Discorsi politici (Guicciardini)/IX. - Sullo stesso argomento. In contrario per la opinione che prevalse

IX. - Sullo stesso argomento. In contrario per la opinione che prevalse

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IX. - Sullo stesso argomento. In contrario per la opinione che prevalse
VIII. - Sulla proposta fatta ai Veneziani d'entrare nella lega contro i Francesi X. - Sulla proposta di alleanza fatta da Carlo V ai Veneziani

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IX

[Sullo stesso argomento.]

In contrario per la opinione che prevalse.


Quanto è piú importante, onorevoli senatori, la deliberazione che noi abbiamo a fare, tanto piú si conviene esaminarla bene, il che non si può fare se la non si disputa diligentemente; però non solo non debbe essere ributtato con interpretazioni strane chi viene in questo luogo a dire liberamente quello che gli intende, anzi merita essere laudato ed invitato, e si debbe riprendere chi si sforza, con dare carichi falsi, spaventare chi viene a dire la opinione sua; perché è officio di ognuno di voi dire largamente el suo parere, e detto che l’ha, rimettersi al iudicio del senato, né cercare con gare o con modi indiretti che la sentenzia sua prevaglia e che nessuno abbia ardire di contradirla.

E perché tra molte cose che occorrono considerarsi in questa materia, e dalle quali depende la vostra deliberazione, è una: considerare se è a proposito nostro che el re di Francia torni nella ducea di Milano, io comincierò da questa; e dico che io concorro che avendo a essere signori di Milano el re di Francia o lo imperadore, è manco pericoloso per noi che sia el re di Francia, per le ragione che sono state saviamente considerate. Ma non confesso giá che di necessitá abbia a essere l’uno de’ dua, anzi se noi sareno savi, ho speranza non piccola che el duca di Milano vi s’abbia a stabilire, che [p. 129 modifica] è quello che sopra ogni cosa abbiamo a desiderare; perché, può essere che io mi inganni, ma io mi persuado che, se noi accordiamo con Cesare, che e’ franzesi, se bene avessino deliberato di passare, se bene fussino mossi, muteranno sentenzia, né ardiranno venire contro a uno imperadore e la unione di tutta Italia, cosa che in tempo alcuno non hanno mai ardito di fare.

El re Carlo che fu el primo che venne in Italia, ancora che avessi el regno potentissimo, e che el nome franzese fussi spaventoso appresso a ogni nazione, e che con Inghilterra e Spagna fussi pacificato, non ardí venire alla impresa di Napoli, se non chiamato dal duca di Milano signore di Genova, ed assicurato, si può dire, che noi stessimo neutrali. El re Luigi non venne alla impresa di Milano se non accordati noi, e lasciataci una parte di quello stato, e fatta amicizia col papa. El medesimo re, ancora che giá duca di Milano, collegato con noi e seguito quasi da tutto el resto di Italia, non fece la impresa di Napoli, se prima non partí el reame col re di Spagna; non roppe guerra contro a noi, se prima non si accordò seco tutto el mondo. Questo re Francesco, della ostinazione ed ardire del quale si dicono tante cose, se non avessi avuto lega con noi, non sarebbe venuto allo acquisto di Milano. Però quelle gagliardie che in altri tempi non hanno avuto ardire di fare, manco le faranno ragionevolmente ora, che per la guerra passata sono esausti, sono inviliti e sbattuti, avendo a venire contro a inimici da chi sí frescamente sono stati vinti, e non avendo di lá da’ monti pace alcuna, ma da ogni banda sospetto di guerra. Ma che cerchiamo noi gli esempli piú vecchi? Non ci ricordiamo noi quante volte questo anno gli abbiamo stimulati al passare, offerendoli le gente a che eravamo tenuti per e’ capituli vecchi? E se non gli è bastato l’animo, o non hanno potuto farlo avendo in compagnia noi, molto manco lo faranno avendoci contro.

