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116 | così parlò zarathustra - parte seconda |
Stranieri sono per me argomento di beffe gli uomini del presente, verso i quali poc’anzi m’aveva spinto il cuore; io sono un bandito tutti i paesi paterni e materni.
E così io non posso amare che il paese dei miei figli, il paese inesplorato, laggiù nel più lontano de’ mari; verso di esso drizzo le mie vele ansiosamente cercando. Nei miei figli voglio redimere la mia colpa d’esser stato figlio de’ miei padri: e con l’avvenire voglio riscattar questo presente!».
Così parlò Zarathustra.
Della percezione immacolata.
«Ieri quando la luna si levò, imaginai ch’essa volesse partorire un sole; tanto appariva ampia e gravida sull’orizzonte.
Ma la sua gravidanza era menzogna; e amai credere che nella luna fosse l’uomo anzi che la donna.
Certo nulla ha di maschio questo timido astro nottambulo. In verità, esso striscia sui tetti con la coscienza malsicura.
Giacchè l’anacoreta della luna è lascivo e geloso, avido delle voluttà della terra e dell’amore.
No, io non posso tollerarlo, questo gatto che ama i tetti! Ho in odio tutti coloro che ronzano intorno alle finestre semichiuse.
Più e taciturno egli cammina sui tappeti cosparsi di stelle: — ma io non amo nell’uomo il passo silenzioso; mi piace sentir risonare lo sperone.
Il passo dell’uomo sincero parla; ma il gatto striscia tacito sul suolo. Ed ecco, anche la luna segue l’uso dei gatti, falsa al par di loro.
Questa parabola è dedicata a voi, o sentimentali ipocriti, a voi che amate la percezione pura! Io vi chiamo lascivi!
Anche voi amate la terra e ciò ch’è terreno: ho saputo leggervi nell’anima, — ma nel vostro amore è la vergogna e la cattiva coscienza: voi rassomigliate alla luna!
Il disprezzo delle cose terrene fu persuaso al vostro spirito ma non già ai vostri visceri: questi sono la vostra parte più forte.