizione, comechè eseguita, pur troppo, in volume di poca mole.
La disegnata da me doveva stamparsi in quarto grande, e meno per l’Inghilterra che per l’Italia. Pur la fortuna (qui, dove le sue ruote girano sì rapidissime che stordiscono chiunque le guarda) me ne ha subitamente impedito; e l’età prossima a cinquant’anni mi avvisa
Quid brevi fortes jaculamur aevo multa?
Frattanto al librajo che si assunse la impresa, piacque che i tomi dovessero corrispondere alla forma degli altri poeti maggiori d’Italia ch’egli ha in animo di pubblicare. E inoltre desiderò, ed era giusto ch’io gli compiacessi, che non mancassero esposizioni di vocaboli, e nomi, e allusioni, a giovarne que’ lettori a’ quali esso mira, e che senz’altro s’abbatterebbero in nuove difficoltà ad ogni passo. Come siasi a ciò provveduto apparirà nell’ultimo volume.
Sulla Cantica dell’Inferno ho abbondato in osservazioni critiche su le varie lezioni, tanto che bastino a lasciar desumere poscia per quali ragioni e principj di critica io abbia nel testo del Purgatorio e del Paradiso accolte e rifiutate le varie lezioni, che io, senza allungarmi a discorrerne, registro a pie di pagina. I meriti de’ Codici e delle Edizioni di cui mi giovo sono osservati nell’esame critico de’ Testi a penna ed a stampa, aggiunto al volume ultimo. I Codici dell’Accademia della Crusca e il Cassinense, il Caetano, l’Angelico, il Vaticano, l’Antaldino, il Bartoliniano, lo Stuardiano, quei del Poggiali, del Mazzuchelli, di Guglielmo Roscoe, sono citati con le abbreviature Cr. Cass. Caet. Ang. Vat. Antald. Bar. Stu. Pog. Maz, Ros., ed alcuni altri a tutte lettere, perciocché occorrono raramente. Le abbreviature Vol. Edd. Fior. Edd. Bol. Edd. Pad. Ed. Ud. Ed. Bod. Ed. Nid. importano lezione Volgata della edizione degli Accademici della Crusca: Editori Fiorentini dell’edizione dell’Ancora: Bolognesi dell’edizione del Machiavelli: e Padovani della Tipografia della Minerva: la stampa del Codice Bartoliniano in Udine illustrato da Quirico Viviani: la Bodoniana per la quale vuolsi sempre intendere la lezione introdottavi dal Dionisi: e la Nidobeatina, che dove non trovisi accompagnata dall’aggiunto originale, addita il testo pubblicato secondo l'emendazione del Lombardi. Dov’è citata la Volgata e non la Nidobeatina, o la Nidobeatina e non la Volgata, significa che ho adottata la lezione di quella che è nominata. Queste due Edizioni si contendono oggi il primato (si qua est ea gloria!) in Italia, alla quale pur troppo i tempi di giorno in giorno par che inibiscano ogni altra gloria; e forse presto anche questa.
Le due prime Cantiche sono corredate in via d’illustrazioni insieme, e di documenti di poesia, storia, e di critica, delle tre sue canzoni nominate nel poema da Dante; delle sue tre epistole ricordate dagli Storici, e di tre canti dell’Inferno in esametri latini stimati a torto per suoi, e come fossero l’originale innanzi ch’ei si riconsigliasse a scriverlo in Italiano.
Dopo la terza Cantica ho aggiunto una Cronologia di avvenimenti connessi alla vita e al poema di Dante, avverata sugli Annali d’Italia, e documentata con estratti dalle opere di lui.
Il volume primo che avrebbe dovuto essere narrativo, e che or è intitolato Discorso sul Testo, s’è fatto polemico di necessità, per ciò che non avendo io spazio di raccontare, ho dovuto, non foss’altro, sgombrare gli errori a stabilire le opinioni mie, non da storico, ma da critico. Però a quel discorso per ora dovrò richiamarmi più ch’io non vorrei. Forse,
Poca favilla gran fiamma seconda.
Né parmi ch’io potrò dir lietamente addio all’Italia, e all’umane cose, se non quando le avrò mandato il suo poeta illustrato, per quanto io posso, da lunghi studj; e sdebitarmi verso di lui che mi è maestro non solo di lingua e poesia, ma di amore di patria senza adularla; di fortezza nell’esiglio perpetuo; di longanimità nelle imprese, e di disprezzo alla plebe letteraria, patrizia, e sacerdotale, della quale il genere umano ebbe ed ha ed avrà sempre necessità.
UGO FOSCOLO.