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292 della pittura

sta più allo stremo che l’altro, gli collocano in modo che pare che e’ dubitino del luogo dove porli. Al Dipintore è a bastanza il saper quali sieno i colori, et in che modo e’ s’abbino a servir d’essi nella Pittura. Io non vorrei esser ripreso da quei che più sanno, i quali mentre seguitano i Filosofi, dicono che nella natura de le cose non si truova se non duoi veri colori cioè il bianco et il nero, et che tutti gli altri naschono dal mescolamento di questi. Io veramente come Dipintore la intendo in questo modo quanto a colori che per i mescolamenti de colori naschino altri colori, quasi infiniti. Ma appresso a Pittori quattro sono i veri generi de colori, come son quattro ancora gli elementi, da i quali si cavano molte et molte specie. Perciò che egli è quello che par di fuoco per dir cosi, cioè il rosso: E poi quel da la aria che si chiama azzurro: quel da la acqua è il verde: et quel da la terra ha il cenerognolo. Tutti gli altri colori noi veggiamo che son fatti di mescolamenti, non altrimenti che ci pare che sia il Diaspro et il Porfido. Sono adunque i generi de colori quattro, da i quali mediante il mescolamento del bianco et del nero generano innumerabili specie. Conciosia che noi veggiamo le frondi verdi perdere tanto de la loro verdezza di poco in poco fino a che elle diventano bianche. Il medesimo veggiamo ancora nella aria stessa, la quale talvolta presa la qualità di qualche vapore bianco verso lo orizonte, ritorna a pigliare a poco a poco il suo proprio colore. Oltra di questo veggiamo ancor questo medesimo nelle cose, alcune de le quali tal volta son tante accese di colore, che imitano il chermisi, altre paiono del color de le guance de le fanciulle, et altre paiono bianche come avorio. Il color de la terra ancora mediante il mescuglio del bianco et del nero ha le sue specie. Non adunque il mescolamento del bianco muta i generi de colori, ma genera, et crea esse specie. Et la medesima forza similmente ha ancora il color negro. Imperoche per il mescolamento del nero si generano molte spezie. Il che sta molto bene; perciò che esso colore mediante la ombra si altera, dove prima si vedea manifesto: percioche crescendo l’ombra, la chiarezza, et biancheza del colore manca, et crescendo il lume diventa più chiara et più candida. Et però si puo a bastanza persuadere al Pittore che il bianco et il nero non sono veri colori, ma gli alteratori, per dirsi cosi, de colori. Conciosia che il Pittore non ha trovata cosa alcuna più che il bianco, mediante il quale egli possa esprimere quello ultimo candore del lume, ne cosa alcuna con la quale ei possa rapresentare la oscurità de le tenebre più che con il nero. Aggiugni a queste cose, che tu non troverrai mai in alcun luogo il bianco ò il nero, che egli stesso non caschi sotto alcuno genere de colori. Trattiamo hora de la forza de lumi. I lumi sono o di constellationi, cioè o del Sole, o de la Luna, et de la Stella di Venere, o vero di lumi materiali et di fuoco: et infra questi è una gran differentia. Imperoche i lumi del Cielo rendono le ombre quasi che uguali a corpi; ma il fuoco le rende maggiori che non sono i corpi, et la ombra si causa da lo esser intercetti i raggi de lumi. I raggi intercetti, o ei sono piegati in altra parte, o ei si raddoppiano in loro stessi. Piegansi, come quando i raggi del Sole percuotono nella superficie de la acqua, et quindi poi salgono ne palchi, et ogni piegamento de raggi si fa, come dicono i Matematici, con angoli far loro uguali. Ma queste cose si appartengono ad una altra parte di Pittura. I raggi che si piegano, si inzuppano in qualche parte di quel colore, che ei trovano in quella superficie da la quale ei sono piegati o riverberati. Et questo veggiamo noi che aviene, quando le faccie di coloro che caminano per i prati, ci si apresentano verdi. Io ho trattato adunque de le superficie: ho trattato de raggi: ho trattato in che modo nel vedere si facci de triangoli la piramide. Io ho provato quanto grandemente importi che lo intervallo, la positura del raggio centrico, et il ricevimento de lumi sia determinato et certo. Ma poi che con un solo sguardo noi veggiamo non pur una superficie sola: ma più


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