Come andò a finire il Pulcino/La morte di Cocò
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' — 240 — Aspettiamo e speriamo. La vita de’ polli, come quella degli uomini, è tutta in queste due parole. (Qui finisce il manoscritto del « Pulcino » e la narrazione è ripresa dalla persona che ha scritto V introduzione di questo libro). XIV. La morte di Cocò. La signora Baccini giunta alla fine della pietosa narrazione détte in uno scoppio di pianto. — Oli ! ben volentieri — esclamò — farò pago il tuo desiderio, povero « Pulcino » che ho tanto amato e per cui mi sorride al pensiero il ricòrdo di giorni tanto più belli di questi! Anch’io come te, amico, ho perduto il padre e la madre : anch’ io ho avuto dispiaceri che, se non rassomigliano perfettamente ai tuoi, non se ne discostano poi troppo ! Ma ora — aggiunse vestendosi per uscire — bo bisogno di tornare a vederti, Ooc ò per — 241 — raccontarti l’impressione ricevuta dal tuo pietoso racconto.... — In quel mentre fu bussato alla porta. — Avanti ! — fece la signora. Era la cameriera che le presentava una lettera. — L’ha portata in questo momento un giovane — disse la donna. E uscì. La, signora Ida s’affrettò a dissuggellarla, e il suo sguardo corse alla firma : Carolina Gen- narelli. « Gentile signora, — scriveva la mamma di Masino. — Una circostanza imprevi sta ci — 242 — obbliga ad anticipare la nostra partenza per il Mugello. Non potrò avere il tempo di venire a presentarle i miei ossequi prima di partire; ma nonostante mi prendo la libertà di rivolgerle una preghiera a nome di tre famiglie riunite: della mia, di quella di Alberto e, se ne ricorda?, di quella della Marietta. Tutti desidererebbero di averla per qualche giorno a Vespignano. Venga, cara signora, a veder la patria del suo “ Pulcino. ” Egli stesso parte con noi stasera. Accolga gli omaggi di Masino, e mi abbia sempre per sua « devotissima, ecc. » Quella simpatica gita avrebbe molto sorriso alla fantasia della signora Baccini: ma da quando in qua, bambini miei, in questo mondo benedetto, si può far sempre quel che si desidera ? La signora era sovraccarica di occupazioni, e non poteva in alcun modo aderire al grazioso invito. Quindi scrisse subito alla famiglia Gennarelli per scusarsi, e pochi giorni dopo ricevè la seguente lettera di Masino : let— 243 — tera importante, poiché con essa hanno fine le Memorie d’un Pulcino. « Gentile signora, « Come già ebbe a scriverle la mamma, partimmo per Vespignano ai primi della decorsa settimana ; e con noi venne, naturalmente il povero Oocò. Per un favore speciale ottenuto dal Capostazione potemmo tenerlo nella nostra stessa carrozza. D’altra parte, accomodato coni’ era in una soffice panierina, non dava noia a nessuno. « Poverino ! Pareva che capisse qual mèta aveva il viaggio, giacché di tanto in tanto allungava l’esile collo e diceva al cielo, agli alberi e a’ pali telegrafici che gli sfilavano rapidamente davanti: chicchirichì! oh! chicchirichì !... « Quando dopo essere scesi dal treno prendemmo la diligenza che doveva condurci proprio alla villa, la sua allegrezza si manifestò in mille modi : ora prendendo dalle mie labbra le midolline di pane che via via gli porgevo, ora alzandosi diritto e sporgendosi a dirit tura con — 244 — tutta la persona fuori della carrozza: tal’altra agitando le ali alla vista d’un caseggiato rustico, d’una chioccia circondata dai suoi pulcini. « Pochi minuti di strada ci separavano ancora dalla nostra villetta, quando udimmo un coro di voci festose e la nostra vettura fu letteralmente circondata da un nuvolo di amici: Alberto e suo padre, la signora Clotilde, Giampaolo, Geppone, la Tonia e la Marietta, una bellissima ragazza di diciotto o vent’ anni, che porse a mia madre un grosso mazzo di fiori. Era già prevenuta del ritorno di Cocò: quindi se lo prese fra le braccia senza mostrare gran — 245 — sorpresa ma non senza una grande tenerezza. Quel povero galletto spelacchiato le riconduceva al pensiero i lieti giorni della sua infanzia, quando si divertiva ad annodargli un nastrino color di rosa al collo e a farlo guardare alla spera « Dopo una settimana del mio arrivo. « Signora mia, debbo darle la triste notizia che Oocò è morto. Dapprima, nel rivedere il suo paesetto, il podere nativo e l’antico pollaio, era parso come ringiovanito e mai più giocondi chicchirichì gli erano usciti dal gracile collo. Ma cessata a poco a poco quella specie di esaltazione è caduto in una certa sonnolenza da cui nou sono bastati a riscoterlo nè le cure amorose della Marietta nè certe gocce di certosino che essa gli ha voluto in tutti i modi versare nella gola. • « È morto serenamente, senza scosse, senza lamenti, nel luogo stesso ove sua madre, molti anni prima gli aveva detto addio per l’ultima volta. Allora l’ambizioso “Pulcino” partiva, — 246 — tutto baldanza per la città tumultuosa, dalla quale si riprometteva Dio sa che piaceri e che trionfi. Ora se n’è andato per sempre in un luogo di silenzio, ove è da credersi che anche le povere bestie che molto hanno amato e sofferto quaggiù, troveranno quel che invano hanno chiesto agli uomini e alla vita: la pace. »