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il canto funebre | 107 |
Nella danza soltanto mi sento atto a parlare in similitudini delle cose più eccelse: ma la più leggiadra delle mie similitudini mi rimase soffocata nella gola!
Inespressa e insoddisfatta rimase la più bella delle mie speranze!
E con lei morirono tutte le visioni confortatrici della mia giovanezza!
Come potrei sopportare un tal male? Come dimenticai e vinsi tali ferite? Come l’anima mia risorse da un tale sepolcro?
Sì, è in me qualche cosa contro cui non valgono nè le ferite nè i colpi, qualche cosa che spezza anche le rocce; e questa cosa è la mia volontà. Essa incede taciturna e immutabile attraverso gli anni.
Essa vuol camminare coi miei piedi, la mia vecchia volontà: essa è salda e invulnerabile nell’intimo.
Io non sono invulnerabile che nel tallone.
Ancor sempre tu vivi, e sei rimasta uguale a te stessa, o paziente tra le pazienti. Ancor sempre ti sei trascinata avanti di sepolcro in sepolcro!
In te vive ancora tutto ciò che non seppe redimersi nella mia giovinezza, e sotto forma di vita e di giovinezza tu ti sedesti, sperando, sui tumuli ingialliti.
Sì, tu sei ancora per me quella che infrange tutti i sepolcri.
Salve, o mia volontà! E solo dove sono i sepolcri, sono possibili le risurrezioni!».
Così cantò Zarathustra.