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Dell'Ambizione

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Della Ingratitudine Capitolo pastorale

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CAPITOLO

DELL’AMBIZIONE

A LUIGI GUICCIARDINI.


LUigi, poi che tu ti maravigli
     Di questo caso, che a Siena è seguito,
     3Non mi par che pel verso il mondo pigli.
E se nuovo ti par quel c’hai sentito,
     Come tu m’hai certificato, e scritto,
     6Pensa un po’ meglio all’umano appetito.
Perchè dal Sol di Scizia a quel d’Egitto,
     Dall’Inghilterra all’opposita riva
     9Si vede germinar questo delitto.
Qual regione, o qual Città n’è priva?
     Qual bosco, qual tugurio? In ogni lato
     12L’Ambizione, e l’Avarizia arriva.
Queste nel mondo, come l’uom fu nato,
     Nacquero ancora, e se non fusser quelle,
     15Sarebbe assai felice il nostro stato.
Di poco Iddio avea fatte le stelle,
     Il Ciel, la luce, gli elementi, e l’uomo,
     18Dominator di tante cose belle;
E la superbia degli Angeli domo,
     Di Paradiso Adam fece ribello
     21Con la sua donna pel gustar del pomo;

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Quando, che nati Cain, ed Abello,
     Col Padre loro, e della lor fatica
     24Vivendo lieti nel povero ostello.
Potenzia occulta, che in Ciel si nutrica
     Tra le stelle, che quel girando serra,
     27Alla natura umana poco amica;
Per privarci di pace, e porci in guerra,
     Per torci ogni quiete, ed ogni bene,
     30Mandò due Furie ad abitare in terra.
Nude son queste, e ciascheduna viene
     Con grazia tale, che agli occhi di molti
     33Pajon di quella, e di diletto piene.
Ma ciascheduna d’esse ha quattro volti
     Con otto mani; e queste cose fanno
     36Ti prenda, e volga, ovunque una si volti
Con queste Invidia, Accidia, ed Odio vanno
     Della lor peste riempiendo il mondo,
     39E con lor Crudeltà, Superbia, e Inganno.
Da queste Concordia è cacciata in fondo;
     E per mostrar la lor voglia infinita
     42Portano in mano un’urna senza fondo.
Per costor la quiete, e dolce vita,
     Di che l’albergo d’Adam era pieno,
     45Si fu con pace, e carità fuggita.
Queste del lor pestifero veneno
     Contro al suo buon fratel Cain armaro,
     48Empiendogli il grembo, il petto, e il seno.
E loro alta possanza dimostraro,
     Poichè potevan far ne’ primi tempi
     51Un petto ambizioso, un petto avaro.
Quando gli uomin viveano e nudi, e scempi
     D’ogni fortuna, e quando ancor non era
     54Di povertà, nè di ricchezza esempi.

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O mente umana insaziabile, altera,
     Subdola, e varia, e sopra ogni altra cosa
     57Maligna, iniqua, impetuosa e fera!
Poichè per la tua voglia ambiziosa
     Si fe’ la prima morte violenta
     60Nel mondo, e la prim’erba sanguinosa.
Cresciuta poi questa mala sementa,
     Moltiplicata la cagion del male,
     63Non c’è ragion, che di mal far si penta,
Di quì nasce, che un scende e l’altro sale;
     Di quì dipende senza legge, o patto,
     66Il variar d’ogni stato mortale.
Questa ha di Francia il re più volte tratto;
     Questa del re Alfonso, e Lodovico,
     69E di san Marco ha lo Stato disfatto.
Nè sol quel, che di bene ha il suo nimico;
     Ma quel che pare (e così sempre fù
     72Il mondo fatto moderno, e antico)
Ognuno stima, ognuno stima più
     Sormontare opprimendo or quello, or questo,
     75Che per qualunque sua propria virtù.
A ciascun l’altrui ben sempre è molesto;
     E però sempre con affanno, e pena
     78Al mal d’altrui è vigilante, e desto.
A questo istinto natural ci mena,
     Per proprio moto, e propria passione,
     81Se legge, o maggior forza non ci affrena.
Ma se volessi saper la cagione,
     Perchè una gente imperi, e l’altra pianga,
     84Regnando in ogni loco ambizione,
E perchè Francia vittrice rimanga;
     Da l’altra parte, perchè Italia tutta
     87Un mar d’affanni tempestoso franga;

