Delle notti/Sesta Notte
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VI. N O T T E.
La Dimenticanza della Morte.
ARGOMENTO.
Questa dimenticanza è la sorgente di tutte le depravazioni, disordini, * mali, che tormentano la vita. La tenera idea di Narciso estinta, richiamandone al Poeta la memoria, lo eccita a descrivere col più nobile entusiasmo quali, e quante sieno le inondane circostanze, che ci ricordano la brevità dei nostri giorni, anche nostro malgrado. Non l’uomo solo, ma tutto ciò che
è nel mondo, è soggetto a finire* La terra aspetta la tremenda voce del suo Creatore, per essere anch’essa consunta.
Pura qual del mattin fresca rugiada
Fosti, amabil Narcisa. Il tuo splendore
Coir aurora disparve, e appena il Sole
Feria de 1 monti le pendici eccelse,
5Coir aurora tu festi in ciel ritorno.
Da te, mia figlia, il genitor cadente
Apprende il vero 5 e si serbata al tuo
Acerbo fato, alla tua fresca etade
La gloria d’erudirmi. Il tempo asperse
10Già questo erin di neve, eppur superba
Ergo la fronte mia. D’altri Ja morte
Tutto m’ingombra, e la profonda fossa,
Che già preme il mio piè, non veggio ancora?
Qual lorde macchie ai genitori in fronte
15Leggono i figli, e quanto insano e cieco
E l’uom canuto, che sconvolte in mente
Idee volgendo, e guasti semi in cuore,
La calda gioventù Fampogna e morde!
Men saggia è in noi l’età, che il viver chiude,
20•Che l’infanzia oon fu. Dogma severo
Si detta in fosco ciglio, allor che il labbro
Più non giunge a lambir fetida tazza.
Se ad altri di piacer si perde il dritto 5
15i vuol ch’altri -da noi virtude apprenda..
25Ma nella man, che frena i dolci errori f
Sempre mira il garzone ardito e baldo
Più grave error, che di color più fosco
Veston di lunga «tà le ingiurie, c i danni.
Chi dir potria per qual ineanto, od arte
30Tra l’uoiii cadente, e l’implacabil Dea,
Che lo segue qual ombra, assiso resti
D’un sscolo il fantasma? Altri la morte
Ferisca; allora l’uom palpita, trema.
Ma ben presto il fragor più non rammenta.
35Torna all’antico sonno. In seno al mondo
Stiagi qual legione in campo, aliar che Marte
Stragi spira «furar. Veggonsi in folla
Cader trafitte l’orgogliose schiere
Sovra il terren, che pe 7 già morti è poco;
40Sempre evitar convien de’ ferrei strali
Il fiero turbo, e ben sovente il fianco
Ci apre; ma benché a rivi il sangue grondi,
PalP Egida im mortai cinti, difesi
Noi ci crediamo: e dagli annosi tronchi
45Sempre di viva speme il fior rinasce.
Sempre Tuoni di veder sccol novello
À se promette, e qual scomposto ordigno,
Che del tempo è misura, in cui non soffre
Legge il ferrato stil da’ moti interni,
50Mai di natura i veri detti ascolta,
E crede di veder chiaro il meriggio,
Quando spiega la notte il nero ammanto
Invan di quei, ch«già canuti e curvr
Rese l’età, nella rugosa fronte
55Leggiam del tempo i danni, e come in specchio
Ciò, che soffriam, si mira, in quella il ciglio
No, non vede di noi la vera ini mago.
Con occhio fermo il furibondo artiglio
Della morte si mira, allor che tenta
60Di far sua spoglia un uom canato e stanca*
È quando ei langue, e sol del fato il cenno
La Parca attende, incvitabil danno
S’annunzia all’infelice 5 e a noi frattanto,
Cui più bella mercè non serba il fato,
65Un dolce inganno di nestorca etade
Da noi si tesse, e più s* accresce il velo
Della nostra follìa. Forse chi conta
Ampio giro di lustri, e d’anni, impone
Alla vita, alla morte ordini, e leggi?
70Ma pure allor che d’un amico iì volto
Pieri di morte si vegga, il cuor si serra:
Quando freddo sudor mesto si terge
Dalla livida fronte, e fa sostegno
La nostra mano alla già fiacca testa:
75Quando il lume vital pallidi c rari
Tramanda i raggi, e picciol fascio stringe
I momenti, che a lui lascia la morte,
Sciogliesi allor P incanto. Oscura nube
Dal dolor si solleva., e la ridente
80Scena, che ci sedusse, allor sen fugge.