E quando questo sia cosi, cioè che loro non passino, se noi accordereno con Cesare, a me pare che si apra la via di consolidare nello stato el presente duca di Milano; perché [p. 130 modifica] se el fine delle guerre tra questi dua re fussi che e’ franzesi restassino sbattuti di sorte che lo imperadore potessi tenerne poco conto, io in tal caso crederrei che torrebbe lo stato di Milano per sé, e questo può facilmente intervenire se e’ franzesi passano, perché potrebbono avere qualche rotta sí notabile, o tirarsi in Francia qualche umore di tale importanza, che non si temerebbe piú di loro; ma se loro non passano, bisognerá che Cesare proceda con rispetto nelle cose di Italia, satisfaccia a’ popoli di Milano, tenga bene contenti noi e li altri, acciò che non richiamiamo in Italia e’ franzesi. E le cose facilmente, o per accordo universale, o per invecchiare la impresa de’ franzesi, o per accordare e’ svizzeri col duca, potranno avere questa fine che el duca resti in Milano, e gli spagnuoli, non avendo causa di dimorare piú in Lombardia, si ritornino a Napoli.

Però a me pare che el perseverare nella amicizia franzese non sia altro che volere correre di presente pericoli e spese, per cercare che le cose abbino qualche fine pernizioso per noi; e pel contrario lo accordarsi con Cesare sia assicurare di presente lo stato nostro da ogni pericolo e spesa, con speranza che in futuro questi moti si abbino a riducere in qualche grado piacevole, massime che el ritornare e’ franzesi in Milano, se è bene minore male che lo esservi Cesare, tamen per sé stesso è grande male, perché la vicinitá loro non fa per noi, come n’abbiamo fatto altra volta esperienzia, che sanza alcuna ragione si messono a precipitare per distruggerci. Né mi confido che abbino imparato a spese loro, e che non sia da credere che facessino unione con Cesare per riducerlo loro vicino, perché io mi riposerei in su queste ragione se gli cognoscessi prudenti, ma gli cognosco leggieri ed ambiziosi come sempre, ed essendo questo umore suo naturale, chi crede che l’abbino smaltito, crede lo impossibile.

Ricordomi ancora che innanzi alla lega di Cambrai, sendoci fatto instanzia dal re de’ romani di accordarsi seco a’ danni de’ franzesi, furono allegate le medesime ragione, che [p. 131 modifica] non era da credere che e’ franzesi mettessino in Italia e’ tedeschi, perché quella vicinitá sarebbe loro troppo pericolosa, e per volere giudicare savi loro, che furono e saranno sempre pazzi, fu rifiutata quella amicizia; donde seguí la lega di Cambrai ed a noi tanti pericoli e disordini, che ancora gli sentiamo. Dunche l’avergli in Milano sará sempre pericoloso, massime che come vanno le cose del mondo, potrebbono anche a Cesare venire degli accidenti, che e’ franzesi ne terrebbono poco conto; nel quale caso basterebbono loro soli a travagliarci. Però per noi non può nascere cosa buona, salvo che lo stabilire in Milano Francesco Sforza, ed a questo non ci è altra via che accordarci con Cesare; la quale se bene non siamo certi che ci conduca sicuramente a questo fine, pure se non ci conduce questa, nessuna altra lo fa; e debbiamo entrarci e cercare di vincere le difficultá e pericoli, massime che come è detto, ogni altro partito che noi pigliamo è piú pericoloso e pieno di spine.

