Compendio del trattato teorico e pratico sopra la coltivazione della vite/Parte II/IV/Art I

Parte II - Capitolo IV
Articolo I

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ARTICOLO I.


Delle cause che influiscono sulla fermentazione.


Le diverse cause, che influiscono sulla fermentazione si riducono all’azione del calore, dell’aria, del volume, della massa che fermenta, ed alla natura dei principj che compongono il mosto.

I tempi freddi, e i tempi troppo caldi agiscono egualmente in maniera poco favorevole alla fermentazione, la quale si opera perfettamente al decimo grado del termometro di Réaumur. Si potrebbe rimediare alla poca elevazione della temperatura, stabilendo del fuoco nei luoghi destinati alla fermentazione; ma questo modo facilissimo ad eseguirsi, è soggetto a molti inconvenienti assai gravi, che deve farlo rigettare. È meglio, se la stagione è fredda, chiudere esattamente le porte, e coprire le tine accuratamente. Dietro una quantità di osservazioni, sembra rigorosamente provato, che la fermentazione è tanto più lenta, quanto più la temperatura è fredda al momento delle vendemmie. Rozier se n’è assicurato nel 1769.

Dell’uva raccolta li 7, 8, 9 ottobre non à cominciato a fermentare che li 19, e questa operazione non à terminato, che ai 25; intanto che per una eguale qualità di uva, raccolta li 16 in tempo più caldo, la fermentazione si è terminata dai 21 ai 22.

Lo stesso fatto è stato osservato nel 1740.

La temperatura dei nostri climi non è mai tanto elevata per produrre quelle fermentazioni tumultuose e violente, che il sig. Maupin credeva [p. 90 modifica]necessarie per produrre un vino generoso, i cui pericoli l’ab. Rozier à fatti conoscere nella sua memoria coronata a Lyon l’anno 1760.

Bisogna dunque garantire la vendemmia dai danni del freddo. Perciò importa che le tine siano poste in luogo coperto, le cui aperture si chiuderanno esattamente con paglia, e che siano turate con buoni coperchj di paglia, i quali produrranno il doppio effetto di preservarle dalla freschezza dell’atmosfera, e di ritenere buona parte del principio aromatico.

Si potranno cogliere le uve in tempo caldo, con un bel sole: e se questi modi fossero insufficienti, far riscaldare delle caldaje di mosto, le quali s’introdurrebbero bollenti col mezzo di un imbuto di ferro-bianco, il cui piviolo lunghissimo potrebbe arrivare sino al fondo della tina.

La preferenza dell’aria era stata sin ora giudicata necessaria per produrre la fermentazione vinosa: ma sperienze esatte fatte da don Gentil, Chaptal, Fabroni, e che io ò ripetute e variate in molti modi, provano che questa operazione si termina in vasi ben chiusi, ed anche nel voto: cionnullostante se i vasi esattamente chiusi non danno passaggio alle sostanze che si sviluppano, la loro accumulazione può farsi tale, che trovandosi in un grandissimo stato di compressione, minora in questo caso la fermentazione, e l’arresta anche completamente. Così le sostanze gazose, trattenute nel vino bianco schiumoso di Champagne, fuggono con rapidità, e con viva effervescenza, subito che la forza comprimente che si opponeva al loro sviluppo, à cessato di esistere. Il metodo di operare in vasi [p. 91 modifica]chiusi, e al libero contatto dell’aria, offrendo ambidue alcuni svantaggi, si può prendere tra essi un termine medio, il quale opponendosi allo svaporare della parte aromatica, e spiritosa della vendemmia, non rallenterà punto la fermentazione.

Sebbene la fermentazione possa benissimo stabilirsi sopra piccole quantità di mosto, non è perciò niente meno dimostrato, che l’aumento della massa la rende più violenta, più tumultuosa, e più completa.

