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della plebe | 91 |
Ma la stessa onda ne apporterà dei nuovi e spargerà dinanzi a loro nuove conchiglie variopinte! E così si sentiranno confortati.
Com’essi anche voi, miei amici, avrete nuovi conforti — e nuove variopinte conchiglie!».
Così parlò Zarathustra.
Della plebe.
«La vita è una sorbente di gioia; ma le fonti cui attinge anche la plebe divengono attossicate.
Io amo tutto ciò che è nitido; non so tollerare le bocche ghignanti e la sete degli impuri.
Essi gettarono lo sguardo nella profondità del pozzo; ed ora il lor sorriso ripugnante mi si offre rispecchiato dal fondo del pozzo. Hanno avvelenato la santa acqua con la loro concupiscenza: e quando diedero nome di gioia ai loro luridi sogni, attossicarono anche le parole.
La fiamma si ritrae nauseata, quando essi avvicinano al fuoco i loro viscidi cuori: lo spirito stesso gorgoglia e manda fumo, quando la plebe s’affaccia al fuoco.
Dolciastro e vizzo si fa il frutto nelle lor mani; malfermo e disseccato diviene l’albero fruttifero quand’essi lo guardano.
E parecchi non s’allontanarono dalla vita, se non per allontanarsi dalla plebe: poi che non volevano dividere con la plebe le fonti, la fiamma, il frutto.
E molti, che si ridussero a vivere nel deserto e vi soffrirono la sete in compagnia delle fiere, ciò fecero per non doversi trovar seduti intorno alla cisterna coi sudici conduttori di camelli.
E più d’uno che appariva quale uno sterminatore minaccioso, quale grandine per i campi ubertosi, non intendeva che a porre il piede su la bocca della plebe e soffocarne così la voce.
E il più amaro boccone, che dovetti ingoiare, non fu già il sapere che nella vita è necessaria l’inimicizia e la morte e le