Così parlò Zarathustra/Parte seconda/Della superazione di sè stessi
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Della superazione di sè stessi.
«Voi, saggi tra i saggi, chiamate «volontà di conoscere il vero» quella che vi ispira e vi fa ardenti?
Volontà di percepire tutto ciò che esiste: così io la chiamo.
Tutto ciò che esiste voi volete rendere conoscibile: giacché voi dubitate, per una giusta diffidenza, che tutto sia conoscibile.
Ma ciò che esiste deve sottomettersi e piegarsi a voi! Questo impone la vostra volontà. Esso deve diventar liscio e sottomesso allo spirito, quasi uno specchio che ne rifletta l’imagine.
Ecco in che consiste tutta la vostra volontà, o saggi tra i saggi: nel desiderio della dominazione; anche quando parlate del bene e del male e degli apprezzamenti dei valori.
Voi volete creare il mondo, per potervi prostrare dinanzi a lui; questo richiede l’ultima vostra speranza e la vostra ebbrezza.
L’ignorante e il popolo rassomigliano al fiume, su cui scorre una barca: e nella barca solenni e incappucciati siedono gli apprezzamenti dei valori.
La vostra volontà e i vostri valori voi li posate sul fiume del divenire. Un’antica volontà di dominazione mi rivela ciò che dal popolo è avuto per bene e male.
Voi, o saggi, accoglieste tali ospiti nella barca, dando loro splendori e nomi sonanti, — voi, e la vostra volontà dominatrice.
Ora il fiume trasporta la vostra barca: deve trasportarla. Poco importa se l’onda infranta assalga irosa la chiglia.
Non già il fiume è il vostro pericolo e la fine del vostro bene e del vostro male, o saggi tra i saggi: bensì quella stessa vostra volontà, la volontà della dominazione — la volontà inesausta e creatrice della vita.
Ma affinché voi comprendiate le mie parole intorno al bene ed al male io voglio dirvi alcunché sul conto della vita e di tutte le specie delle cose viventi.
Io seguitai, per vie aperte ed ascose, tutto ciò che vive, nell’intento di conoscere le ragioni della vita.
Con uno specchio centuplice io ne raccolsi lo sguardo quando la sua bocca era chiusa: perché il suo occhio mi parlasse. E il suo occhio mi parlò.
Ma dovunque trovai viventi, sentii anche parlare d’obbedienza. Tutto ciò che vive obbedisce.
È in secondo luogo: si comanda a colui che non sa obbedire a sè stesso. Tale è il costume d’ogni cosa vivente.
Ma in terzo luogo, ecco quanto ho udito: che il comandare è più difficile dell’obbedire.
E non soltanto compresi che chi comanda porta la responsabilità di tutti quelli che obbediscono e che tale responsabilità facilmente può schiacciarlo; — ma ben anche un rischio mi apparve ogni comandare; chè sempre colui che comanda pone in pericolo sé stesso.
Non solo: ma ancor quando l’uomo comanda a sé stesso, ei deve sopportarne la pena. Egli dev’essere giudice e vindice e vittima di sé. stesso.
«Come può avvenir ciò?» chiesi a me stesso. Che cosa può indurre ad obbedire e a comandare, ad obbedire ancor comandando?
Udite ora la mia parola, o saggi tra i saggi! Esaminate se io sono giunto a penetrar nel cuore della vita, e sino nelle vive radici di questo cuore!
Dove trovai la vita, ivi trovai anche la volontà di dominare; anche nella mente del servo scorsi la volontà d’esser padrone.
Ciò che al più debole persuade d'esser soggetto al più forte è la sua volontà, la quale vuole ch’egli domini su quello ch’è ancor più debole di lui; questa soddisfazione gli è necessaria.
E come il piccolo si concede al grande, per poter godere e dominare a sua volta ciò ch’è più piccolo di lui; così anche il più grande si concede e per amore della dominazione sacrifica la stessa vita.
In ciò sta il sacrificio suo: ch’esso è rischio e pericolo — un giuocar di dadi per la morte.
E dove esistono il sacrificio e la servitù e gli sguardi amorosi, ivi è anche la volontà d’esser padrone. Per vie recondite il più debole s’insinua nella rocca e nel cuore del potente e gli toglie una parte della sua potenza.
E questo segreto ancora la vita confidò a me: «Vedi», mi disse, «io sono quella cosa che sempre deve superar sé stessa».
«Certamente voi la chiamate volontà della generazione o istinto del fine, del sublime, del lontano, del molteplice: ma tutto ciò non è che una sola cosa e un mistero».
Io vorrei piuttosto perire, che rinunziare a questa cosa; e in verità dovunque c’è un perire — un cader di foglie vive — La, vita sacrifica sé stessa per la dominazione.
Che io debba essere una lotta, e un divenire, e un fine, e un contrasto di fini! Ah, chi indovina la mia volontà, indovina anche per quali oblique vie essa sia costretta ad avanzare!
Di tutte le cose che io creo, e per quanto io le ami, in breve io sono costretto ad essere l’avversario; ciò impone la mia volontà.
E anche tu, che vuoi conoscere, null’ altro sei che un sentiero, che un’orma della mia volontà; la mia volontà della dominazione cammina coi piedi della tua volontà del vero!
Certo s’ingannava colui che proclamò la «volontà d’esistere»; una tale volontà è falsa dacché ciò che non esiste non può volere; ma quello che è già nell’esistenza, come potrebbe ancora voler esistere?
«Soltanto dov’è vita è anche volontà»; ma non già volontà di vivere, bensì volontà di dominare!
Molte cose per i viventi han più pregio che non la stessa vita ma di questo pregio parla ancora la volontà della dominazione!
Questo mi apprese un giorno la vita; e con ciò, o saggi tra i saggi, io sciolgo l’enigma del vostro cuore.
In verità, io vi dico: Non v’ha un bene e un male imperituri! Fuor di sé essi devono sempre superare sé stessi.
Coi vostri valori e con le vostre parole di bene e di male voi esercitate un potere, o apprezzatori di valori ed è questo il vostro amore nascosto, e lo splendore, e il tremolare e il traboccare della vostra anima.
Ma una forza maggiore e un nuovo pregio sorge dai vostri valori: e contro quella si spezza l’uovo e il guscio dell’uovo.
E chi deve essere un creatore nel bene e nel male, in verità deve essere prima di tutto un distruttore dei valori.
Così il supremo male è necessario alla volontà suprema; alla bontà che crea.
Parliamone pure, o saggi tra i saggi, anche se trista cosa è il parlarne. Non è più trista ancora il tacerne? tutte le verità che si taciono diventano velenose.
E possa infrangersi ciò che nelle nostre verità è fragile! Ci sono ancor molte case da edificare!».
Così parlò Zarathustra.