una tavola. Et ragionevolmente certo. Imperoche egli è di necessità sforzarsi di por tanta diligentia nelle cose, quanta sia a bastanza, secondo il valore de lo ingegno. Ma il volere in ogni cosa più di quel che tu possa, o che si convenga, è cosa da uno ingegno più tosto ostinato che diligente. Bisogna adunque por nelle cose una diligentia moderata, chiederne parere a gli amici, anzi nel metter in atto detto lavoro, è bene stare ad ascoltare, et chiamare a vederlo di tempo in tempo quasi ciascuno. Et in questo modo il lavoro del Pittore è per dovere essere grato alla moltitudine. Il giudicio adunque et la censura de la moltitudine non sarà allhora sprezata, quando ancora tu potrai satisfare alle diverse opinioni. Dicono che Apelle si soleva nascondere dietro alla tavola, accioche coloro che la riguardavano potessero più liberamente parlare, et egli stare ad ascoltare più honestamente i difetti de suoi lavori, che essi raccontavano. Io vorrei adunque che i nostri Pittori stessino scoperti ad udire spesso, et a ricercare ogniuno che li dicesse liberamente quel che le ne pare; conciosia che questo giova ad intender la varietà de le cose, et ad acquistarsi molto una certa gratia. Conciosia che non è nessuno che non si attribuisca a cosa honorata, lo havere a dire il parer suo circa le fatiche d’altri. Oltra di questo non si ha punto da dubitare, che il giudizio di coloro che biasimano et che sono invidiosi, possa detrarre punto de le lodi del Pittore. Stia adunque il Pittore ad ascoltare ogniuno, et prima esamini seco stesso la cosa et la emendi. Di poi quando harà udito ogniuno, facci a modo di quei che più sanno. Queste son le cose che a me è parso haver da dire de la Pittura in questi miei commentarii. Et se queste cose son tali che elle arrechino a Pittori comodità, o utilità alcuna, io aspetto per principal premio de le mie fatiche, che essi mi ritraghino nelle historie loro: accioche ei dimostrino per questa via a quei che verranno, di esser stati ricordevoli, et grati del beneficio, et dimostrino che io sia stato studioso di essa arte. Et se io non ho satisfatto a quanto essi aspettavano da me, almanco non mi biasimino che io habbia havuto ardire di mettermi a tanta impresa. Imperoche se lo ingegno mio non ha potuto condurre a fine, quel che è lodevole di tentare, ricordinsi, che nelle cose grandissime, suole attribuirsi a lode, lo haver voluto mettersi a quel che è difficilissimo. Seguiteranno forse alcuni che soppliranno a quel ch’io havessi mancato, et che potranno in questa eccellentissima, et dignissima arte, giovare molto più a Pittori: i quali se per aventura succederanno, io li prego, quanto più fo et posso, che piglino questa fatica con lieto, et pronto animo, nella quale essi et esercitino gl’ingegni loro, et conduchino questa nobilissima arte al colmo de la eccellentia. Io nondimeno harò piacere di essere stato il primo ad havermi acquistata la palma in essermi affaticato di scrivere sopra questa ingegnosissima arte. La quale veramente difficile impresa, se io non ho saputo condurre a quella perfezione de la espettatione che ne havevano coloro che leggono, si debbe darne la colpa alla natura più tosto che a me, la qual par che habbi imposta quella legge alle cose, che ei non è arte nessuna che non habbi presi i suoi principii da cose difettose. Imperoche si dice, che nessuna cosa è nata perfetta. Et coloro che verranno dopo a me, se alcuni ne verranno, che sieno di studio, et d’ingegno più valenti di me, doveranno forse condur questa arte de la Pittura alla somma perfettione.