Dietro una sperienza del sig. Chaptal, il mosto deposto in una botte non terminò la sua fermentazione, che l’undecimo giorno, intanto che una tina ripiena di questa stessa uva, il cui volume era dodici volte più grande, aveva cessato di fermentare al quarto giorno: il calore non s’inalzò nella botte che al 17, ed arrivò al 25 nella tina. La natura e la qualità del vino che si vuol fare, l’uso cui si destina, devono indicare il partito da prendere. Se deve servire di bibita, non si deve operare che sopra piccole quantità, affine che per effetto dell’inalzamento di temperatura non si privi del suo aroma. Se è destinato a fare acqua-vite, la fermentazione dev’essere viva, onde decomporre completamente il mucoso zuccherino, e convertirlo in principio spiritoso. Se disperdendosi la parte acquosa, i principj zuccherino e dolce si trovano vicinissimi, la tina dev’essere molto più grande, acciò permetta l’introduzione di una parte di acqua, senza la quale il mosto restando fisso e viscoso non darà che un vino insipido, dolciastro e troppo liquoroso.

La natura della plaga, della coltivazione, delle stagioni, e dei climi sono cause tanto variabili, che [p. 92 modifica]non si può determinarne l’influenza sul mosto, i cui principj costituenti, che sono il mucoso dolce, il zuccherino, l’acqua, e il tartaro nello stato di acido, ci presentano ogni anno nelle loro proporzioni differenze sensibilissime. A spese di qualch’una di queste sostanze si stabilisce la fermentazione spiritosa, nella quale il mucoso zuccherino fa una parte tanto importante.

Per non avere ben apprezzata la differenza tra il mucoso dolce e il zuccherino, la pubblicazione delle sperienze del sig. Achard diede luogo in Francia ad una specie di vertigine di un nuovo genere, che la penuria del zucchero, in cui noi ci troviamo, non fa che accrescere.

Si confondeva talmente il sapor dolce col sapor zuccherino, che si à creduto non esistesse nella bietola-rossa, che una sola di queste sostanze, l’estrazione della quale sembrava tanto più facile a farsi, quanto che pareva vi esistesse in più grande quantità. Io aveva già conosciuto la piccola porzione di zucchero, che dà la bietola-rossa, allorchè l’Istituto pubblicò le sue sperienze, e dimostrò chiaramente l’errore in cui si era caduti, prendendo per zucchero quel mucoso dolce, che si trova in così grande abbondanza, e che lo inviluppa tanto bene da renderne la separazione difficilissima. In questa maniera svanirono in Francia quei progetti di zucchereria, per la quale compagnie già formate avevano scelti dei terreni, e fatti i fondi necessarj a questi diversi stabilimenti.

Ma questi saggi infruttuosi su questo rapporto, condussero cionnullostante ad utili risultati, contribuendo alla formazione di alcune grandi [p. 93 modifica]distillerie, nelle quali si converte in principio spiritoso tutto il mucoso zuccherino della bietola-rossa. Il sig. Proust pubblicò delle ricerche importantissime sul zucchero che si può avere dall’uva. Sebbene questo dotto non lo annuncj, che come zucchero brutto, trova cionnullostante, che può essere impiegato in maniera utilissima sotto il doppio rapporto di sostanza nutritizia, e di condimento. Come alimento potrà rendere alla gente di campagna, ai poveri, ai malati gli stessi servigi, che il miele, le confetture, i frutti secchi, col vantaggio di essere sempre a un prezzo assai inferiore di tutte queste sostanze. Come condimento può essere associato a tutte le preparazioni, che si vuol zuccherare; ne aumenta egli la quantità, e ne accresce il merito col sapore che aumenta l’appetito, e al quale la medicina à sempre attribuito una salutare influenza. Questa stessa composta (mossouade) di uva, dice il sig. Proust, potrà essere facilmente trasportata in tutti i paesi, che servirà a fare ogni sorta di vino. Le due sostanze zuccherine, che vi à trovate, gli sembrano assai analoghe a quelle del miele, perchè ambedue gli ànno somministrato e quel zucchero solido, che non rassomiglia a quello delle canne, nè per la sua dolcezza, nè per la sua cristallizzazione, e quel mucoso zuccherino, ch’è sempre in istato di siroppo, e non si à potuto pervenire mai a cristallizzarlo.

