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del paese della coltura | 113 |
Con le braccia incrociate dietro il capo dovrebbe riposare l’eroe: e vincere così lo stesso suo riposo.
Ma appunto all’eroe il bello appare come la più difficile delle cose. Irraggiungibile è il bello per ogni volontà troppo impetuosa.
Un po’ più, un po’ meno: ciò appunto in questo caso vuol dire molto, quasi tutto.
Starsene coi muscoli distesi e con la volontà disarmata: ecco ciò che riesce più difficile d’ogni altra cosa, o sublimi!
Io chiamo bellezza il discendere della potenza, fatta benigna, tra le cose visibili.
E a nessuno con tanta insistenza chiedo bellezza, con quanta a te appunto la domando, o poderoso: la tua bontà sia l’ultima prova dell’aver superato te stesso.
Io ti stimo capace di tutto ciò ch’è perverso: perciò ti domando il bene.
In verità, io ho riso assai spesso dei deboli, che si credevano buoni perchè le loro zampe erano rattrappite!
La virtù della colonna sia a te d’esempio: quanto più s’erge in alto più diviene bella e delicata, ma anche si fa interiormente più dura ed atta sostenere il peso.
Sì, o sublime, un giorno tu sarai anche bello e porgerai lo specchio alla tua propria bellezza.
Allora l’anima tua proverà il brivido ai desideri divini: e nella tua vanità sarà l’adorazione!
Giacchè questo è il mistero dell’anima: solo quando l’eroe l’ha abbandonata le si appressa — nel sogno — il Supereroe».
Così parlò Zarathustra.
Del paese della coltura.
«Troppo m’addentrai nell’avvenire: fui colto da un brivido d’orrore.
E quando mi guardai in torno, vidi che il tempo era il mio solo contemporaneo.