Degli edifizii/Libro quinto/Capo VI
Questo testo è stato riletto e controllato. |
Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
◄ | Libro quinto - Capo V | Libro quinto - Capo VII | ► |
CAPO VI.
Magnifico tempio in Gerusalemme
dedicato alla Madre di Dio.
Tali furono le cose da Giustiniano Augusto fatte in Cilicia. Incomparabile poi fu il tempio, che alla Madre di Dio dedicò in Gerusalemme; e che gli abitanti di quella città chiamano la Chiesa Nuova. Venendo a descriverla, premetterò che la massima parte di quella città sta posta sopra colli, non già di terra, come altrove, ma di sasso; aspri per conseguenza, e pieni di precipizii, e tali, che non si praticano che con stradelle fatte di scalini tagliati dall’alto al basso. E tutti gli edifizii della città sono fatti nella stessa maniera, o sieno posti sopra alcun colle, o sieno in piano ove il suolo è di terra. Non così è di questo tempio. Giustiniano ordinò, che fosse fondato sopra il colle più alto di tutti; e spezialmente prescrisse quanto dovesse essere largo e lungo. E non bastando, secondo il disegno che ne avea dato, un colle solo; e mancando da mezzodì ed oriente la quarta parte del tempio; quella cioè, nella quale i Sacerdoti debbono celebrare i sacri misterii, coloro che dirigevano l’opera, immaginarono quanto siegue. Gittati i fondamenti nella estrema bassura, vi fabbricarono sopra, incastrando il lavoro alla rupe che ivano superando; e tratte le muraglie alla cima della medesima, quelle muraglie legarono a volto, e così l’edifizio unirono all’altro pavimento del tempio. Per lo che la Chiesa in parte giace sulla salda rupe, ed in parte sta pendente, per l’opera, che ad aggiunta del colle, a forza di danaro l’Imperadore vi ha fatto fare. Le pietre poi usate per quella giunta sono di straordinaria grandezza: perciocchè siccome gli artefici dovevano contrastare colla natura del luogo, ed alzar quella giunta a livello della rupe, abbandonati i metodi volgari, dovettero ricorrere a modi insoliti, ed affatto ignoti. Quindi tagliavano dai monti che sono altissimi fuori della città immensi sassi; e posciachè li aveano lavorati collo scalpello, li trasportavano in questa guisa. Ponevano ognuno di quei sassi sopra un carro della stessa grandezza; e tale regola era per ciaschedun sasso: poi quaranta buoi dei più robusti che per ordine dell’Imperadore si erano scelti attaccavansi ad ognuno di que’ carri, e lo tiravano. E perchè le strade che conducevano alla città, non erano atte a dar passo a que’ carri, si andava tagliando il monte di qua e di là, perchè desse adito al carro. Con questo mezzo si potè dare al tempio giusta il volere dell’Imperadore, quella tanta lunghezza alla quale fosse proporzionata la larghezza. Ma intanto non potevano gli artefici mettere alla fabbrica il tetto. Per giungere a ciò incominciarono a scorrere per tutti i boschi, e per le selve, e per ogni luogo, in cui avessero udito dire essere alberi grandissimi; e trovarono una densa selva nella quale erano cedri immensamente alti; e con questi coprivano il tempio, misurata avendone l’altezza in proporzione della larghezza e lunghezza. Tanto fece Giustiniano colle forze, e coll’arte umana; ma però dee dirsi che molto contribuì il sentimento di pietà che lo ispirava; e la fiducia dell’onore che glie ne dovea provenire, lo confortò, e sostenne nell’intrapresa. E di fatto se ne potè avere una pruova. Era quel tempio senza colonne di sorte: le quali colla loro eleganza gli dessero decoro, e fossero di tale grandezza da sostenere un tanto peso; e quella regione assai interna e rimota dal mare, piena da tutte le parti, siccome dissi, di scoscesi e dirupati monti, non presentava agli artefici alcuna via, per la quale condurne di lontano. Mentre per queste considerazioni facevasi più forte nell’animo dell’Imperadore la difficoltà, Dio gli additò ne’ prossimi monti un marmo a ciò conveniente, o fosse stato fino allora ivi incognito, od allora per la prima volta si formasse: divenendo credibile l’una e l’altra opinione di coloro, che la cagione di ciò attribuiscono a Dio. Noi, è vero, ponderando tutte le cose secondo le forze umane, molte ne diciamo essere impossibili. Ma a Dio nulla è difficile, e nemmeno è impossibile. Adunque grandi colonne, in gran numero scavate da que’ monti, e di un color di fiamma, sostentano il sacro edifizio, le une nella parte inferiore, nella superiore le altre, ed altre intorno ai portici, che tutti i lati ne cingono, eccetto quello a levante. Due ne sono alla porta, sì distinte che forse non sono seconde a quante altre colonne veggonsi nell’universo mondo. Succede poi un secondo portico, che da Nartece, o Ferula ha il nome, credo io, per essere angusto. A questo si congiunge un atrio quadrato, sostenuto da colonne simili; e le porte mezzane sono tanto strette, che a quelli che entrano accennar debbono quale spettacolo sieno per ritrovare. Indi siegue un meraviglioso vestibolo, ed un arco eretto ad immensa altezza sopra colonne binate; e procedendo avanti, due recessi di qua e di là presenta la via del tempio giranti in semicircolo, e l’uno rimpetto all’altro. L’altra via ha di qua e di là due case ospitali, opera di Giustiniano Augusto: una per ricetto de’ pellegrini che trovansi nella città; l’altra de’ poveri ammalati. Questo tempio poi l’Imperadore ha dotato di splendidissime rendite annue. E questo è quanto egli ha fatto in Gerusalemme.