Dal mio verziere/Italia e poesia
Questo testo è completo. |
◄ | Opere buone | Dal mio Verziere | ► |
Italia e Poesia.
Ad un incredulo.
.... Poichè ho la fede, lasciatemi parlare; — e non per la velleità di convertirvi, state tranquillo, nè per un irriflessivo senso d’orgoglio nazionale, e neanche per la vanità d’impancarmi a predicatrice: la fede è degli umili; — degli ignoranti, potreste dirmi; — ma non importa: sia ignoranze, sia illusione, sia amore, la fede è bella e fa del bene e va rispettata.
Io credo dunque alla superiorità del genio poetico italiano, e chi non ha mai accarezzato questa dolce idea mi scagli... il primo elzeviro. Ci credo; e l’altro giorno in questo stesso giornale1 a proposito d’una poetessa gentile ho arrischiato l’osservazione che la prosa francese contemporanea vince la nostra come la poesia italiana vince la poesia francese. Pensavo candidamente che il dirlo in Italia non doveva essere un’imprudenza; invece... ho motivo di credere d’aver provocato una varietà infinita e graziosa di smorfie a giudicare da quella caduta sul margine — la vostra — -che arrivò fino a me.
Non è questione di chauvinisme, ve l’ho già detto. No, poichè la superiorità non la trovo tanto nelle personalità artistiche come nella poesia per sè stessa nell’arte poetica in generale. Nella poesia italiana si mesce un elemento nuovo, sottile, che le altre poesie non hanno: un elemento, dirò così, complementare, che infinite e varie cause concorsero a formare. È l’atavismo di dignità più immediato, della lingua latina? È l’eco del dolce stil novo? È la dovizia lussuosa dei vocaboli? È il cielo? il sole? i fiori? le memorie? — La poesia in Italia non è come negli altri paesi: vi brulica come i pulviscoli nel raggio l’aria ne è intrisa — vola per le bocche del popolo, s’insinua tra i banchi degli scolari, sorride dalle cattedre, risuona nei campi, trema o esulta nelle chiese — perfino il giovine clero, liberato dai Greci e dai Romani, scrive rime d’ispirazione — perfino il Papa compone in poesia... Convien dire che l’influsso sia potente...
La quantità non forma la qualità, convengo — ma data la straordinaria abbondanza, bisogna pur considerarla come una forza; — poi più fiori ci sono da distillare, più essenza se ne ritrae, è indubitato. Voi mi diceste d’essere ammiratore della poesia francese contemporanea e mi snocciolaste una dozzina di nomi che io ammiro quasi quanto voi senza smuovermi dalla mia opinione. Ora facciamo una prova: pigliamo per esempio la più bella poesia del Carducci — il Canto dell’amore o l’Idilio maremmano o un sonetto o, che so io, quella che d’accordo troveremo la migliore, e mettiamoci accanto la miglior poesia del miglior autore francese (chi contrapporrete al Carducci? Baudelaire? Richepin?): leggiamole tutte e due; e vi sfido a sostenere che quella che dà maggior diletto estetico è la francese. Ridete? rido anch’io, ma è così! Ho la fissazione, vedete, che lo spiritello vincitore s’annidi nell’idioma nostro, nel soave idioma che fa così armoniosa la rima — l’idioma caro e scellerato che tiranneggia i prosatori e che si abbandona con tanta docilità nella lirica e vi si adagia con tanta sovrana eleganza con tanto gentile impero, come se fosse quella la sua vera e naturale dimora. Io non chiamerò la poesia francese, come Heine che la detestava, «acqua tiepida rimata»; ma osservo che la morbidezza e la delicatezza suprema della lingua francese che fanno la prosa, per grazia carezzevole, inarrivabile, stemperano la poesia e le tolgono la sua maggior forza e il suo maggior pregio: la sintesi. Quando Victor Hugo volle esser più grandioso fu iperbolico, quasi grottesco; Leopardi cantando l’umile poesia degli orti e della vita rusticana fu quasi solenne. E lasciando in pace Leopardi e lasciando anche il Prati, l’Aleardi e lo Zanella, de’ quali — come dite giustamente — non è più tempo, perchè non ci ricorderemo noi, oltre che del Carducci, di Olindo Guerrini che fuse pure nella gran corrente della poesia italica una vena distinta e canora di poesia individuale; del d’Annunzio, l’incantatore; di Rapisardi ciclopico; del fine autore di Valsolda, e di Praga, di Boito, di Graf, di Panzacchi, di Mazzoni, di Cannizzaro, di Marradi, del Costanzo, del Tanganelli, del Pascoli, del Giorgieri-Contri, del Pitteri, del De Amicis che ebbe pure accenti di consolante ed elevata poesia, di tanti altri infine che si rivelano tuttora poeti eleganti e valorosi e che sarebbe lungo troppo enumerare? Se in Italia ci si potesse persuadere, in letteratura come nelle altre cose, che della sostanza ce n’è ancora e buona, se invece di trattare ogni nuovo frutto dell’ingegno nazionale come Mefistofele tratta il povero mondo nel Sabba romantico, ci si adoperasse con coscienza e gentilezza a metter in luce il bello e il buono; ad essere un poco più facili nella scelta dei nostri libri e un po’ più difficili nella scelta di quelli degli altri; se almeno le signore — le colte e le intellettuali che hanno pur tanta parte nella vita morale d’una nazione — non arricciassero il naso a tutto ciò che sa d’italiano e mettessero nel conoscere e nell’insegnare bene ai figliuoli la lingua materna la diligenza che mettono nell’addomesticarli e nell’addomesticarsi con le lingue straniere, molte nubi si straccierebbero dinanzi alla classica stella d’Italia. Che lieta maraviglia, pensate, se da un giorno all’altro ci trovassimo guariti dalla brutta malattia della diffidenza e del disprezzo verso tutto ciò che è nazionale!
Note
- ↑ Idea liberale (Milano 1892).