Dal mio verziere/Questioni femmili
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Questioni femminili.
A Neera.
È con tutta la deferenza ch’io oso dirigervi la parola, signora, maestra. La vostra voce dolce e ferma è la sola voce di donna in Italia che ci ripeta con gentile ritornello qualche cosa che sta un po’ più in su dell’arte di ornare un abito o di addobbare un salotto, ma che non cessa forse di esser arte: arte spirituale. Io sento il desiderio, intanto, di ringraziarvene vivamente per conto mio; e perchè no? anche a nome delle tante che vi innalzano in silenzio la loro riconoscenza — le quali poi forse, dopo, ringrazieranno me.
Ed ora che vi è noto il mio animo, continuo con più coraggio. Vorrei esporvi qualche riflessione che sono andata facendo fra me mentre leggevo il vostro ultimo articolo, Il lavoro della donna, con molta attenzione, come leggo ogni scritto firmato da voi.
Signora, voi parlaste di felicità; voi intendete di guidarci animosamente col vostro magico filo di seta attraverso al laberinto fosco e intricato della vita, fino alla terra promessa, dove non piangeremo più. Oh, ditemi, sarà possibile? Io che vi seguo con energia, con impazienza quasi, quando mi parlate di conforti, di lotte, di altezze, ora, alla rilucente parola vana m’assale tutta la stanchezza del cammino. No, non ci parlate di felicità: in casa o fuori, nella cattedra o nella poltrona accanto al fuoco, noi non la troveremo mai, lo sappiamo: è la voce dei secoli che ce lo dice: è l’eco della vostra voce di ieri che ci incitava severamente al martirio. Non c’illudiamo, dunque, è meglio; poi la ricerca ostinata affannosa della felicità è un egoismo supremo. Lasciamolo agli uomini. Mettiamo un’altra parola invece, una parola pia, umile, buona; diciamo: consolazione.
Si tratta quindi di consolarci con un’elevazione morale delle ingiustizie, dei travagli, delle pene che piovono sul debole capo della donna — non so perchè — in maggior quantità. E se questa consolazione, per le circostanze, o per l’indole, o per l’educazione, qualche donna può trovarla vera ed efficace fra le miserie di un ospedale o fra le luminosità del regno dell’arte, perchè l’uomo, il suo compagno, dovrà dire a costei che non sarà mai una fuggitiva ma sempre una diseredata: vattene, qui non c’è posto per te!? — Per rimetterla ad ogni costo nello stretto circolo delle attribuzioni domestiche? Ma se il suo focolare è freddo? E questa anima grande e severa avida di ritemprarsi alle fonti della scienza, credete che potrà raccogliervisi e rassegnarsi a spegnersi anch’essa inutile e infeconda? A vantaggio di che?
Mi fanno ridere quelli che parlano di concorrenza. Come se non fosse molto più comodo e più facile per la donna di rimanersene nella sua casa a far qualche lavoruccio, leggere qualche romanzo, a strimpellare qualche melodia; come se la via che ci guida a un ideale qualunque, appena fuori della soglia domestica non fosse, per noi, infinitamente più ardua e più ingombra che per gli uomini!
Spero che avrete notato ch’io non ho parlato di toga, nè di cattedra, cose ch’io credo incompatibili con la natura femminile, almeno nelle razze latine. Io non ho perorato che per l’arte — tutta l’arte — e una sola scienza dove sono convinta che la donna può esplicare mirabilmente tutte le buone doti del suo sesso: la medicina. Del resto, biasimandola o encomiandola, lasciatele libero, pienamente, il campo d’azione: fate che non sia relegata accanto alle culle dei bimbi o alle poltrone dei vecchi, ma che vi rimanga lei per elezione, per scelta, e ci resterà, io sono sicura che ci resterà, finchè i vecchi e i bambini avranno bisogno di lei. E se non ci resterà, io preferisco saperla misericordiosamente china su un altro bambino malato, piuttosto che su di una tazza di thè in un salotto pieno di galanteria; io preferisco vederla strappata al focolare dall’arte o dalla scienza, piuttosto che dagli aridi ascetismi del monastero... Voi siete intelligente, non vi scandalizzerete, lo so.
