Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Vita dell'autore

Vita dell'Autore

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Dedica Dedicatoria a Zanobi Buondelmonti e Cosimo Rucellai

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VITA


DI


NICCOLÒ MACHIAVELLI



Niccolò Machiavelli nacque in Firenze l’anno 1469. Se al nome del Machiavelli fosse d’uopo di altri onori oltre a quelli che gli vengono dal suo talento, e dalle sue Opere, verremmo accennando in lungo ordine gli avi illustri dai quali discese, e diremmo ch’ei procedette da famiglia antichissima e nobilissima. Ma perchè sarebbe contro a ragione il cercare di accrescer lustro colla nobiltà degli avi ad un uomo che da sè solo basterebbe a far gloriosa un’intiera prosapia, diremo invece della sua vita quel tanto almeno che ne sappiamo dagli scrittori.

Non è ben certo in qual modo, nè da chi il Machiavelli fosse educato, nè quali studj prediligesse mentre era ancor giovanetto. Le notizie della sua vita cominciano dall’anno ventesimonono dell’eta sua, in cui gli fu conferita la carica di Cancelliere nella seconda Cancelleria dei Signori. Poco dopo fu eletto a Segretario nell’Officio dei Dieci, in cui stette per ben quattordici anni: e perchè quel[p. x modifica]l’Officio costituiva il governo generale della repubblica di Firenze, ne venne a lui il nome di Segretario Firentino. In questo Officio il Machiavelli mostrò tanta diligenza e tanta perizia nella condotta de’ pubblici affari, che immantinente ei venne in grandissima opinione appo tutti i suoi concittadini, e ricevette da loro incarichi della più grave importanza, sì al di dentro, come al di fuori della repubblica. Fra queste incombenze annoveransi molte ambascerie ai principali Potentati che allora fossero nell’Europa.

Ma dopo questi quattordici anni di servigi utili alla repubblica, e gloriosi per lui, caduta la potenza dei Francesi in Italia, e rientrati in Firenze i Medici, il Machiavelli fu privato della sua carica, esiliato, e poi (quasi per grazia) lasciato vivere nella sua patria, purchè non mettesse piede nel Palazzo dell’Alta Signoria. Accusato poi di aver congiurato con alcuni suoi concittadini contro il Cardinale de’ Medici, fu imprigionato, e secondo la barbara costumanza dei tempi, posto alla tortura, non senza pericolo della vita, come egli medesimo dice. Nè da queste persecuzioni e da questi gravi travagli fu liberato, se non se quando il Cardinale ridetto, salito sulla sedia Pontificia, accordò il perdono a tutti coloro contro i quali da qualche tempo veniva esercitando la sua vendetta. Chè anzi questo medesimo Papa che ebbe sempre una grande influenza sopra il governo della repubblica Firentina, poichè fu morto Lorenzo de’ Medici, gli [p. xi modifica]affidò di bel nuovo alcune pubbliche faccende, come a dire, le fortificazioni della città, le negoziazioni con Francesco Guicciardini, allora governatore della Romagna, e qualche incombenza nell’armata posta in campo dalla famosa Lega contro di Carlo V. E questo fu l’ultimo affare in cui si adoperò il Machiavelli. Perocchè ritornato a Firenze in sul finire del mese di Maggio 1527, morì nel Giugno successivo; colpa di un rimedio da lui preso intempestivamente.

Così può dirsi che la vita del Machiavelli fu tutta consacrata agli affari della sua patria, se non quanto ne lo distolsero le circostanze dei tempi, o l’inimicizia dei potenti. Ma anche nell’ozio pensava incessantemente alla repubblica da cui era stato rimosso, e poichè non poteva coi fatti, studiavasi di giovarla coi libri, e dettava precetti di politica, acconci principalmente a’ suoi tempi.

Le più importanti Opere del Machiavelli sono la Storia Firentina, il Principe, i Discorsi e l’Arte della guerra. Della Storia si ammira principalmente il primo libro, in cui l’Autore, cominciando dalla caduta dell’Imperio occidentale, descrive per sommi capi la Storia d’Italia fino al 1200 dove principia più minutamente la sua narrazione. Questo libro, che serve d’introduzione alla Storia, è lavorato con sì fino accorgimento, e con tanta chiarezza ed evidenza, che i giusti estimatori delle Opere letterarie lo paragonano a quello con che Tucidide incomincia la sua Storia, od a quegli [p. xii modifica]altri, ancor più conosciuti del Robertson e dell’Anacarsis. Ma per nostro giudizio il Segretario ha vinto il greco Scrittore nella chiarezza e nell'ordine con cui espone quell’immenso numero di avvenimenti che disciolsero la gran mole dell’Imperio romano e diedero nascimento alle recenti monarchie europee, nè fu superato dagli altri due Scrittori, se si riguardi alla brevità che ci sembra una dote precipua ed essenziale a così fatti lavori. In quanto poi alla Storia di Firenze, alcuni accusano il Machiavelli di aver qualche volta abbellite più presto che schiettamente narrate le cose: e recano di questo giudizio sì aperte ed inconcusse ragioni, da non potersi con sicurezza lavarlo da questa taccia. Alcuni altri hanno censurato l’ordine tenuto dallo Storico nella esposizione dei fatti, poichè segue non tanto i tempi quanto gli avvenimenti dei quali racconta distesamente il principio, il mezzo e la fine, contuttochè durino più anni: ne li interrompe per metter mano ad altri fatti che insieme con quelli siano occorsi: e quindi è necessitato a discorrer più volte uno stesso periodo di tempo. Con tutto ciò la sua Storia è piena di bella ed utile filosofia; ed è raccontata con uno stile schietto, elegante e tale da farsi leggere assai volentieri.