Taccioii gP inquieti moti, il volo altero
Delle nostre speranze al suol Serpeggia.
Sorge il pensier, che sì lugubre ammanto
Sollecito ci attende, e mentre il fato
85DelP amico si piange, alto spavento
Per noi stessi ci assale. Alfin quegli occhi
Gravi di fosco vel cercano ancora
Gli sguardi nostri; ed i respiri estremi.
Si raccolgon da noi. Piero governo
90Fanno dell’alma nostra orrore, e fluolo,
Tenerezza, pietà. Nel cor s’imprime
Come in cera di morte il tetro aspetto t
Ed il ciglio, ed il cor altro non vede
Che P ultimo fera} comune albergo.
95Eppur se fa Corteggio almen per poco
Al feretro il pensiero, oh come in fretta
Si richiama da noi! Del grave affanno
L’idea si perde qual impressa cifra,
Sulle mobili arene al mare in riva.
100Torna il riso sul labbro, in sen ribolle.
La sopita follìa, sebben di pianto
È molle il ciglie ancor. Pel fido amie»
Fréddi siam come quel, che in se lo serra,
Angusto sasso, e del suo fato i segni
105Già scordati da noi, per esso alfine
Siam qual gregge, che pasce all’urna appresso
Le pingui erbette, e ne solleva, e sparge
Col vagante suo pie l’arida polve •
Curvi annosi compagni, è sorda ancora
110Vostr’alma al tuon, che romoreggia, e freme
Dalle tombe fetali? Ancor non basta
A destarvi di morte il ferro atroce,
Che sempre di color, che a voi far cari,
Sulla fronte senil balena, e stride?
115E ben, siate voi stessi all’alme vostre
Lo spavento maggior. In voi leggete,
Ambulanti sepolcri: io corro a morte.
Lorenzo, a te la gioventù ridente
Non è scudo che basti. I colpi suoi
120Non misura la morte. Attento, e fermo
Ogni moto, ogni oggetto odi, ed osserva.
Veglia pien di vigor, elmo, e corazza
Vesti costante, e sulla lancia il fianco
Non s’adagi un momento. Un sonno infido
125Potria coglierti forse, e farti preda;
Di sì fiero nemico. Oh quanti àdesso,
Quanti, che furo al cominciar dell’anno
Spettacolo fastoso al mondo intero,
11 cui nome tuttora empie la Terra,
130Dprmono a questa in seno! E donde puote
Nascer tua sicurezza? Ha forse tregua:
Col germe uman bandito oggi la morto?
Di virtude sorell-a ella sospende
Forse la falce antica? Ah no che sempre
135Implacabil la ruota, ed i montali,
E le foglie non fia, che in questa sieno
Più che in altra stagion fisse, ed unite
Alle piante, alla. vita. E come in fatti
Obbliar si può mai esser di morte.
140Miseri schiavi? È forse d* uopo in fronte
Alle tombe vederlo, o all’alte moli,
Che vii creta a se stessa erge superba?
Parlan di morte a noi gli oggetti istessi
Più vaghi della vita. Il truce aspetto
145Ne incontra ad ogn’istante il passo, il ciglio
Ne 1 tetti nostri il fasto, e Parti belle
L 1 immagine di lei tengon sospesa,
E gli estinti le nostre interne mura
Veston con quelle incantataci spoglie
150D’un Apellc, d’un Fidia illustre arcano.
Colui, che d’avi illustri ordine antico
Vanta, de’ volti lor scorre la serie
Con secreto piacer, vario ne forma
Simmetrico prospetto, e al proprio orgoglio
155Giusta base li crede. Il ricco albergo
Per le immagini lor più vago e bello
Stima, sedotto dal color vivace,
Che al ciglio forma un lusinghiero inganno.
Sconsigliato! E non vede orrida farsi
160La sua Jtiagion da sì lugubri arredi,
" E che in mezzo agli estinti i giorni ci mena?
