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serenità, passa senza cominnoversi per le grottesche escandescenze dei piccioletti uomini, ch’egli contempla dall'alto della sua indifferenza olimpica. Ma il fenomeno non è meno significante per questo.
Leggete in questi giorni la retorica di fin d’anno, dilagante per le gazzette quotidiane o sulle riviste più o meno letterarie. Dovunque è questione di rimpianti vani e di speranze d’avvenire, che naturalmente l'anno nuovo tradirà; dovunque son requisitorie atroci contro il vecchio anno caduto nell'orbita del tempo, sotto un cumulò di delitti, di lagrime, di sangne, che ne fanno maledire la memoria; dovunque un avventarsi contro il pallido fantasma, evanescente già nell'ombra, per rinfacciargli come altrettanti crimini suoi, le nostre delusioni e i sogni nostri infranti.
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E sappiamo tutti che la colpa delle nostre lagrime, delle nostre amarezze, dai nostri sconforti non è dell'anno, no, non di questo spirato appena e non degli antecessori suoi.
La colpa è della vita, più ricca di dolore che di gioia — la colpa è dell’uomo, plri osti