Della architettura della pittura e della statua/Della architettura/Libro decimo – Cap. VIII
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Leon Battista Alberti - Della architettura della pittura e della statua (1782)
Traduzione dal latino di Cosimo Bartoli (1550)
Traduzione dal latino di Cosimo Bartoli (1550)
Libro decimo – Cap. VIII
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De le Citerne, et dell'uso, et utilità loro.
cap. viii.
I
O vengo a trattare de le citerne. La citerna è un vaso alquanto maggiore da acqua, che non è una conserva, non dissimile però da questa, et bisogna che di fondo, et per tutto ella sia ben fatta falda, et che tenga benissimo. Et quella li farà doppia, una che ti ferva per berne, l’altra che ti serva per gli altri bisogni, come per ammorzare un fuoco et simili. Quella si come gli Antichi la chiamavano per usato costume Argento da cibare, cosi ancora noi la chiameremo acqua da bere. Ma l’altra che solamente si farà per serbare acque di qual si voglia sorte, et che sarà lodata quanto più sarà maggiore, la chiameremo la conserva, o bottino della citerna. Egli è d’una grande importanza che la citerna dell’acqua da bere, tenga buona acqua, o cattiva. Nell’una citerna, et nell’altra, bisogna procurare che l’acqua ci si conduca bene, ci si conservi bene, et bene si scompartisca a bisogni. Egli è manifesto che nelle citerne si mettono l’acque de fiumi, et de le fonti per i condotti, et le pioggie de tetti, et de piani; de terreni ancora hanno usato per tutto, ma a me piacque assai la inventione di quello Architettore, il quale fece all’intorno di una grandissima, et rilevata pietra, posta in cima del monte, una fossa affonda dieci piedi, la quale come una corona postavi all’intorno raccogliente, da la ignuda sommità del monte tutta la pioggia che vi cadesse, et in luogo alquanto più basso sotto il colle in piano, fece una conserva di acqua da potervi andare per tutto di mattoni, et di calcina, alta trenta piedi, larga quaranta, et lunga quaranta; et in questa condusse per condotti di doccioni sotto terra l’acqua cosi raccolta da la fossa. Et era quella fossa posta in molto più alto luogo, che non era la coperta de la conserva, o bottino dell’acqua. Se tu farai nella citerna un suolo di ghiaia cantoluta, o di rena del fiume grossa ben lavata, o vero ne riempierai una parte de la citerna, come dire sino all’altezza di tre piedi, ella ti darà una acqua pura, sincera, et fredda; et quanto questo suolo sarà più grosso, tanto sarà l’acqua più chiara. L’acqua de la citerna alcuna volta se ne và per le aperture del mal murato, et fesso bottino: Alcuna volta si corrompe per le brutture. Et certo che egli è cosa difficile il voler tenere serrata l’acqua in una prigione di muraglia, se la muraglia non sarà saldissima; et sopra tutto sia fatta di pietre ordinarie. Et sopra tutto bisogna, che un simile lavoro sia asciuttissimo avanti che tu vi metta dentro l’acqua, percioche ella per la gravezza sua prieme la muraglia, et per le humettationi getta sudori, et trovati i pori gli apre con stillare in quelli fino a tanto che se ne và poi come per cannelle più larghe liberamente. Gli Antichi per riparare a questa incommodità, vi provedevano, et massimo nelli angoli de le mura, con farvi più, et più intonichi l’un l’opra l’altro, et facevano una scorza con grandissima diligentia di intonico simile al marmo, Ma e’ non si riparava in modo alcuno meglio à simili versamenti di acqua, in questo luogo con cosa alcuna, che con il riempiere di creta infra il muro de la citerna, et il lato de la fossa di detta, pigiata, et mazzapicchiata, o pillata grandissimamente. Io ho comandato che egli adoperino in questo luogo creta asciuttissima, et trita a guisa di polvere. Sono alcuni, che pensano che se tu torrai un vaso di vetro, et lo empierai di