Così parlò Zarathustra/Parte seconda/Del paese della coltura
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Del paese della coltura.
«Troppo m’addentrai nell’avvenire: fui colto da un brivido d’orrore.
E quando mi guardai in torno, vidi che il tempo era il mio solo contemporaneo.
Allora volai a ritroso, verso la patria, rapidamente: così venni a voi, o esseri del presente, nel paese della coltura.
Per la prima volta ebbi per voi uno sguardo e un desiderio sincero: in verità io venni con un desiderio ansioso nel cuore.
Ma come ciò m’accadde? Grande era la mia angoscia, e pur fui costretto a ridere! Non mai ancora il mio occhio aveva veduto cosa tanto variopinta e bizzarra!
Io rideva e rideva, mentre il mio piede ancor tremava, e palpitava il mio cuore: «ma questa è la patria di tutti i vasi di colore» — dissi a me stesso.
Chiazzati in volto e nel corpo di cinquanta colori, tali appariste alla mia meraviglia, o uomini del presente!
E con cinquanta specchi intorno a voi che adulavano e secondavano il vostro gioco di colori!
In verità, non potreste imaginare, o presenti, una miglior maschera del vostro proprio volto! Chi potrebbe ravvisarvi?
Tutti impiastricciati coi segni del passato, su cui nuovi segni impresse il pennello: in verità, voi siete egregiamente difesi contro gl’interpretatori di geroglifici!
E se pure alcuno fosse investigatore di reni: come potrebbe egli credere ancora che voi abbiate reni? Voi sembrate impastati di colori e di cartelle appiccicate l’una sull’altra.
Tutti i tempi e tutti i popoli si rispecchiano nei vostri veli: tutti i costumi e tutte le credenze nei vostri gesti.
Chi strappasse dai vostri volti i veli e i mantelli e i colori e i gesti non si troverebbe tra le mani altro che uno spauracchio d’uccelli.
In verità, io stesso sono l’uccello impaurito, che vi scorse una volta nudi e senza colori; e io volai lontano, quando la vostra carcassa mi fè cenni d’amore.
Preferirei essere operaio nell’inferno, tra le ombre d’una volta! Poichè gli abitatori degli inferni sono più saldi di voi!
Sì, questa è l’amarezza delle mie viscere: che io non possa tollerarvi nè nudi nè vestiti, o uomini del presente!
Tutto ciò che v’ha di più sinistro nell’avvenire, tutto ciò che fin qui ha incusso terrore agli uccelli svolazzanti e smarriti è assai men tristo della «realtà» vostra.
Giacchè così voi parlate: «Noi siamo reali in tutto e senza fede e senza superstizioni» — ecco di che vi gloriate!
Oh, come mai potreste credere, o multicolori, d’essere un’imagine dipinta di tutto ciò che fu creduto?
Voi siete confutazioni viventi della stessa fede, voi siete i distruggitori di tutti pensieri. Indegni di fede io vi chiamo, o reali! Tutti i tempi cozzano l’un contro l’altro nei vostri spiriti: e i sogni e le chiacchiere di tutti i tempi furon cose più solide del vostro esser desti!
Sterili voi siete: per ciò vi fa difetto la fede. Ma chi sente l’impulso a creare ebbe sempre i sogni profetici e amò i pronostici degli astri — e tenne fede alla fede!
Voi siete porte socchiuse, alla cui soglia attendono i necrofori. E questa è la vostra realtà: «Tutte le cose son degne di perire!».
Ah, come m’apparite, o sterili, magri nelle costole! Più d’uno tra voi ebbe ad avvedersene da sè stesso.
E quegli disse: «Forse un Dio, mentre dormivo m’ha tolto di nascosto qualche cosa». In verità, v’ha tolto quanto basta per farne una femminetta!
«È propria meravigliosa la magrezza delle mie costole!», esclamò più d’uno di voi.
Sì, degni di riso m’appariste voi tutti, uomini del presente!
E sopra tutto quando vi meravigliaste di voi stessi.
Guai a me, se io non potessi ridere della vostra meraviglia, e se fossi costretto a bere tutto ciò che di amaro è nei vostri calici!
Ma così come stanno le cose, io possa scherzare con voi, giacchè ho un grave fardello da portare: che importa a me se su quel fardello ch’io porto si posano anche gli scarafaggi e gli assilli!
In vero, non diverrà per ciò più pesante! E non già per voi, o esseri del presente, mi assalirà la grande stanchezza.
Ah, fin dove ancora debbo ascendere con la mia brama!
Dall’alto di tutti i monti io giro l’occhio in cerca dei paesi paterni e materni.
Ma la patria non la trovai ancora in nessun luogo: inquieto m’aggiro in tutte le città, ma sempre in vicinanza delle porte, pronto alla partenza.
Stranieri sono per me argomento di beffe gli uomini del presente, verso i quali poc’anzi m’aveva spinto il cuore; io sono un bandito tutti i paesi paterni e materni.
E così io non posso amare che il paese dei miei figli, il paese inesplorato, laggiù nel più lontano de’ mari; verso di esso drizzo le mie vele ansiosamente cercando. Nei miei figli voglio redimere la mia colpa d’esser stato figlio de’ miei padri: e con l’avvenire voglio riscattar questo presente!».
Così parlò Zarathustra.