Così parlò Zarathustra/Parte seconda/Dei virtuosi
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Dei virtuosi.
«Ai sensi torpidi e fiacchi conviene parlare coi tuoni e coi raggi celesti.
Ma la voce della bellezza parla sommesso; essa non si insinua che nelle anime più pronte.
Oggi leggermente vibrò e sorrise il mio scudo: questo è il sacro fremito e il riso della bellezza.
Di voi, o virtuosi, rise oggi la mia bellezza: e così giunse a me la sua voce: «Essi vogliono esser pagati per giunta».
Voi volete esser per giunta pagati, o virtuosi: chiedete il vostro premio per la virtù, e il cielo per la terra, e l’eternità per il vostro oggi?
E vi adirate con me, perchè io insegno che non v’ha chi rimunera e chi paga? Certo: per me la virtù non è nè pura nè rimuneratrice di sè stessa.
Ah, in ciò è il mio affanno! Con menzogna della ricompensa e del castigo fu avvelenato il fondo delle cose — anche il fondo delle vostre anime, o virtuosi!
Ma, simile alle zanne del cinghiale, le mie parole sventreranno le vostre anime: voglio che mi chiamiate il vostro vomere.
Tutti i misteri della vostra intima natura debbono venire alla luce; e quando giacerete al sole spogliati e infranti, allora la vostra menzogna sarà separata dalla vostra verità.
Perchè la vostra verità è questa: voi siete troppo; puri — per la sozzura delle parole — vendetta, castigo, mercede, ricompensa.
Voi amate la vostra virtù, come la madre ama il proprio figlio; ma quando mai s’è sentito che la madre chieda d’esser pagata del suo amore?
Essa è per voi la cosa più cara, la vostra virtù. La brama dell’anello è in voi? Ricongiungersi a sè stesso, ecco ciò a cui tende ogni anello.
E simile a un astro spento è ogni opera della vostra virtù: la sua luce è ancora sempre in cammino: — quando avrà finito di camminare?
Così la luce della vostra virtù si diffonde ancora, quando l’opera stessa è già compiuta. Sia pur questa spenta e dimenticata: il suo raggio di luce rifulge ancora e cammina.
Che la vostra virtù sia la vostra intima essenza e non già qualche cosa d’estraneo, quale una scorza o una veste; sia essa la verità che scaturisce dall’intimo della vostra anima, o virtuosi!
Ma pure v’hanno alcuni, la cui virtù è simile all’agonia di chi si contorce sotto la sferza: e voi avete troppo a lungo ascoltato le loro grida!
E altri ci sono, che chiamano virtù la putrefazione dei loro vizi; e quando il loro odio e la lor invidia hanno dato l’ultimo respiro, la loro giustizia si desta e si frega gli occhi assonnati.
E ci sono altri, che vengono spinti all’ingiù: i loro demoni li attirano a sè. Ma più profondano, e più lampeggia ardente il loro occhio e la brama del loro Dio.
Ah, anche le grida di costoro giunsero ai vostri orecchi, o virtuosi: «ciò che io non sono, è per me Dio e virtù!».
E altri ancora ci sono che giungono gravi come carri i quali trasportino sassi alla valle; essi parlano molto di dignità e di virtù — al loro freno essi dànno il nome di virtù.
Ed altri rassomigliano agli orologi, che si caricano ad ogni giorno: essi fanno tic-tac e pretendono che il loro tic-tac sia chiamato virtù.
In verità costoro mi piacciono: dovunque io troverò di tali orologi, voglio caricarli col mio scherno.
E altri ancora vanno superbi della loro manciata di giustizia e in nome suo commettono delitti contro tutte le cose: così che il mondo perisce annegato nella loro ingiustizia.
Ah, quanto male suona la parola virtù, su le labbra di costoro! E quando dicono: «io sono giusto», pare sempre che dicano: «io sono vendicato»1.
Con la loro virtù essi voglion cavar gli occhi ai loro avversari; e non si esaltano che per abbassare gli altri.
E altri ancora v’hanno, i quali seduti nella loro palude, così parlano attraverso i giuncheti:
«Virtù è lo star seduti silenziosamente nella palude».
«Noi non mordiamo nessuno, ed evitiamo quelli che voglion mordere: e intorno ad ogni cosa noi pensiamo come vogliono gli altri».
E altri ancora ci sono, i quali amano gli atteggiamenti, e pensano che la virtù è una specie d’atteggiamento.
Le loro ginocchia adorano sempre e le loro mani non si stancano di esaltare la virtù, ma il loro cuore nulla sa di tutto ciò.
E ci sono ancor altri, che pensano far mostra di virtù col dire: «La virtù è necessaria»; ma in fondo essi credono soltanto alla necessità della polizia.
E taluno, che non giunge a vedere ciò che più è nobile nell’uomo, chiama virtù il veder troppo da vicino ciò che l’uomo ha di basso; e dà il nome di virtù al suo mal occhio.
E altri vogliono esser edificati e sollevati e chiaman ciò virtù; altri vogliono essere atterrati — e chiamano virtù ancor questo. E così tutti credono d’avere la lor parte di virtù: e per lo meno ciascuno pretende di conoscere il «bene» ed il «male».
Ma Zarathustra non è già venuto per dire a tutti questi pazzi e mentitori: «che cosa sapete voi della virtù? Che cosa potreste sapere voi della virtù?»; bensì, perchè voi, amici, vi sentiate stanchi delle logore parole che avete appreso dai pazzi e dai mentitori; perchè vi sentiate stanchi delle parole: «mercede», «ricompensa», «castigo», «vendetta nella giustizia», e siate stanchi di dire: «che un’azione è buona quando è disinteressata».
Ah, miei amici! Che nell’azione la vostra intima natura si riveli come la madre nel figlio; la vostra parola sia questa: virtù.
Invero, io vi tolsi almeno cento parole a voi care e i più diletti trastulli della vostra virtù: e ora mi tenete il broncio, come fanno i bambini.
Essi giuocavano in riva al mare, — a un tratto giunse l’onda e travolse nel suo grembo profondo i loro giocattoli: e ora piangono.
Ma la stessa onda ne apporterà dei nuovi e spargerà dinanzi a loro nuove conchiglie variopinte! E così si sentiranno confortati.
Com’essi anche voi, miei amici, avrete nuovi conforti — e nuove variopinte conchiglie!».
Così parlò Zarathustra.
- ↑ Gerecht — giusto.
Gerächt — vendicato.(N. d. T.)