I magnifici giuochi, e fin ristesse
Pubbliche, scene della morte i colpi
Ci rammentano a gara. Armato il braccio
165Neil’orror delle tombe il passo muove
Melpomene talor. Da’ freddi marmi
Fa risorger gli eroi. D* altre sembianze
Li veste, e n’offre a sollevarci intanto
I fieri casi, e le venture, e il fato.
170Conie i Numi /ariano, in faccia a quelli *
Fermi, tranquilli si ani. Di noi siam paghi,
Se la tragica sorte a noi dal ciglio
Spreme, tenero pianto; e il rio destino
Mentre d 7 altri si piange, il nostro assorto
175Per noi si resta in un profondo obblio.
Non è forse una vasta immensa tomba
Il mondo istesso? È la gran madre antica
Per se sola infeconda; e quanto in essa
Nasce, da quanto si scompone, e sface
180Ha l’origine sua. Quanto è de? sensi
Alimento, e piacer, tutto è sostanza,
Che più vita non ha. L’uomo si pasce
Di morte spoglie altrui, come su quelle
Nasce, vegeta il verme. E qual si trova „
185Polve, che un dì delle vitali forme
Rivestita non fosse? Il curvo aratro
Frange degli avi nostri i tristi avanzi.
Questi fa poscia nelle altere messi.
«Cerere Biondeggiar. Con questo dono
190Si rifanno da noi con varie -guise
Della macchina i danni. I più scoperti
5trati d* ogni terren ceneri sono
Degli abitanti suoi, e la sua Tolge
Esterna spoglia il nostro globo in giro
195Tutta composta di color che vivi
Vide P antica età". Da noi si ride,
Si festeggia da noi sulle ruiae
Del germe umano, ed in composta danza
Più sepolte città talun calpesta.
200Àllor che sciolta da’ suoi lacci
Palma Poggia coll’ali sue sovra le stelle,
Sugge il Sole da noi quanto ci resta
Di nutritivo umor. Prende la terra.
Ciò che al nascer prestò. Preda è de’ venti
205Quanto rimane, e ogni elemento ha dritto
Sulla spoglia di noi. Dell’uom gli avanzi
Spargonsi in grembo di «atura, e morte
Vanta ovunque vassalli, e leggi, e trono:
Ma dell’uomo il pensier non serve a lei.
210Nè Tuoma sol, ma l’opre sue di morte
Sentono i colpi, e muor quel marmo illustre,
Che vita gli rende*. Segno non resta
Della tomba superba, e i Regni ancora
Periscono con lei. Que’ vasti Imperi
215E di Grecia, e di Roma or sono un nome,
E la scienza di noi forma di quelli
Un misero epicedio. Ah morte, ah dove
Mi porta il mio pensier? Stridere io sento
Sovra i cardini lor le ferree porte
220Di quel tuo regno, ove degli astri il lume
TNTon giunge a penetrar. Ne’ vasti gerghi
Scende lo sguardo, e qnal di scettri, e d’ostri
Folla vede colà! Quante mine,
Che Tuna all’altra fa coperchio, e base!
225Quanti incensati Re sotto F infrante
Urne, credute già del veglio edace
Vincitrici superbe! E quante osservo
Arti sublimi, i cui vivaci allori,
La cui gloria passò! Qua) vasto io veggio
230Scorrer d’illustri etadi ordine antico!
Scorrono informi, e quai marosi inquieti
I fantasmi di quelle; un F altro incalza,
L’un nelF altro si perde, e in seno a quelle
Di varie genti, e numerose io miro
235Vortice tenebroso. A me davante
Passare io veggio abbandonate, e triste
L’ombre de’ morti eroi. Sembra che fc>i
Sieno a sprezzar quelF aura altera e vaiu r
Che li pasceva un dì. Lancian di volo
240Un guardo di pietà sovra i viventi,
Che si credono saggi, e quei, che ancora?
D’orgoglioso splendore empion la terra.
Qaal insolita, oh Dio! qual ombra immensa
Sovra F altre grandeggia, e in lenti giri
245Tacita il passo muove? Oimè, s’accresce;
Limite più non ha; più non resiste
U anima combattuta; il sangue mio
Arresta lo spavento, e panni».. Intendo.
