Dal mio verziere/Cipressi
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Cipressi.
(a proposito d’una nuova pubblicazione)
Fra la fulgida gloria di messidoro e il vivo zaffiro del mare che sorride invitando, una rama di cipresso piove su una tomba.
Su quella tomba è scolpito un nome illustre, ma non è il sarcofago a cui i giovani muovono riverenti in pio pellegrinaggio — è una tomba invisibile, più tenue e più triste, scavata in un cuore.
Pensiero gentilissimo quello degli amici di Giorgina Saffi, di ricordare con lei nel doglioso anniversario delle sue nozze il compagno eletto, allontanato per sempre dalla soave solennità domestica che ha portato per molti anni tanta dolcezza nella loro casa, che vi porta adesso tanto sconforto con l’affermazione d’una solitudine memore della felicità. Ma la mesta signora deve aver pianto lagrime meno amare fra il delicato mormorio di compianto che s’effonde da si copiosa nobiltà di intelletto e di animo a carezzare il suo dolore.
Vecchi amici e giovani discepoli e donne gentili e stranieri posano la rama di cipresso sul sacrario, nel cuore dell’afflitta dama, ed ella li bacia in fronte ad uno ad uno e udendo in tutti il medesimo accento di venerazione per il suo morto diletto, quasi suo malgrado si sente consolata.
È un album in gran formato, d’una severa eleganza. Sul frontespizio la efficace eloquenza di una data a distanza di poco più di trent’anni: 1858-1891 — xxx Giugno — un lembo di sereno. La lettera inaugurale di Rinaldo Sperati, compilatore, è gentilissima: «....questa corona di semprevivi germogliata dal cuore — così termina — possa a Lei giungere non importuna nel dolore suo, e farle sentire che nel suo pianto sono uniti i cuori degli amici, interpreti del dolore inestinguibile della patria e dell’umanità.»
Vi sono versi di Swinburne, l’erede di Shelley, parafrasati dal Rapisardi — una lettera di Sir Stansfeld, qualche parola tracciata dalla penna incantata di Edoardo Schurè — un sagace discorso di Ernesto Nathan, una memoria del Minuti, una pagina del Silingardi; poi una rappresentanza, assai degna dell’eterno femminino: amiche, scrittrici artiste; Teodolinda Franceschi-Pignocchi, Suzanne Thomas, Jessie Mario, Giacinta Pezzana, Adolphine Gosme, Tommasina Guidi, Paolina Dagnino-Agnelli passano lasciando ognuna una nota fine, spirituale, elevata, amorosa, come solo sa trovare la donna che rimpiange e consola.
Ecco il De Amicis, il mago che noi signore adoriamo, con la sua calda e fluente parola; «Cinque anni sono scrissi, con poca esperienza e con meno arte ma con tutta l’anima, un libro diretto all’educazione morale dell’infanzia. Il mio primo compenso fu di vedere i miei figliuoli commossi da quella lettura. Un compenso maggiore furono le lettere di fanciulli e di maestri, le quali mi dicevano che il mio libro non era inutile. Anche più grate di queste mi furon le manifestazioni di gente del popolo, che mostravano di aver compreso come il sentimento dominante dell’opera mia fosse il rispetto e l’amore delle classi lavoratrici, dei poveri, dei deboli, degli sventurati. Tutte queste soddisfazioni mi furono ravvivate e accertate alla diffusione larga e inattesa del libro, la quale mi provava ch’esso era ispirato a un’idea superiore ad ogni grettezza o preconcetto di classe sociale o di parte politica. Ma la mia soddisfazione più profonda e più cara, ma la mia gloria più bella e più durevole fu di aver ricevuto da Forlì una breve lettera in cui la grande anima di Aurelio Saffi mi diceva con la sua nobile semplicità: Avete reso un servizio al nostro paese.»
Poi Olindo Guerrini con qualche motto soave pieno di pensiero, e Corrado Ricci, il valente pennelleggiatore dei tempi andati, che dà alla figura del Maestro un ultimo tocco sapiente.
«.... non dimenticherò mai la buona e cara immagine paterna di Aurelio Saffi. Parlando con lui il suo cuore v’aiutava a salire sino al suo intelletto.»
Viene quindi la balda falange dei giovani seguaci che depongono semplici e riverenti tributi: Livio Quartaroli, Giuseppe Ronchi, Giuseppe Brini, Camillo Ugolini, Roberto Ascoli con una «memoria» così colorita luminosa e leggiadra da farne ingelosire il suo volumetto di Rime; ultimo Ettore Sanfelice la cui eletta lettera può servire per sintesi di quanto ho osservato fin qui. Eccola:
- A Giorgina Saffi.
«La data 30 giugno 1858, ecco, mi schiude una visione di patetico insieme e di eroico, che mi empie il cuore, come se udissi parte di quella grande armonia che i filosofi antichi dicevano effondere nell’etere gli astri girando.
«Prima vi dispose amore, poi l’eternità, e i brevi anni vissuti commisti entrano immortali nella città ideale, a cui fu opera d’Aurelio sollevare gli animi.
«Resta il forte suggello nei figli, l’adorato nume del padre s’allarga dalla famiglia a genio della patria, a elemento sostanziale d’ogni rinnovamento umano. E d’onde muove tutto ciò? Dall’amore.
«Con questo nome Signora, che raccoglie famiglia, patria, umanità, un alunno del vostro Aurelio osa oggi toccare la soglia del vostro sacrario per respirarvi la presenza dell’Apostolo e della sua dolce compagna.»
E voi Signorine a cui le mie parole sono rivolte, per quel nome che tutto raccoglie, fate che dalla freschezza dei vostri cuori sbocci per Giorgina Saffi una schietta espressione di cordoglio. Anch’ella ha salpato come voi ricca di speranze e di sogni; anche voi tornerete in porto un giorno malinconicamente così; alcuna forse designata dal destino a essere come lei irraggiata dalla luce di qualche vivido astro futuro, e a identificarne, lui spento, gli affetti, le memorie, gli ideali. Ecco perchè ve n’ho parlato....
Giugno 1891