Il Principe è un libro che destò contro al Machiavelli, e le folgori della Chiesa, e l’indignazione dei Governi. Non è ben certo s’egli in quell’Opera si facesse veramente maestro di malvagità [p. xiii modifica]ai regnanti, o se invece sotto colore di dar tali precetti tendesse a svelare i difetti di qualche principe suo contemporaneo. Non v’ha dubbio però che la lettura di quel libro contrista l’animo con una continua dipintura delle arti più rovinose alla società.

I Discorsi sopra la prima Deca di T. Livio sono un’Opera di politica, diremmo quasi, pratica; in quanto che senza alcun apparato di sistema, e senza altro ordine, fuorchè quello dei fatti appartenenti alla Storia Romana (ai quali vien raffrontando quelli de’ tempi a noi più vicini), il Filosofo italiano studia le cagioni dell’ingrandimento di Roma e della sua decadenza, e ne deriva mirabili precetti pel reggimento delle moderne repubbliche.

L’Arte della guerra è scritta con sì profonda cognizione della scienza militare, da pregiarsene non solamente un uomo di toga, ma qualsivoglia comandante di eserciti, che fosse continuamente vissuto fra l’armi. Dalla meditazione sulle cose guerresche dei Romani deduce principalmente il nostro Autore i suoi precetti per migliorare gli ordini militari de’ suoi tempi, e principalmente per far proscrivere le mercenarie milizie, e rimettere in onore ed in uso l’infanteria di cui allora non tenevasi nessun conto. Alcuni però si sono fatti a censurare le dottrine di questo libro, ed altri lo hanno spregiato senza conoscerlo, quasi per imitare Annibale che rideva la vana eloquenza del retore che a lui voleva insegnare come si [p. xiv modifica]guerreggi e si vinca. Per costoro acconciamente disse l’Autore nel suo proemio: benchè sia cosa animosa trattare di quella materia della quale non ne abbia fatta professione, nondimeno io non credo che sia errore occupare con le parole un grado, il quale molti con maggior presunzione e con l’opera hanno occupato: perchè gli errori ch’io facessi scrivendo possono essere senza danno di alcuno corretti; ma quelli i quali da loro sono fatti operando, non possono essere se non con la rovina degl'Imperi conosciuti.

Alcuni si sono maravigliati che il Machiavelli occupato sempre com’era in affari politici, potesse scrivere un’Opera sì profondamente erudita intorno all’arte del guerreggiare. Or che dirassi dell’essersi egli fatto autore di commedie, e di poesie, e dell’aver côlti bellissimi allori anche su questo sentiero? Egli è, a dir vero, troppo gran danno, che come una parte delle Opere politiche del Machiavelli non può proporsi alla gioventù per la pericolosa condizione delle sue dottrine, così non pochi de’ suoi lavori letterarii non possono darsi a modello a motivo della loro immoralità. Chè del resto i suoi Capitoli sono tali da esser letti con molto buon frutto da chiunque si proponga di seguire la poesia soda e semplice dei nostri antichi; e le Commedie andrebbero tra le migliori italiane, principalmente rispetto ai tempi nei quali furono scritte. Il Voltaire diceva che la sola Mandragola vale più di tutte le Commedie del greco [p. xv modifica]Aristofane. Con tutto ciò, anche lasciate in disparte le Opere dalla censura politica o morale notate, ci resta del Machiavelli un numero di libri sufficiente non meno a conservare saldissima e fiorente la sua fama, che a recare moltissima utilità a coloro che in essi vorranno studiare.

E fra questi occupano un luogo distinto i Discorsi che noi presentiamo ai nostri Signori Associati. Le edizioni che abbiamo avute sott’occhio nel compiere questa nostra ci somministrarono un nuovo argomento per conoscere quanto siano tutte incerte e bisognose di ammende: e cercammo infatti coll'esame delle stampe migliori e col sussidio della critica di toglier di mezzo quegli sconci che molte volte guastano il senso, e non di rado deturpano l’eleganza di questo Scrittore.


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