D’un Mondo già distrutto è questa l’ampia,
250L’incomprensibil ombra. Umide canne
Cingono a lei la fronte; adagia il fianco
Mesta sull’urna sua; piange i % suoi regni
Dall’onde ultrici oppressi a lei dal seno s
Traggon alti sospiri. In mezzo al pianto
255Tronche flebili voci ella tramanda
Al nuovo Mondo, ed il vicino scempio
Delle fiamme gli annunziatili van s’affanna,
E qual altra Cassandra al Xanto in riva
Il terribile evento invan predice.
260Sono all’Arbitro eterno il fuoco, e l’acque
Strumenti di vendetta. Ei gP imprigiona
In antri varj, e nelPorror di quelli
Premono inquieti, e Pira P altro minaccia.
Quando a* falli del Mondo è debol (reno
265Di Bellona il furor, P avara Terra
Ingrata, e quel, che serpeggiando uccide,
Pestifero malor, l’eterno Fabbro
I feroci elementi al Mondo in seno
Scaglia a vicenda, e da quel trono eterno
270Precipitano questi uguali al nembo,
Che schianta, arde, divora... E dove mai,
Dove mi guida la tremenda, e sacra
Augusta verità? N’odo la voce
Vincitrice, e del suo vigor supremo
275Tutto m’investe, e quel, ch’io tratto aleso
Tema sublime, è del mio voi più forte
Sola cagione, e n’è ministro, e duce.
In quell’ora, che il germe umano in braccio
D’alto sonno riposa, e ancor nel sonno
280Di sognate follìe si pasce e gode,
Dal tenebroso sen d’orrida notte,
Qual scintilla dal molle ardente acciaro,
Cui duplice martel le offese alterna,
R qual bellica polve al fuoco appresso,
285Sortirà la tremenda ultima scena.
foco che al primo onnipotente cenno
Sboccan gli accesi, e mostruosi figli
Dell’Èrebo fumante. I gorghi, e gli antri,
Nido delle tempeste, aprendo il fianco
290Di folgori dentati, e spessi lampi,
Vibran pioggia funesta. In mezzo agli astri
Che più luce non han, fiamme sanguigne
Versano le comete, e a gran torrenti
Scendon sul basso globo, I gioghi alpini
295Tutti fuoco già son, tutta la Terra,
Un Vulcano rassembra, e Pelio, ed Ossa
Non son che ardenti fiumi. Al suol le stelle
Cadano, e la Natura è fiamma, è fuoco.
Sovra carro fiammante il globo scorre
300L’Angelo struggitor, e ne scompone
Colle fervide ruote e parti, e forma.
Pallido l'uom si desta. Un giorno eterno
Nato ritrova, e lo stupor che tutto
Occupa l’Universo. Ei vede al colmo*
305Giunti gloria, e terror: nel quadro orrenda
Questo a quella contrasta. Il nero abissa.
Tuona da’ cupi seni, e scoppia, e s’apre
Scaglia di zolfi, e di bitumi accesi
Onde folte orgogliose, e un mar di fuoco»
310Vomita sulla terra. Egli s’affretta
A divorare, e co’ latrati ai Cielo
Tutto furor la presa sua domanda*
Intanto là dove più sciolto e pura
Nuota P etere, nasce un nuovo Ciela
315Di lucido cristallo, e sotto i passi
Dell’Eterno Moter s’avanza, e stende * *
Sì, l’eterno Motor cinto di sua
T netfabil grandezza è quel che sovra
1/ incendiato Universo ora si mostra Cinto
320di luce, e d’aurei vanni ad essa
Innanzi va Celeste Spirto, e sgombra.
Qual nebbi* vii de’ già discinti soli
Quella polve che resta. È la Natura
Agonizzante ancor: non senti forse
325L’ultime voci sue? Lorenzo, e dove*
Dove siam? Già la Terra in quel diluvia
D’atre fiamme si fuse; e dove adesso
Fuggir? Dove salvarci in faccia a Dio?
Per sì gran giorno il corsa lor compira
330Tutti gli andati dì. Per questo il Mondo
Sorse da quella mole informe, e rozza,
E dal sen della terra uscio già l’uomo.
A tal pensiero oh come i Toti nostri
Si rivolgono al Ciel, posti in obblio
335Quanti vani fantasmi il mondo abbraccia!