Né sono io di opinione che, perseverando noi nella amicizia franzese, che la impresa di Milano gli riesca sí facile, perché io ci veggo le medesime difficultá e forse maggiori che nella impresa ultima, nella quale ebbono gli aiuti nostri e nondimanco la perderono. El modo del guerreggiare del signor Prospero, che è di farsi forte in dua o tre terre principali e non uscire alla campagna se non doppo molti mesi, è forte a proposito agli imperiali ed avverso a’ franzesi, perché loro stanno drento nelle terre sanza pericolo, avendo massime Milano amicissimo come in veritá hanno, e dica el contrario chi vuole; ed e’ franzesi, se fanno impresa di sforzarle, se ne partono con danno e con vergogna, come feciono l’altra volta da Milano; se si vogliono riducere a consumarli o per fame o per mancamento di danari, è cosa molto lunga e che stracca e logora e’ franzesi, e’ quali sono impetuosi e, come si mette tempo in mezzo, si raffreddano e disordinano in modo, che quando in capo di qualche mese gli imperiali escono in campagna, gli truovano giá sí deboli e confusi che sanza combattere gli vincono. Né credo io che abbino tanto mancamento [p. 132 modifica] di danari che non possino sostenersi per questa via, perché la contribuzione di questa lega è grossa, ed in capo di tre mesi el papa che è del seno di Cesare la prorogherá. El cardinale de’ Medici, per essere nel grado che è con franzesi, fará el medesimo; cosí gli Adorni e gli altri minori bisognerá che cedino; da’ mercatanti di Milano che sono molti e ricchissimi, sempre caveranno o per amore o per forza; e nel reame benché abbino alienato e cavato assai, vi resta ancora molto da alienare e cavare.

E la esperienzia mostra tuttodí che tutte le cose che hanno a finire per resoluzione e per logorarsi, hanno piú lunga vita che da principio non si capitula; perché e’ rimedi degli uomini nelle necessitá sono molti, e non cognosciuti prima che la necessitá venga, e massime questa nazione che è sottile ed industriosa, e che, come spesso abbiamo veduto, serve al bisogno del principe suo con pochi danari. Dunche le difficultá de’ franzesi saranno le medesime che nella altra guerra, né se ne difenderanno per avere scoperto el modo del guerreggiare di costoro, perché oltre che, etiam cognoscendole, le difficultá saranno le medesime, la esperienzia insegna a chi ha cervello capace a imparare, ma a’ franzesi che sono di natura impazientissimi e poco consideratori delle cose, e che non sanno vivere altrimenti che a caso, nessuna esperienzia gli fará pigliare la pazienzia, né mai nelle loro azioni riceveranno lo ordine e la maturitá, perché la natura non glielo consente; e però tutto a mio iudicio torna in una conclusione, che el continuare con franzesi in amicizia ed el fargli passare ci mette in spesa ed in travagli, ed in pericolo di fare lo effetto contrario al bisogno nostro; e lo accordarci con Cesare ci libera da infinite spese e difficultá presente, e può in futuro essere la via della nostra salute.

E tutto quello che ho parlato insino a qui è stato in caso che e’ franzesi, perseverando noi nella amicizia sua, passino; ma a tutti voi è noto quello che scrive el nostro imbasciadore, che nonostante le instanzie e le parole de’ franzesi, lui non vede ordine di passare di presente; al quale se bene [p. 133 modifica] e’ franzesi affermano el contrario, io presto fede come è conveniente, perché lui non ha interesse alcuno di dire altro che la veritá. Gli imbasciadori che si mandono fuori sono gli occhi e gli orecchi delle republiche, ed a loro si ha credere, non a quegli che hanno passione nelle cose. Sempre diranno e’ franzesi di volere passare, come questo anno hanno detto molte volte, ancora che come ha mostro la esperienzia, non avessino modo di farlo; perché gli viene a proposito servirsi di questa riputazione per intrattenersi con noi e tenere sospesi gli altri; ma lo imbasciadore ha a referire quello che vede, e ragionevolmente non si può preparare una impresa sí grossa che non si vegga publicamente infiniti segni e movimenti. E piú facilmente dá a credere di volere fare una impresa chi non ha animo di farla, che non la cuopre chi la vuole fare, perché le demostrazioni si possono fare con simulazione sanza fare effetti, ma gli effetti di questa sorte è impossibile che si faccino, se non precedono le demonstrazioni necessarie; ed anche è piú da temere che uno imbasciadore che è apresso a uno principe gli creda e favorisca le cose sue piú che el debito, che le diminuisca o le abbatta.