Molte persone preferiscono il sapore dolce del chasselas1 di Fontainebleau, che riguardano come pieno di zucchero a quello di peneau1 di [p. 94 modifica]Bourgogne; perchè il primo non darebbe che un risultato mediocre, intanto che si traggono dal secondo quei vini spiritosi, le cui qualità sono al disopra di ogni elogio. Cionnullostante la riunione del mucoso dolce, e del principio zuccherino in convenienti proporzioni è rigorosamente necessaria per procurare una buona fermentazione. Il primo serve di fermento, ed opera il cambiamento del secondo in principj spiritosi. Il mosto troppo acquoso, o troppo fisso non dà che una fermentazione lenta, e difficile. Il succo dell’uva, giunto a completa maturità, si trova allora in istato di necessaria liquidità, ed è il termine medio, le condizioni del quale sono le più favorevoli. Se il mosto è troppo acquoso, gli si leva la porzione di acqua soprabbondante, facendolo svaporare, e cuocere, o versando dietro il metodo del sig. Maupin delle caldaje bollenti di succo sulla tina ripiena. In alcuni paesi si libera dall’umidità, che si trova nel mosto, col buon gesso che si getta nel vendemmiato. In altri si fa seccare l’uva; questa ultima operazione assai minuta, lo scopo della quale è di riunire il succo, non può impiegarsi che nei paesi, dove si fabbricano vini da dessert.

Una delle prime sostanze sviluppata nell’uva, sembra essere il tartaro, la cui quantità si minora in ragione della maturazione del frutto. Il marchese di Boullion à fatte molte sperienze per assicurarsi dell’azione dello zucchero, e del tartaro, che dietro i suoi risultati facilitano la formazione dello spirito di vino; e sebbene Fabroni nella sua opera sopra l’arte di fare il vino, coronata dall’accademia di Firenze, provi che qualcuna delle [p. 95 modifica]conclusioni del M. di Boullion è falsa, ammette niente meno, con questo chimico, che del cremore di tartaro, e dello zucchero aggiunto al mosto, danno dopo la fermentazione, tre quarti più di acqua-vite, che non avrebbe dato lo stesso vino senza l’aggiunta. Fabroni dimostra inoltre, che il solo acido del cremore di tartaro opera la conversione dello zucchero in spirito di vino, e che le proporzioni di queste due sostanze devono essere esatte, perchè possano distruggersi interamente. Così per avere una gran quantità di parti spiritose, se il zucchero, o il tartaro domina, si aggiungerà in ragione inversa l’una, o l’altra delle due sostanze.

Il celebre, ed immortale Lavoisier, la cui teoria sulla fermentazione vinosa è da lungo tempo adottata, aveva conchiuso, dietro le sue sperienze, che lo zucchero è distrutto quasi interamente colla formazione di una nuova quantità di acqua, e che fermentando da sè solo, dava luogo a tutti i nuovi prodotti, che sono formati durante questa operazione.

Ma Trenard ripetendo colla sagacità e precisione che caratterizzano le sue ricerche tutto ciò ch’era stato fatto prima di lui su questo oggetto, à provato, che tra i principj immediati noti, vegetabili od animali, alcuno non è suscettibile di far fermentare lo zucchero; che il succo di tutti i vegetabili, fermentando s’intorbida, o depone una materia analoga alla lavatura di birra, e ch’era il solo corpo capace di far entrare il principio zuccherino in fermentazione, tanto più che questa materia si depone da tutti i liquidi sottomessi ad una tale azione. Per provare che la lavatura era [p. 96 modifica]solubile nello zucchero, formò da queste due sostanze una pasta, che lasciò per due giorni in quello stato: dopo aggiungendo dell’acqua e filtrando, ottenne un liquore, che fermentando appoco appoco, s’intorbidò, e depose della lavatura. Dopo ciò non può restare più alcun dubbio sulla sua esistenza nei vegetabili, e sulla natura della deposizione, che si forma ogni volta, ch’entrano in fermentazione. Il travaglio di Thenard sembra appoggiato ad esperienze sì esatte, e concludenti, che non si può dubitare, che la teoria, che propone sopra la fermentazione, sarà presto generalmente adottata.

Note

  1. 1,0 1,1 Sono specie varie di uva. — Il Trad.