Questo di già lo veggo, il globo io sento
Che tutto scuota, ondeggia 4 e l’alma mia
Lo seconda, ne trema- In mezzo a mille *
Lucide nubi le edesti Squadre
340Scendere io veggio i e solitaria resta
olimpica magion. Veggio ’l tremendo
Giudice in trono fiamiheggiante assiso*
S’apre il volume eterno * e senza Telo
Resta dell* uomo il coi’ * in cui di luce
345Entrando un vivo raggio, ogni pensiero
Più secreto dell’alma in quel si legge*
Ma qual veggio deforme orrido mostro f
Ohe in atto fier dalla sua cupa foce
Sorge? Coi! empie voci i ferrei ceppi
350Agita minaccioso, erge superbo
La testa immonda* e sulla fronte porta
Acberonteo coloi*, che ufi dì gl’impresse
li folgore superno < Ah lo ravviso i
Questi è del gran Tonante, e de’ mortali
355L 4 implacabil nemico* Il gran decreto
Ad ascoltai 4 sen vien; gifr freme 5 e ruota.
Qual infuocata massa in sen di fosca
Gravida nube le sanguigne luci*
L’ascolta*, e il Dio, sotto il eui braccio» trema*.
360Il superbo bestemmia: ei crede allora
Dall’Empirò piombar, e che la fiamma
Vindice eterna allora sol s’accenda*
Il tempo appar* e della face privò
Scorta del volo suo i del carro alato i
365Al dubbioso splendor dell’arso Mondo
Lento s’avanza; i numerosi figli é v
Chiama; il sen della Terra a* detti suoi
S’agita, s’apre, ed a aovella vita
Rende i popoli tutti. In bieco ciglio
370Sorgono questi ed il terror li £uida •
Pallidi desolati il veglio intanto 1
Tutti gli aduna insieme, e i dritti" suoi
Cede all’eternità • Sì, questa sola
Adesso regna, e se per l’uomo un sogao*
375Fu finora costei, sogno è per l’uomo
Ciò che costei non è. Ondeggia» tutte*
Quai fulgide comete in grembo al vuota
Le sue bandiere, e la sua tromba piena
D’aura immortai più formidabil suona
380Manda dell’Ocean, che il curvo Atlante
Flagella irato, e ripercossa geme,
tà sen vanno i mortali, ove si compia
<,Ogni scwia, che in se già vide il Mondo v
Oual immensa region! Qual sulla immensa,
385Già l’occupò Sì d’ogni etade i figli
Della tragica pompa al fin i vicìrya
Spettatori già son. Taciti tutti?
Stanno, e sospesi, che il momento, e Por»
Di clemenza passò. Non v’ha che estremi..
390Tatto è immutabil legge. Alfin l’eterno
Arbitro sorge, e d’mvarifcbil ’fato
Pronunziando il temuto alto decreto,
Vendica la sua gloria, e la virtude.
L’eternitad* aitar con fermo ciglio.
395Con implacabil volto a un solo sguardo»
In due schiere l’uman germe divide.
Ad ambe accenna il loro albergo eterno,
N’apre ad ambe l’ingresso. Entro gli ab liti
Incalza i rei col vincitor suo braccio
400Per moltiplici spire, e vuoti aggira
Il terribil ferrato enorme ordigno, *
Che le tartaree porte unisce y e eli inde
Dal Ciel caduti per le rotte rocce
Piombaia dì valle in valle i rei superbi,
405Ed a’ gemiti loro, all’atre strida
Eco fan le profonde orride grotte.
Ben altre voci in Ciel sentir si fanno
che schiera di belle anime fide
Dalle tombe risorta in Ciel si trova.
410Tutti gli accenti lor partono insieme,
E l’eteree sonanti aurate volte
Tutti vanno a ferir. No, che ristante,
In cui nacquero stelle, e terre, e mari,
Celebrato non fu con tai concenti.
415Il grande, il sommo Dio la fronte augusta
Qual è svela ad ognun- Da tanto lume
Colti gli eccelsi spirti inni festosi,.
Sciolgono, accesi da que’ rai possenti,
Che la gloria d’un Dio lor piove in seno.
420D’insolito fulgor tutto risplende
Di quei felici abitatori il Mondo,
E la gloria ne fa corona, c base.
Già la splendida Corte il canto scioglie
D’un’eterna armonia • Misero, e quale
425Fia la mia softe allor? Potrò di gioja.
Alte voci intuonar cogl’immortali
Felicissimi spirti anch’io sull’etra?