LVIII. — Il principe

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LVII LIX

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CAPITOLO LVIII.

IL PRINCIPE T...

Nei bei tempi del diritto della coscia1 — i principi non avevano bisogno di correre dietro ad una forosetta per implorarne il favore — e ben fortunate eran quelle cui capitava di poter fissare per un momento lo sguardo de’ loro sultani. —

Oggi le cose corrono alquanto diverse: — benchè vi siano dei principi con tanta autorità quanta ne avevano gli antichi — anzi molti con più — perchè il loro despotismo si copre con maschera liberale — pure ne vediamo nei giorni che corrono parecchi conformarsi a più moderate pretensioni — ed aspirare anche all’adorazione di qualche divinità plebea. — Così la pensava il nostro povero principe T... obbligato a rimanere [p. 346 modifica] lontano da’ suoi beni — e bersaglio a tutta la rabbia pretina — tanto più accanita — in quanto che giovinetto lo avevano iniziato ai segreti più intimi della Corte di Roma.

Giovane ancora ed avvenente della persona — il principe prevenuto della reputazione meritamente stabilita delle venete bellezze — non mancava di certo prurito, di certo desiderio di voler fare una conquista. — Dobbiamo a giustificazione del giovane principe notare, che quel suo prurito è pure comune anche ai vecchi, il che sia detto senza mancar loro di rispetto. —

Egli trovavasi dunque sul vestibolo del palazzo Zecchin — ammirando le graziose visitatici — che per pura curiosità donnesca — giungevano a vedere il solitario.

In mezzo alla calca dei saloni — era arduo poter contemplare le fisonomie — e massime il portamento della persona — ma da quella parte del vestibolo sulla prima gradinata — ove s’era collocato il romano — l’osservazione riusciva più facile ed abbracciava quelle che entravano e quelle che passavano senza entrare.

Dall’interna folla, sguizza traversando il sottoportico del Cappello una di quelle figure — che basta vedere una volta, — perchè vi [p. 347 modifica] restino impresse nell’anima tutta la vita — Le ciglia., gli occhi, i capegli d’ebano il più pulito e brillante — adornavano un volto che avrebbe potato servire a Tiziano per dipingere le sue Veneri famose. — Il tipo di quella donna era veramente l’ideale della veneta bellezza.

Il principe — sino allora impassibile — dinanzi al gran numero di passeggieri — che formicolavano in un andirivieni continuo — fu colpito da uno sguardo dell’incantatrice — la quale sembrava adocchiare ogni cosa, ogni persona — senza fissarne alcuna. — Colpito da questa apparizione, il principe precipitossi sui passi della sconosciuta — i cui piedi sfioravano il suolo, in quella guisa che il Colibrì2 sfiora i fiori eterni della zona torrida. — Precipitossi sui suoi passi — ma altro era il volere — altro il potere. — La graziosa e bellissima fanciulla — o più svelta — o più assuefatta a scivolare fra la folla nelle calluzze della sua città — era già seduta in fondo alla sua gondola, e già aveva comandato al gondoliere di andare, quando il T... giunse alla riva del canale. [p. 348 modifica] Che fare? — Precipitarsi nell’onde, ed aggrapparsi all’orlo della barca, come un forsennato — chiedendo per pietà d’esservi ammesso — fu la prima e matta sua idea. — Un bagno di marzo; nch’acqua fresca della laguna — poco spaventava il nostro affascinato — ma presentarsi alla donna de’ suoi pensieri — così grondante, e forse senza cappello in testa — non è cosa che soddisfaccia nessuno — e meno poi un principe. — Egli dunque si attenne al più savio consiglio — imbarcossi in altra gondola e così pensò inseguire la sconosciuta.

«Voga» — egli disse al gondoliere — «e se raggiungi quella gondola là — guadagnerai una buona mancia.» —

«Lasci fare» rispose il gondoliere — quindi «Tita, comio»3 gridò al compagno di prora — e rialzando su ambe le braccia la camicia rossa (poichè molti gondolieri la portavano in quei giorni per onorare l’ospite di Venezia) si accinse al maneggio del remo — con quella grazia e vigore non superati da altra gente marinaresca del mondo.

«Voga, voga — elegante gondola! — [p. 349 modifica] segui e raggiungi la scivolante fuggitiva — che porta seco l’anima mia! E perchè non sarà essa l’anima mia quella fanciulla leggiadra — quella bellezza adriaca — che io sognai mille volte — quando le lagune erano schiave come lo è la mia Roma?»

