Demetrio Pianelli/Parte quarta/I

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I.


Da quindici giorni Paolino non aveva ricevuto che un’asciutta cartolina di Demetrio, nella quale gli diceva che Beatrice era malata, che anche lui era malato, che quindi non era il momento di parlare dei noti progetti e niente altro.

Che significava tutto ciò? e non poteva il cugino scrivere una riga di più, rinfrancare la speranza di un poveretto, malato anche lui di un male che i medici non sanno guarire? Qui sotto ci doveva essere del mistero: e probabilmente quella cartolina non era che una staffetta di battaglia perduta. Non mai come ora gli pareva di essere stato temerario e illuso. Sarebbe stato più strano che Beatrice avesse risposto subito: sì, sì, volentieri. Se Demetrio non fosse stato anch’egli un illuso per necessità, avrebbe potuto aprirgli gli occhi alla bella prima.

Chi sa quante risate avevano fatte a quest’ora a Milano sul conto di Paolino delle Cascine!

Provava a rileggere la sua famosa lettera [p. 316 modifica]e ad ogni frase sentiva anche lui la voglia di ridere. E Milano, una città che non manca di burloni, non si lascia scappare le occasioni di ridere.

«So che io non avrei dovuto essere tanto temerario d’innalzare gli occhi sino alla Sua Persona», — diceva la lettera, — e gli pareva di veder Beatrice a ridere. Altro che porgere grato orecchio!.... — Più sotto c’era un’altra frase che diceva: «voglia dunque alla stregua di queste considerazioni....», e qui gli pareva veder Beatrice intenta a cercare sul vocabolario il significato di quella strana parola, che egli aveva voluto introdurre per contentare don Giovanni.

Erano già sonate le dieci e Paolino non si lasciava vedere quella mattina.

La buona Carolina, che aveva il figliuolo sul cuore, andò su, picchiò all’uscio, aprì, e trovò suo fratello ancora a letto, nella stanza quasi buia, avvoltolato nelle coperte come un eroe trafitto nelle pieghe del mantello.

— Ti senti male, Paolino? — chiese, aprendo un poco le imposte.

— Lasciatemi stare; sì, mi sento male.

— Devo far venire il dottor Fiore?

— Fa venire il diavolo. Che non si possa star quieti una mezz’ora?

— Son già le dieci, caro mio: e se ti senti male.... [p. 317 modifica]

— Allora sto benissimo.

Paolino, che riempiva colla persona tutta quanta la lunghezza del letto, si rotolò sul fianco, facendo stridere le foglie secche del pagliericcio e scricchiolare la lettiera; e voltò la faccia al muro.

La Carolina, che era la madre della pazienza e che conosceva l’arte di medicare le piaghe coll’olio d’ulivo, prese una sedia, vi si appoggiò più che non si sedette sopra, congiunse le mani sul grembialone e cominciò a dire:

— Non far così, non sta proprio bene. È quasi un tentare la provvidenza.

— Bella provvidenza!

— Non ti ha scritto Demetrio che essa era malata e che si sentiva poco bene anche lui?

— Tre righe in quindici giorni.

— Roma non fu fatta in un giorno e non si può dire ad una donna: Son qui, la mi pigli, come se si trattasse di un bicchierino di rosolio. Si sa, anche lei deve fare i suoi conti.

— Doveva dirmi almeno se ha consegnata la mia lettera.

— Gliel’avrà data, cari angeli custodi!... Stanotte ho fatto un sogno....

— Brava, contami i tuoi sogni adesso!

— Tu sei padrone di non credere a’ miei sogni, quantunque io pensi che, se Dio li manda, avrà il suo scopo. Anche Giacobbe.... [p. 318 modifica]

— Oh cara, anche la storia sacra!

— Ti ricordi la povera Marietta dell’Acquabella? una notte sognò che il suo figliuolo soldato in Sicilia era malato di vaiolo: la mattina non giunse il telegramma ch’era morto?

— Storie del medio evo! — ribattè sgarbatamente Paolino, che cominciava a non credere più a niente.

— Saranno idee vecchie, ma alle volte le idee vecchie fanno correre le nuove.

— Ebbene, che cosa ti sei sognata? Sentiamo anche questa, — disse Paolino, sollevandosi un poco sul letto e guardando la sorella con un fare tra il disgustato ed il burlesco.

— Mi pareva dunque che Beatrice fosse ancora qui alle Cascine coi suoi figliuoli, nella stanza qui sotto, che era la sua, — va bene? — La pettinavo come solevo far tutte le mattine, pigliando in mano quella bella massa di capelli, che pare un bandolo di lino, un profluvio, che vanno fino in terra quando è seduta. La stavo pettinando, quando mi rimase in mano una ciocchetta di quei capelli. E proprio in quella mi svegliai.

— O che bel sogno! o che bel sogno! — cantarellò Paolino, lasciandosi cadere sul cuscino e ridendo di mala voglia.