sale, et lo turerai con calcina spenta con olio bene, talmente che non vi possi entrare dentro acqua, et porrai questo vaso, che stia sospeso in mezo de le acque de la citerna, e’ t’averrà che le acque di quella citerna non si corromperanno mai per gran tempo che elle vi stieno. Aggiungonci alcuni ancora lo argento vivo. Et alcuni pensano che se si toglie un vaso novo di terra pieno di aceto fortissimo, et turato benissimo, come ti dissi, et mettasi nella citerna, prestissimo risanerà una acqua, che sia mucida. Dicono che l’acque de la citerna, et del pozzo diventano più purgate, et mettendovisi dentro de pesciuoli, percioche e’ pensano che i pesci si nutrischino, et si paschino de la mucidaglia dell’acqua, et de la humidità del terreno. Dicesi quella sententia di Epigenio: Quella acqua, che una volta si farà corrotta, et si purifica in spacio di tempo, et di nuovo torna buona, quella (dice) non si corromperà mai più. Quella acqua che harà cominciato a puzzare, agitata assai assai, et trasportata, et commossa, lascerà il puzzo: il che è chiaro ancora che aviene al vino, che tiene di mucido, et allo olio. Dice Iosefo ch’essendo Moise arrivato in un luogo arido, et non vi essendo altra acqua, che quella d’un pozzo amaro, et brutto, comandò che e’ se ne attignesse, il che havendo fatto, i suoi soldati con dibatterla, et con il dimenarla, in si fatto modo, divenne buona a bere. Egli è manifesto che le acque si purgano nel cuocerle, et nel distillarle. Le acque ancora che tengono di sannitro, et di amaro, dicono, che si mitigano messovi dentro una stiacciata d’orozo fritto, di maniera che fra due hore tu ne potrai bere. Ma alle citerne da bere, oltre alle dette cose, accioche l’acqua vi sia più purgata, si aggiugne un pozzo piccolo accerchiato di sue proprie mura, poste in luogo commodo, che sia alquanto posto col fondo più basso, che la citerna. Et harà questo pozzo nel suo fianco alcune finestrette rimurate con spugne, o pomici, accioche l’acqua non possa penetrare de la citerna in questo pozzo, se non ben purgata, et distillata da tutte le grassezze. Appresso a Tarragona in Hispagna si truova una pomice bianca piena di pori minutissimi, per i quali l’acqua subito si stilla limpidissima. Distillerassi ancora se tu serrerai l’entrata per la quale ella harà da venire con un vaso forato da ogni banda di spessissimi bucolini, et ripieno di rena di fiume, di modo che l’acqua penetri per la rena sottilissima. Appresso a Bologna hanno un tufo gialliccio, che tiene di rena, per il quale l’acqua a gocciola a gocciola si distilla chiarissima. Sono alcuni, che fanno il pane con l’acqua del Mare, la quale è più atta che alcuna altra a corrompersi. Tanta possanza hanno le si fatte stillationi, che noi habbiamo racconte, che fanno la detta acqua, sana, et buona. Dice Solino, che se l’acqua di Mare si cola per la arzilla, ella diventa dolce. Et si è trovato, che dove ella si cola più, et più volte per la sottile rena di alcuno torrente, ella lascia la sua salsedine. Se tu metterai in Mare un vaso di terra ben turato, e’ si empierà d’acqua dolce. Et non sia questo fuor di proposito che in quei vasi, ne quali e’ ponevano l’acqua del Nilo, che fusse torbida, se e’ fregavano intorno il labro, et il margine dell’acqua con mandorla, in un subito diventava chiara. Et queste cose sieno a bastanza. Se per aventura i condotti de doccioni, o cannelle cominciassino a riturarsi per fango, mettivi dentro o una gallozzola, o una palletta fatta di sughero legata a un filo sottile, et lungo, et quando la corsiva harà condotta la palla con il filo per il condotto sino all’altra testa, lega a questo filo cosi sottile, un’altro filo più grosso, et finalmente poi una fune di herba. Dipoi con tirarla inanzi, et in dietro più volte si caveranno fuori quelle cose che vi havevano fatta seccata.