Degli edifizii/Libro quinto/Capo V
Questo testo è stato riletto e controllato. |
Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
◄ | Libro quinto - Capo IV | Libro quinto - Capo VI | ► |
CAPO V.
La strada, che dalla città di Antiochia, già detta Teopoli, conduce in Cilicia, tocca il suburbano denominato il Platanon. Non lungi da quella città, come la vecchia strada veniva angustiata fortemente dai monti ivi sorgenti, nel lungo corso degli anni la massima parte di quella dalle piogge diroccata rendeva pericolosa il praticarla. La quale cosa uditasi dall’Imperadore gli fece venire in mente di provvedere a tale inconveniente, e vi trovò prontamente il rimedio. Disposta infinita somma di denaro, quanti erano ivi alti monti per lungo tratto fece tagliare; e superato quello che pareva insuperabile, oltre ogni speranza ed ogni credenza, rendè piani e spediti i luoghi, che prima non presentavano che precipizii, ed ebbe una strada praticabile ad ogni carreggio: con chiarissimo argomento comprovando nulla essere al mondo, che gli uomini con prudente consiglio e con liberale uso del denaro non giungano ad ottenere. Tanto ivi fu fatto.
In Cilicia v’ha Mopsuestia, città che dicesi fondata dall’antico vate Mopso. Il fiume Piramo la bagna, e l’ abbellisce: ma quel fiume non si passa che sopra un ponte solo, la massima parte del quale per vetustà crollava tanto, che minaccioso di caduta additava la morte a chi lo passava: per lo che, ciò che in addietro era stato fatto per salute degli uomini, la infingardaggine de’ prefetti avea volto in cagione di grave pericolo e di giusto timore. Adunque quanto v’era di sconcio l’Imperador nostro con grande studio rifece; e restituì la solidità al ponte, la sicurezza ai passeggieri, il decoro alla città; cose tutte, che una volta il fiume offeriva, e che erano poi smarrite.
Dopo Mopsuestia v’ha Adana che dalla parte di levante bagna il fiume Saro, proveniente dai monti dell’Armenia. E perchè quel fiume è navigabile, nè ha guado ove i pedoni possano passarlo, una volta fu sopra esso costrutto un grande ed insigne ponte di questo modo. In molte parti del fiume sorgono dal suolo grossi piloni fatti di enormi pietre. La serie di questi piloni occupa tutta la larghezza del fiume, e sono più alti assai del medesimo. Due arcate s’alzano sopra ognuno di essi, posanti nel loro mezzo. Or que’ piloni nella parte in cui contra essi batte l’acqua, e ai gagliardissimi flutti resistono, erano pel lunghissimo tratto di tempo così guasti, che pareva dovere in breve tutto il ponte precipitare nel fiume; e perciò nessuno si poneva a passarlo senza pregare che Dio tenesse il ponte saldo per quel brevissimo tempo, che a lui occorreva. Giustiniano avendo fatto scavare un nuovo alveo, per quello voltò temporariamente il fiume; poi data mano ai piloni liberati dall’acqua, tutta quella parte, che n’era guasta, levò, e senza ritardo li ristaurò; poi rimise il fiume nel suo primo alveo, o letto siccome dicono. Questo è ciò che ivi fece.
Tarso anch’essa è bagnata da un fiume, che vi passa in mezzo, e che è il Cidno. Esso era sempre stato innocuo; ma una volta recò grave rovina per la seguente ragione. Sull’equinozio di primavera sorto improvvisamente un gagliardissimo austro, sciolse affatto la neve, che caduta in inverno copriva quasi tutto il monte Tauro. Allora si vide da tutte le rupi uscir fuori ruscelli d’acqua; precipitare furiosi torrenti da tutti gli alvei, qua e là a piedi del Tauro sbucare fontane. Gonfio per queste acque il Cidno, giacchè dalle vicinanze tutte accorrevano ad esso; e cresciuto inoltre dalle molte piogge, con improvvisa alluvione rovesciò sino da’ fondamenti i subborghi volti a mezzodì; invase rumoroso la città, i minori ponti crollò, occupò tutte le piazze, inondò i quartieri, ed entrato nelle case, e le camere, e i cenacoli riempiendo d’acqua sempre più andava inalzandosi. Una notte e un giorno stette la città in siffatto pericolo, quasi in balìa di un mar procelloso. A poco a poco poi il fiume finalmente si raccolse entro gli usati suoi limiti. Le quali cose tutte udite avendo l’imperadore Giustiniano, pensò al seguente mezzo. Incominciò dallo scavare al fiume un altro alveo d’innanzi alla città, affinchè dividendosi in due rami le acque, metà al più andasse in Tarso: indi costruì i ponti molto più larghi e più forti, da non potersi scuotere e rovesciare dall’impeto della fiumana; ed in questo modo liberò in perpetuo gli abitanti della città dalla paura e dal pericolo.