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104 | così parlò zarathustra - parte seconda |
Ma, quand’anche tu avessi ragione, son forse cose queste da spiattellarmele così sulla faccia? Ma ora parlami un po’ della tua saggezza.
Ah, ed ora tu riapri gli occhi, o vita adorata! E mi parve di profondare un’altra volta nell’impenetrabile».
Così cantò Zarathustra.
Ma quando la danza ebbe fine e le fanciulle si furono partite, egli divenne mesto.
«Il sole è tramontato da gran tempo — disse finalmente — il prato è umido, e dai boschi soffia un’aria fresca.
Aleggia intorno a me qualcosa d’ignoto e di pensoso. E che! Vivi tu ancora, o Zarathustra?
E perchè? A che? Di che? Per dove? Dove? Come? Non è follia vivere ancora?
Ah, miei amici, la sera rivolge tali interrogazioni. Perdonate alla mia tristezza!
È scesa la sera! perdonatemi».
Così parlò Zarathustra.
Il canto funebre.
«Laggiù è l’isola dei sepolcri, la silente: laggiù è anche il sepolcro della mia giovanezza. Voglio portarvi una ghirlanda di semprevivi della vita.
Così risolvendo nel cuore attraversai il mare.
O visioni e imagini della mia giovanezza! 0 voi tutti, sguardi dell’amore, momenti divini! Come presto siete dileguati! Oggi il mio pensiero ricorre a voi, come a’ miei morti
Di laggiù, dilettissimi, morti, mi giunge un dolce profumo, che mi scioglie il cuore e m’induce al pianto. In verità esso commuove e scioglie il cuore del solitario navigante.
Ma ancora io sono tra i ricchi il più ricco e il più degno di invidia — io, il solitario tra i solitari! Poi che io ebbi voi, e voi m’avete ancora: ditemi, a chi come a me caddero in grembo tante melagrane?