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E perchè in questa parte sia redutta
     La penitenzia di quel tristo seme,
     90Che Ambizione, ed Avarizia frutta;
Se con Ambizion congiunto e insieme
     Un cuor feroce, una virtute armata,
     93Quivi del proprio mal raro si teme
Quando una region vive efferata
     Per sua natura, e poi per accidente
     96Di buone leggi instrutta, e ordinata,
L’Ambizion contra l’esterna gente
     Usa il furor, ch’usarlo infra se stessa
     99Nè legge, nè il Re glie ne consente;
Onde il mal proprio quasi sempre cessa,
     Ma suol ben disturbare l’altrui ovile,
     102Dove quel suo furor l’insegna ha messa.
Fia per avverso, quel loco servile
     Ad ogni danno, ad ogni ingiuria esposto,
     105Dove sie gente ambiziosa, e vile.
Se viltà, e trist’ordin siede accosto
     A questa ambizione, ogni sciagura,
     108Ogni rovina, ogni altro mal vien tosto.
E quando alcun colpasse la natura,
     Se in Italia, tanto afflitta, e stanca
     111Non nasce gente sì feroce, e dura;
Dico, che questo non iscusa, e franca
     L’Italia nostra, perchè può supplire
     114L’educazion, dove natura manca.
Questa l’Italia già fece fiorire,
     E di occupare il mondo tutto quanto
     117La fiera educazion le diede ardire.
Or vive (se vita è vivere in pianto)
     Sotto quella rovina, e quella sorte,
     120Ch’ha meritato l’ozio suo cotanto.

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Viltate è quello, con l’altre consorte
     D’Ambizione, son quelle ferite,
     123C’hanno d’Italia le provincie morte.
Lascio di Siena la fraterna lite;
     Volta gli occhi, Luigi, a questa parte
     126Fra queste genti attonite, e smarrite.
Vedrai d’Ambizion l’una, e l’altra arte,
     Come quel ruba, quell’altro si duole
     129Delle fortune sue lacere, e sparte.
Rivolga gli occhi in qua chi veder vuole
     L’altrui fatiche, e riguardi, se ancora
     132Cotanta crudeltà vide mai il Sole.
Ch’il padre morto, e ch’il marito plora;
     Quell’altro mesto del suo proprio letto
     135Battuto, e nudo trar si vede fora.
O quante volte avendo il padre stretto
     In braccio il figlio, con un colpo solo
     138È suto rotto all’uno, e l’altro il petto!
Quello abbandona il suo paterno suolo
     Accusando gli Dei crudeli e ingrati
     141Con la brigata sua piena di duolo.
O esempi non più nel mondo stati!
     Perchè si vede ogni dì parti assai
     144Per le ferite del lor ventre nati.
Dietro alla figlia sua, piena di guai
     Dice la madre: a che infelici nozze,
     147A che crudel marito ti servai?
Di sangue son le fosse e l’acque sozze,
     Piene di teschi, di gambe, e di mani,
     150E d’altre membra laniate, e mozze,
Rapaci uccei, fere silvestri, cani
     Son più le lor paterne sepolture.
     153O sepolcri crudei, feroci, e strani!

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Sempre son le lor faccie orrende, e scure,
     A guisa d’uom, che sbigottito ammiri
     156Per nuovi danni, o subite paure.
Dovunche gli occhi tu rivolti, e giri,
     Di lacrime la terra e sangue è pregna;
     159E l’aria d’urli, singulti, e sospiri.
Se da altrui imparare alcun si sdegna,
     Come si debba Ambizione usarla,
     162Lo esempio tristo di costor lo ’nsegna.
Da poi che l’uom da sè non può cacciarla,
     Debbe il giudizio, e l’intelletto sano
     165Con ordine, e ferocia accompagnarla.
San Marco alle sue spese, e forse invano
     Tardi conosce come li bisogna
     168Tener la spada, e non il libro in mano.
Pur altrimenti di regnar s’agogna
     Per la più parte; e quanto più s’acquista,
     171Si perde prima, e con maggior vergogna,
Dunque se spesso qualche cosa è vista
     Nascere impetuosa, ed importuna,
     174Che il petto di ciascun turba, e contrista,
Non ne pigliare ammirazione alcuna;
     Perchè del mondo la parte maggiore
     177Si lascia governar dalla fortuna.
Lasso! or, che mentre nell’altrui dolore
     Tengo or l’ingegno involto, e la parola,
     180Sono oppressato dal maggior timore.
Io sento Ambizion con quella scuola,
     Ch’al principio del mondo el Ciel sortille,
     183Sopra de’ monti di Toscana vola;
E seminato ha già tante faville
     Tra quelle genti sì d’invidia pregne,
     186Ch’arderà le sue terre, e le sue ville,
Se grazia, o miglior ordin non la spegne.