Poi, ditemi, signora: credete che la donna ci perderebbe assai a mascolinizzarsi (come voi dite) un poco? Trovate voi che la donna del secolo decimonono sia arrivata a un punto tale di sprezzatura, di praticità, di aridezza, di pedanteria, da dover dirle: arrestati o la donna non ci sarà più!? Io veramente non me ne accorgo, e finchè una maggioranza femminile mi dà a meditare sulla causa dell’attività e della stanchezza delle loro giornate, e finchè veggo le mamme inculcare ai futuri legislatori, agli artisti futuri l’arte difficile del vestirsi elegantemente, mi pare che a quegli estremi siamo ancora lontani, e sopratutto mi pare per il bene delle generazioni future che un po’ più di serietà, di tempra nella donna, non sarebbe proprio male.
Che volete, signora; io ho a questo proposito idee tutte mie, false forse, ma ho delle idee, ciò che è sempre meglio che non ne avere: io credo che una franca, geniale, semplice scambievolezza di rapporti morali fra un sesso e l’altro, senza misticismi e senza sensualità, quella simpatica e sana amicizia che si ordisce solo quando le anime sono rivolte a un faticoso intento comune, non farebbe perdere nè alla donna la sua delicatezza, nè all’uomo la sua forza. Sono elementi naturali in essi e la natura si lascia mitigare, mai fuorviare. L’uomo imparerà a stimarci e ad apprezzarci di più; la donna diventerà più forte e meno civetta: e se anche a lei resterà un po’ meno di tempo per amare, gliene resterà anche di meno per... pentirsi a tornare da capo.
Via, gentilissima, non ci facciamo illusioni: siccome non siamo santi e siccome io spero che non lo diventiamo del tutto, una collaborazione spirituale come voi e molti eletti la sognano non si può ottenere per ora che mediante un tale esaltamento e a casi tanto isolati che avrà tutta l’aria di una mostruosità. Non bisogna forzarla, bisogna prepararla. La donna, ieri schiava, non può diventar regina oggi senza esser prima la compagna vera, intelligente, operosa; senza saper prima di che sono fatte certe lotte e certe vittorie. Quando l’uomo cesserà di dirle: — Taci, tu non te ne intendi, — solo allora ella potrà animarlo, ispirarlo, consolarlo, efficacemente, durevolmente. Noi conosciamo poco e male gli uomini, credete; e gli uomini conoscono malissimo noi. In ogni modo una dedizione cieca, assoluta, quasi suggestionata, sia anche della donna superiore, per l’uomo superiore, io non la ammetto; perchè quella donna non sarà mai compensata, nè intesa, nè adorata abbastanza; perchè l’uomo superiore se vedrà un bel visino malinconico (che magari non sarà che la maschera di una testa vuota), quell’uomo ci farà su una creazione così splendida e così inverosimile, che l’amica intellettuale e meno favorita dalla fortuna non avrà di meglio a fare che volatilizzarsi e sparire.
Io, mia signora, confesso, non ho la vostra bella fede che nessun sacrifizio di donna sia stato perduto, nessuna lagrima dispersa; io penso prosaicamente che molte margherite furono gettate... a chi sapete, e, per consolarmi, che la maggior parte dei nomi di donna che si leggono nelle opere d’arte d’un uomo non furono degni della lor parte di gloria.
Pure, quando trovo nelle letterature nordiche che ora pare gettino una fredda ombra anche sulla vita — quando trovo un modello di donna eletta compiere freddamente, calcolatamente, un adulterio nel morboso delirio di fabbricare in quell’ora l’uomo ideale, e ritornarsene poi nella sua casa, fra i suoi figliuoli a viverci come prima aspettando che le nasca il Messia — io mi sento fortemente tentata di preferire a questo mostro intellettuale les jolis zéros della fresca e ignorante amante di Rivarol il quale non le chiedeva che d’aver dello spirito come... una rosa!