— Aspetta un poco, che sentirai. Mi [p. 319 modifica]sveglio, — va bene? — e mi viene in mente di entrare nella stanza qui sotto, dove non sono mai entrata dopo la partenza di Beatrice e di Arabella. Apro per caso il cassettino della tavoletta, e guarda che cosa trovo....

La Carolina cacciò la mano in una delle grandi tasche del suo grembialone, svolse un cartoccio e tirò fuori un filzolino di capelli biondi, proprio di quel biondo come non ce n’è un altro al mondo.

Paolino si rizzò sul gomito e aprì gli occhi e la bocca davanti a quel filzolino, che la sorella teneva sollevato in aria.

— Ti paiono i suoi?

Paolino li prese tra le dita, li palpò, crollò il capo forse per asciugare nell’aria una sciocca commozione che gli penetrava il cuore, e tornò a piombare sul cuscino.

— Ai sogni si può credere e non credere, perchè non sono articoli di fede. Ma io dico che il Signore ha tante strade per andare a Roma e che alle volte bisogna lasciarsi guidare dai piccoli segnali. A furia di piccoli grani i frati di Chiaravalle facevano seicento moggia di frumento. Un parere te l’ho dato ieri mattina.

— Quale?

— Che tu andassi a Milano in cerca di Demetrio. [p. 320 modifica]

— No, mai: per farmi dire la brutta verità sulla faccia?

— E allora non resta che tentare un’altra strada. Tu dirai che sono anche queste cose del medio evo: ma pazienza, parlo con buona intenzione. Sta per cominciare la stagione dei grossi lavori, e se ti ammali, io non posso arrivare dappertutto. Sento già le mie gambe che gridano vendetta in cielo. Tu hai tutti i diritti d’avere la tua famiglia: è naturale, non sei un uomo per niente. Il mio ideale — te l’ho detto — sarebbe stato che tu sposassi una buona e brava ragazza delle nostre, anche un pochino più alla mano: ma, al cuore, tu dici, non si comanda, e non so che cosa dire.

La Carolina aggiunse qui un sospiro che forse sollevò in lei delle vecchie reminiscenze, e continuò:

— Il peggio che tu possa fare adesso è di rimanere in questo stato d’incertezza....

— E dunque? Vuoi che faccia una divozione alla Madonna di Caravaggio? — domandò Paolino con un sorrisetto quasi da miscredente.

— Anche una divozione non sarebbe fuori di luogo, perchè la Madonna ha patito anche lei e sa compatire. Ma non è di questo che parlo adesso. Ti ricordi quella volta che ho perduto il mio anello di diamante? Chi diceva [p. 321 modifica]che me l’avevano rubato; chi diceva che lo avevo perduto per via; chi questo, chi quello; e per una settimana ho voluto impazzire inutilmente. Allora mi venne in mente di far interrogare madama Anita, che sta a Milano in contrada di San Raffaello, quasi sotto il Duomo; e come se la cara creatura lo vedesse in uno specchio, mi fece rispondere:

«Cerchi l’anello e l’hai nella mano! Guarda nel guanto».

— Sono andata a vedere e c’era proprio come essa aveva detto.

— Mi ricordo. E così?

— Io dico: come madama Anita ha potuto indovinare allora, potrebbe, coll’aiuto di questi capelli, trovati per miracolo, indovinare ancora. Molte mie compagne di scuola hanno saputo con questo sistema quando dovevano maritarsi e chi dovevano sposare. Sarà, non sarà magnetismo, io non voglio decidere, ma tentare non nocet e se ne sentono di quelle che fanno restare incantati. Anche il dottor Fiore, che non è una donnetta — anzi stenta a credere anche le cose necessarie — dice che la scienza non sa definire, ma che qualche cosa c’è. Se fossero proprio cose del medio evo, non si vedrebbero annunciate fin sulla quarta pagina della Perseveranza, che tu dici un giornale serio. — Va bene? — [p. 322 modifica]Madama Anita è una buona creatura, bella come una Madonna, che soffre come un’anima del purgatorio quando la fanno parlare; ma se può far del bene non si rifiuta. Sento che fa anche un monte di carità. È discreta e una volta sveglia non si ricorda più. Tu potresti andare a Milano sabato per la piazza, e quando hai sbrigate le tue faccende, se non hai proprio il coraggio di vedere Demetrio, provi a sentire madama Anita. Bòtte non te ne dà. Le metti questi capelli in mano e stai a sentire ciò che ella ti dirà — va bene?

Paolino rimasto a sentire con quel magico filzolino di capelli tra le dita, s’era lasciato trascinare a poco a poco dal discorso di sua sorella in una specie di incantesimo dal quale non avrebbe voluto più uscire.

Non disse nè sì, nè no, per il momento, per non compromettersi, e la Carolina gli lasciò tutto il tempo di riflettere. Rimasto solo, dopo aver gustate in silenzio le parole amorose e incoraggianti della sorella, portò i capelli di Beatrice alla bocca e mormorò con un raggio di speranza in faccia:

— Dite un po’ di chi siete....