Ci bisogna adunche credere, secondo ci scrive el nostro imbasciadore, che e’ franzesi non passeranno questo anno, e presupposto questo, considerare se noi restiamo soli contro allo imperadore e tutto el resto di Italia, in che pericolo saranno le cose nostre; perché quando bene non ci facessino guerra, con le demostrazione sole di volerla rompere ci terranno in grande spesa; la quale noi non dobbiamo recusare quando è necessario, ma volerla fare per piacere e per interessi di altri non si può dire che non sia pazzia estrema, massime che noi sappiamo quanto debito ha questa signoria e con quanta difficultá e disordine si fanno le provisione de’ danari. Sanza che, io non veggo cosa che ci assicuri che non ci abbia a essere rotta la guerra; perché el non passare e’ franzesi bisogna che nasca da essere impediti o da mancamento di danari o dal timore della guerra di lá da’ monti, o da qualche altra difficultá, e questo impedimento bisognerá [p. 134 modifica] che sia a notizia di costoro; e però ragionevolmente, vedendosi la opportunitá di non avere per qualche mese da temere la venuta de’ franzesi, cercheranno assicurarsi di noi col farci guerra, la quale o sosterreno con grandissima spesa e pericolo, o sareno necessitati venire a qualche accordo disonorevole e dannoso, dove ora siamo pregati da tanti príncipi e lo possiamo fare con grandissima riputazione, e con partiti buoni, e con tanta sicurtá quanta si può avere in questi casi.

Noi abbiamo molte volte desiderato potere posare le cose nostre con Cesare con buona sua satisfazione; ora che ci è offerta la occasione, non so se sareno savi a lasciarla passare, massime che la è tale che per ora ci assicura ed è conveniente: pensiamo a’ frangenti presenti, perché agli accidenti che succederanno di tempo in tempo, e’ quali non si può giudicare quello che saranno, si piglierá partito alla giornata. Abbiamo per el passato avuto da’ franzesi sanza alcuna ragione grandissimi mali, e quello poco di bene che ci hanno fatto è nato dalla utilitá loro; e nondimanco nelle loro difficultá siáno stati prontissimi: perduto in servizio loro grande parte delle gente nostre in Milano; soccorsigli poi con gente nuove in ogni luogo nella impresa ultima che feciono per la recuperazione; usciti di Italia gli abbiamo aspettati e chiamati, ed ancora che ci mancassino della promessa fatta di passare a primavera, siamo stati fermi insino a ora. Assai abbiamo satisfatto alla fede ed onore nostro, ed ecceduto di gran lunga le nostre obbligazioni: tempo è pensare a’ fatti nostri ed alla sicurtá nostra; la quale ragione, ancora che e’ capituli vegghiassino, ci libera da ogni promessa, perché el patto della difesa è reciproco, e ne’ pericoli nostri loro sono obligati a difenderci, e noi a attendere prima alla difesa nostra che a aiutare le imprese di altri.

L’accordo con Cesare non è contro alla degnitá nostra: assicuraci da’ pericoli presenti, liberaci di spesa, ed a giudicio mio è el principio a entrare nella via di consolidare el duca di Milano, ed in consequenzia riducere le cose di Italia [p. 135 modifica] in termini che ci sia la sicurtá e la quiete nostra. Lo stare co’ franzesi ci mette in spesa ed in pericolo per gli interessi di altri, e tiene accesi e’ travagli di Italia, in modo che è pericolo che alla fine non partorischino una grandezza dello imperadore tanto eccessiva, che lo stato nostro non vi possa resistere. Io ho detto liberamente quello che mi è occorso: a Dio piaccia indirizzare le vostre magnificenzie alla piú utile deliberazione.