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Sulla soglia

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Sulla soglia



Ogni anno, quando anche l’ultimo foglietto del calendario diventa inutile e vien imposto agli uomini di mutare una cifra, una sola piccola cifra, e di un punto solo, nell’espressione numerica convenzionale, destinata a determinare una larga divisione di tempo, gli uomini usano sostare un istante a considerare, molto suggestivamente, gli effetti di quel mutamento pur lieve, e P effetto della considerazione è in tutti identico: un senso di malinconia, di amarezza e di ribellione.

La piccola data mutata par monito vivo e terribile, nella sua inesorabilità:

— Il tempo passa! ti resta un anno di meno — trascorre la giovinezza — trascorre la forza — fluisce la vita verso la sua foce, inesorabile! [p. 212 modifica]Lo sappiamo — ogni giorno, ogni ora che passano dovrebbero suggerirci il memento severo. Ma i giorni e le ore incalzano tanto rapidamente, clie non danno tempo per le meditazioni malinconiclie — per fortuna! Ci si permette il lusso di riflettere, il lusso di filosofare e di immalinconirci una volta ogni dodici mesi soltanto, appunto quando il calendario segna il trapasso importante, e tutto l'almanacco vecchio è esaurito.



Soltanto, dalla malinconia e dall'amarezza naturali, forse, e giustificabili, sebbene poco saggie, sorge in tutti, in tutti gli uomini e sempre, un senso di ribellione, un impeto di rivolta, che è angoscia della carne incapace di rassegnarsi al suo destino caduco, e che, non potendo rivolgersi contro le supreme, eterne leggi inesorabili, ineluttabili, fatali e tremende, si traduce puerilmente in rampogne amare, in rimproveri severi, in imprecazioni inutili contro il vecchio anno che muore.

Per fortuna il vecchio anno — come il nuovo — nella sua qualità di figlio del Tempo, è naturalmente filosofo e, nella sua imperturbata [p. 213 modifica]serenità, passa senza cominnoversi per le grottesche escandescenze dei piccioletti uomini, ch’egli contempla dall'alto della sua indifferenza olimpica. Ma il fenomeno non è meno significante per questo.

Leggete in questi giorni la retorica di fin d’anno, dilagante per le gazzette quotidiane o sulle riviste più o meno letterarie. Dovunque è questione di rimpianti vani e di speranze d’avvenire, che naturalmente l'anno nuovo tradirà; dovunque son requisitorie atroci contro il vecchio anno caduto nell'orbita del tempo, sotto un cumulò di delitti, di lagrime, di sangne, che ne fanno maledire la memoria; dovunque un avventarsi contro il pallido fantasma, evanescente già nell'ombra, per rinfacciargli come altrettanti crimini suoi, le nostre delusioni e i sogni nostri infranti.



E sappiamo tutti che la colpa delle nostre lagrime, delle nostre amarezze, dai nostri sconforti non è dell'anno, no, non di questo spirato appena e non degli antecessori suoi.

La colpa è della vita, più ricca di dolore che di gioia — la colpa è dell’uomo, plri osti [p. 214 modifica]nato nell’illusione che saggio e coraggioso nella contemplazione lucida della realtà.

Perchè ostinarci a piangere? perchè ostinarci a sperare, a sognare, a voler forzata per noi la legge, che è tutta di dolore? perchè trascurar sempre l’attimo presente, la piccola gioia reale, tangibile, possibile, il riso breve, il raggio di sole, per fìggere lo sguardo in un futuro, che significa sempre un passo innanzi verso la morte, verso il silenzio eterno, verso la fine, e perdere la gioia e perdere le forze e perdere l’energia gioconda nella contemplazione d’un miraggio?

La felicità non deve essere fatta di speranza: la felicità non sarà, è: al saggio cercarla, scoprirla, coglierla in una concezione alta e serena della vita che trasfiguri la realtà in un desiderio umile e forte di gioia che sia creatore di gioia e suggestivo di sorriso, in un sapiente e geloso accrescimento delle facoltà gaudiali sicchè diventino sorgente d esaltazione spirituale, capaci di opporsi vittoriose a tutte le depressioni della psiche.



Mille cose buone, infinite cose belle sono intorno a noi, di cui non sappiamo godere, [p. 215 modifica]soverchiati come siamo dal pessimismo che lia accartocciato e assiderato l'anima nostra: esiste ancora sulla terra il sole, e i nostri occhi non lo vedono più, fìssati con ostinazione nelle tenebre — esiste ancora tra gli uomini- la bontà, l’amicizia, l'amore, la generosità, e noi non ci crediamo più... Questa, questa è la sorgente del nostro soffrire!

Ci aggrappiamo disperati all'illusione, tendiamo le mani e il desiderio verso la speranza, e non abbiamo più la fede! Iotl crediamo più negli uomini, non crediamo più in noi. Come potrebbe sbocciare il divino fiore della gioia, l'azzurra pianta della felicità in un terreno di cenere?

Non la vita mentisce — non il tempo tradisce — il nostro piangere non viene dalle cose, ma da noi; sgorga dall'intimo dell'anima nostra e si diffonde, non più in rugiada benefica, ma in brina devastatrice.

Il tempo non rimedierà questo stato di cose — nessun anno nuovo porterà la panacea per questo terribile male — noi non potremo ricevere mai più la grazia divina della gioia, se non disponiamo prima lo spirito ad accoglierla — ogni speranza nuova darà frutti di cenere, se non metterà sue radici in un terreno di fede. [p. 216 modifica]Ci porti il nuovo anno questa fede: la semplicità di cuore necessaria per godere davvero delle piccole, infinite gioie, che la vita offre a tutti, che sbocciano ad ogni passo sulla via degli uomini, e P ottimismo indispensabile per crederci e per apprezzarle.

— C'è il sole oggi? Gaudeamus!