Così parlò Zarathustra/Parte seconda/Il canto funebre
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Il canto funebre.
«Laggiù è l’isola dei sepolcri, la silente: laggiù è anche il sepolcro della mia giovanezza. Voglio portarvi una ghirlanda di semprevivi della vita.
Così risolvendo nel cuore attraversai il mare.
O visioni e imagini della mia giovanezza! 0 voi tutti, sguardi dell’amore, momenti divini! Come presto siete dileguati! Oggi il mio pensiero ricorre a voi, come a’ miei morti
Di laggiù, dilettissimi, morti, mi giunge un dolce profumo, che mi scioglie il cuore e m’induce al pianto. In verità esso commuove e scioglie il cuore del solitario navigante.
Ma ancora io sono tra i ricchi il più ricco e il più degno di invidia — io, il solitario tra i solitari! Poi che io ebbi voi, e voi m’avete ancora: ditemi, a chi come a me caddero in grembo tante melagrane?
Ancor sempre io sono l’erede: il terreno fecondo del vostro amore, fiorente in vostra memoria di virtù selvaggiamente rigogliose, o dilettissimi!
Ah, noi eravamo creati per restar vicini l’uno all’altro, o leggiadre e strane meraviglie. E voi non veniste incontro a me ed ai miei desideri quali timidi uccelli, bensì pieni di fede in chi aveva fede!
Sì, creati alla fede e all’eternità degli affetti al pari di me: così devo chiamarvi anche dopo la vostra infedeltà, o sguardi e momenti divini: un altro nome non ho appreso ancora.
In verità, troppo presto moriste per me, o fuggitivi. Eppure, voi non fuggiste da me nè io fuggii da voi: nessuno di noi porta la colpa dell’infedeltà!
Per uccidere me, hanno strozzato voi, uccelli canori delle mie speranze! Si contro di voi, o dilettissimi, fu sempre rivolta la freccia della malvagità — scoccata a cercare il mio cuore!
E la freccia colse nel segno! Poi che voi foste sempre ciò ch’io ebbi di più caro, ciò che possedevo e a un tempo ciò da cui ero posseduto interamente. Per questo vi convenne e morir giovani e immaturi!
Fu diretta la freccia contro ciò che in me era più vulnerabile: eravate voi, dalle piume morbide e delicate, simili ad un sorriso che un semplice sguardo può far morire!
Ma queste parole dirò ai miei nemici: che cosa è un omicidio in confronto di ciò che avete fatto a me?
Voi avete commesso contro di me cosa assai più rea: voi mi toglieste ciò che non può ritornare più: — ciò io dico a voi, miei nemici!
Non uccideste voi forse le visioni, i più cari prodigi della mia giovanezza? Voi mi toglieste i compagni di gioco, quegli spiriti benedetti! In loro memoria io depongo questa ghirlanda: e in maledizione vostra.
Questa sia la maledizione contro di voi, miei nemici! Non rendeste voi forse fuggevole ciò che in me era eterno, al par d’un suono che si spezza in un’algida notte? A me tutto ciò non parve durar più d’un batter d’occhi divino, d’un momento!
La mia purezza mi aveva detto in un’ora buona: «Tutti gli esseri sono per me divini».
E allora voi m’assaliste coi vostri luridi fantasmi. Ahimè, dov’è trascorsa quell’ora felice?
«Tutti i giorni devono essermi sacri». — Così mi disse un dì la saggezza della mia gioventù: così deve parlare la saggezza gioconda!
Ma voi, nemici, mi rubaste allora le mie notti e le condannaste all’insonnia e al tormento: ahimè, dove se n’è ita quella gioconda saggezza?
Un tempo desiderai auspici lieti: voi poneste sul mio cammino un mostruoso gufo. Ah, dove scomparvero in quell’istante i miei teneri desideri?
Giurai di sottrarmi a ogni fastidio; allora voi piagaste di ulceri putride tutti quelli che mi avvicinavano. Ah, dove fuggì allora il più nobile de’ miei giuramenti?
Con gli occhi abbagliati un dì camminai per sentieri beati: ma voi sulla via del cieco adunaste immondizie, e ora gli ripugna il camminare per il sentiero ben noto.
E quando io ebbi compiuta la più ardua delle mie fatiche e volli celebrar la vittoria dell’avere superato me stesso, voi faceste sì che coloro che m’amavano gridassero che io recava loro il più gran dolore.
In verità, voi sempre operaste in tal modo: voi mesceste il vostro fiele nel miele delle mie api più assidue.
La mia larghezza nel donare voi la faceste sfruttare dai più insolenti mendicanti; la mia compassione dagli esseri più incurabilmente svergognati. In tal modo voi feriste le mie virtù nella loro fede.
E quand’anco avessi offerto in sacrificio la cosa a me più sacra; ecco, che la vostra pietà si presentava con doni più grassi; sicché nel fumo del vostro grasso soffocava ciò che io aveva di più sacro.
E una volta volli danzare come mai per l’innanzi avevo danzato; danzare trasvolando con passo leggero oltre tutti i cieli. E allora voi corrompeste il mio cantore più diletto.
Ed egli intuonò una melodia orribile e tetra, che risuonava ai miei orecchi come lugubre corno!
Oh cantore assassino, strumento della malvagità, innocente tra gli innocenti: già m’accingevo alla più bella tra le danze: quando tu coi tuoi suoni uccidesti il mio rapimento!
Nella danza soltanto mi sento atto a parlare in similitudini delle cose più eccelse: ma la più leggiadra delle mie similitudini mi rimase soffocata nella gola!
Inespressa e insoddisfatta rimase la più bella delle mie speranze!
E con lei morirono tutte le visioni confortatrici della mia giovanezza!
Come potrei sopportare un tal male? Come dimenticai e vinsi tali ferite? Come l’anima mia risorse da un tale sepolcro?
Sì, è in me qualche cosa contro cui non valgono nè le ferite nè i colpi, qualche cosa che spezza anche le rocce; e questa cosa è la mia volontà. Essa incede taciturna e immutabile attraverso gli anni.
Essa vuol camminare coi miei piedi, la mia vecchia volontà: essa è salda e invulnerabile nell’intimo.
Io non sono invulnerabile che nel tallone.
Ancor sempre tu vivi, e sei rimasta uguale a te stessa, o paziente tra le pazienti. Ancor sempre ti sei trascinata avanti di sepolcro in sepolcro!
In te vive ancora tutto ciò che non seppe redimersi nella mia giovinezza, e sotto forma di vita e di giovinezza tu ti sedesti, sperando, sui tumuli ingialliti.
Sì, tu sei ancora per me quella che infrange tutti i sepolcri.
Salve, o mia volontà! E solo dove sono i sepolcri, sono possibili le risurrezioni!».
Così cantò Zarathustra.