Così mi pare/Chiose/Una via d'eccezione

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Una via d’eccezione


Il Giornalismo.

Quel fenomeno comune in America e abbastanza frequente in Inghilterra e in Francia che si chiama la donna giornalista, sta facendosi strada da qualche anno anche in Italia.

Timidamente. La donna forza le porte del giornale attraverso l’articolo d’impressione, attraverso l’intervista, attraverso la discussione in materia di problemi che la riguardano esclusivamente. Raramente entra a far parte d una redazione, disposta a essere una delle tante forze anonime che lavorano silenziose a compilare il trafiletti, a stendere un telegramma, a rivedere le note dei reporters, a correggere la Stefani, a fare lo spoglio dei giornali, a passare le provincie, a rivedere la telefonata, a far la Camera. [p. 48 modifica]

Bisogna però convenire che la colpa non è della donna. Centinaia di donne colte e intelligenti, mirabilmente dotate per codesta carriera che attira come un miraggio e affascina come una sirena, vi entrerebbero con entusiasmo e vi starebbero assai degnamente. Ma c’è la concorrenza maschile che è enorme, ma c’è la diffidenza dei direttori e degli amministratori di giornale che non vogliono saperne d’avere delle donne fra i piedi. Un solo grandissimo direttore ho conosciuto che faceva eccezione alla regola: Gandolin. Le due più grandi giornaliste italiane, Matilde Serao e Olga Ossani (Febea), furono allieve sue. Egli soleva dire che una donna può essere un elemento prezioso in un giornale e che le doti essenziali di un giornalista: rapidità d’intuizione, efficacia di comunicativa, vivacità di impressione, facilità di scrivere, sono qualità naturali della donna.

— Mancano la misura e la logica — egli soggiungeva — ma la logica non è indispensabile per fare il giornale e la misura s’acquista colla pratica.

Avrebbe potuto soggiungere che la misura e la logica non sono qualità facili a riscontrarsi nemmeno in tutti i giornalisti maschi e [p. 49 modifica] nessuno poteva saperlo più di lui che di logica e di misura era maestro mirabile.

Ma Gandolin è scomparso — purtroppo — e come nessuno ha raccolto la sua eredità intellettuale, così nessuno, in Italia — io credo — ha ritenuto di doverlo seguire nella sua opinione indulgente verso le vocazioni giornalistiche femminili.

Ecco perchè le donne redattrici di grandi giornali politici italiani si contano tutte sulle dita di una sola mano e forse, qualche dito avanza.

Via d’eccezione, questa, lo è dunque di fatto e continuerebbe ad esserlo anche quando tutti i giornali aprissero le loro porte e le loro colonne a qualche donna veramente nata colla passione della carta stampata. La schiera delle ammesse a questo genere di lavoro sarebbe sempre così esigua, adunque, da non permettere di annoverare il giornalismo tra le carriere effettivamente aperte alla donna.

Via d’eccezione anche perchè il contributo che la donna vi può portare sarà sempre limitato da una infinità di considerazioni e per una quantità di ragioni d’ordine materiale e morale facilmente comprensibili.

Anche qui è questione di opportunità più [p. 50 modifica] che di possibilità. Alla stregua della possibilità non c'è lavoro giornalistico che una donna intelligente non possa compiere: le sue qualità intellettuali la fanno particolarmente indicata per il servizio di reportage che esige prontezza di visione, facoltà di sintesi, acutezza d’analisi, rapidità d’intuizione, efficacia e sobrietà d’esposizione; la sua grande facilità di scrivere la rende preziosa compilatrice dei trafiletti improvvisati che debbono rendere in una pennellità rapida l'istantanea di un’impressione o il commento vivace, sentito, breve alla notizia sensazionale o l’osservazione abile che nasconda la traccia del giudizio suggerito al pubblico; la sua qualità di donna, la maggiore sua gentilezza. Parte ch’ella sa mettere in una autopresentazione, garantiscono sempre l'esito delle sue interviste; le qualità naturali in lei di attenzione, di diligenza, d’ordine, di raccoglimento la designano particolarmente per tutto quel modesto e importantissimo lavoro giornalistico che va dallo sfoglio dei giornali al rifacimento d’una corrispondenza di provincia, dalla redazione delle notiziette di cronaca alla correzione delle bozze, dalla traduzione di una notizia estera, alla trasformazione della Stefani.

Ma e’ è un lavoro di reportage che non s’ [p. 51 modifica] addice a una donna assolutamente. È quello che esige le corse in questura, i sopraluoghi nei bassifondi della malavita in tutte le ore del giorno e della notte, la visione quotidiana di tutte le tragedie della passione e del vizio, il contatto continuo con tutte le miserie, con tutte le vergogne, con tutti i pericoli. Ma c’è una forma di trafiletti, una specie d’articolo che una penna femminile, per quanto sia abile e lucida e temprata a brillante e forte, non può tracciare: è L'articolo polemico, è il trafiletti violento come una scudisciata, ardito con una provocazione, pronto a mutarsi domani in un colpo di spada o a finire in una vertenza giudiziaria. Ma c’è una grande condizione di inferiorità rispetto ai suoi colleghi tutti, dal primo all’ultimo, in codesta figurina simpaticamente ardita e curiosamente ambigua che è la donna giornalista: è la sua incapacità ad assumere una qualsiasi responsabilità materiale sì cavalleresca che giuridica per quello che scrive, è quella specie di corazza di impunità che il suo sesso le crea intorno e che senza garantirla dall’ingiuria, dalla calunnia, dall'insinuazione, dal sorriso che è compatimento e scherno, diminuisce l’efficacia della sua parola, il valore del suo giudizio, la portata della sua [p. 52 modifica] disapprovazione; mette il freno n ogni suo impeto per quanto generoso e schietto, rende inutile il suo coraggio, tempera forzatamente ogni troppo vivace espressione del suo sentimento.

Ma fuori dell’esercizio tecnico del giornalismo, fuori dalla redazione, nel campo della collaborazione che ammette e domanda un contributo d’idee, d’impressioni, di osservazioni di carattere tutto personale, c è posto anche per la donna che abbia ingegno, coltura, attitudini.

Un bel posto e degno. Attraverso una nobile penna femminile che si proponga di diventare strumento di educazione, il giornale può essere volta a volta scuola, pergamo, cattedra, può farsi il denunziatore di miserie e di bisogni che due limpidi occhi femminili veggono meglio dell'uomo, può ricordare doveri e obblighi diventati lettera morta per lo scetticismo maschile, può giungere al cuore per commuoverlo e piegarlo attraverso quelle vie che soltanto il fine intuito muliebre sa trovare e percorrere. In questo senso, l'opera di una donna può essere davvero preziosa in un giornale.