«Perchè? — perchè non la vidi che un solo istante? ma essa mi saettò con quel suo occhio di fiamma che mi vinse, e mi fe’ suo per l’eternità? Però non feriva essa colle sue luci tutti i circostanti egualmente! Non spargeva essa un’atmosfera di balsamo — che se inebbriò me — doveva anche inebbriare gli altri? —

«È questo poi amore? — E questo quel passatempo — che i mortali succhiano come l’arancia — e scaraventano poi nel letamajo? — oppure è quell’amore celeste! — sublime! che avvicina la creatura al creatore — che trasforma i disagi di questa misera vita... i pericoli... la morte — in delizie indescrivibili?

«Potente della terra — vieni a toccarmi questa mia donna — ch’io amo d’amore che non posso descrivere. — Vieni col tuo esercito di sgherri — fossero essi mille volte più numerosi — Vieni! e tocca soltanto il lembo della sua veste — questo [p. 350 modifica]pugnale s’immergerà nel codardo tuo seno — come la lingua del Coral — la più velenosa delle americane serpi — nelle latebre dell’infame tua vita! —

«Voga! Voga!» gridava ancora il principe — impaziente di raggiungere il fuggente tesoro. — «Voga — e se non basta un marengo4 ne avrai dieci. — Voga!

«E se fosse una plebea?» ruminava ancora nel suo soliloquio il principe. — Che plebea d’Egitto! Ha forse Dio creato dei plebei — e dei grandi? Non sono la malizia e la prepotenza che imposero alle moltitudini — i despoti ed i tiranni? —

«E non era Gesù un plebeo?...

«E se quella fanciulla — sì bella! sì affascinante! fosse contaminata! fosse una di quelle!.... Oh! profano al celeste amore — non pronunziare sacrilegj!»

«Come potrebbe il volto di una simile donna — arieggiare l’angelico viso della mia sovrana?»

Ed era precisamente plebea l’Annetta — gli scalini della modesta sua casa — ove approdò la gondola — ben lo accennavano. — [p. 351 modifica]

Non atrio — non peristilio con colonnato — ma semplici scalinate al di dentro e al di fuori. — Non tappeti sulle scale o ornamenti di ricchi vasi e d’esotici fiori. — Alcuni vasi di fiori potevano scorgersi sulle finestre — perchè anche Annetta amava i fiori quanto una principessa — ma piccoli esemplari — non dirò miseri — perchè cari come erano alla giovinetta — essi valevano un tesoro. —

Una donna attempata — che di giorno avrebbe attratto l’attenzione di tutti — tanto era l’ansia espressa sulla sua fisonomia — avea aspettato sin a quell’ora — circa le undici della sera — la sua amatissima Annetta — che curiosetta avea voluto anch’essa vedere da vicino l’uomo del popolo — e che non potendo essere accompagnata da Mario unico fratello — assente — l’aveva la madre affidata a Nane, il gondoliere di casa. —

Quando Rosa si fu accertata che — era la propria gondola che giungeva — lasciò il balcone ove era stata spiando con ansia indescrivibile — e un con lume in mano scese rapidamente la scala a ricevere l’adorata figliuola. —

Erano nelle braccia l’una dell’altra — come se un secolo le avesse divise — quando [p. 352 modifica] il principe sopravvenne — e profitando della porta rimasta aperta — e della distrazione delle due donne — via — dentro anche lui — coll’audacia di un soldato in paese di conquista. —

Sciolte dall’affettuoso amplesso — mentre la madre con dolce rimprovero cominciava: «Annetta? ma perchè sei rimasta tanto fuori ì» — ambedue misero un grido di sorpresa vedendosi in presenza di uno straniero. —

Il principe — avventurato in un’impresa così ardita — comprese che doveva mantenersi in corrispondente contegno — quindi avanzandosi verso la giovine, che al chiarore della lucerna le sembrò ancora più bella di quanto se l’aveva figurata — volle prenderle la mano per baciarla, e per ispirarsi ad alcune parole convenevoli di discolpa e di ammirazione. —

Ma una mano ferrea, in quell’istante stesso., colto di dietro il pugno del principe — con una scossa che fece traballare l’intera persona — lo distaccò dalla donna. —

Da una terza gondola approdata poco dopo le prime — era disceso svelto e risoluto un nuovo e giovine attore su questa interessante scena. —

Alto di statura, nerboruto e bellissimo della [p. 353 modifica] persona, il nuovo arrivato — vestiva la camicia rossa e sulla parte sinistra dell’ampio suo petto portava il distintivo dei prodi — la medaglia dei mille. —

Morosini era l’amante riamato di Annetta — e sul volto della fanciulla l’osservatore attento — avrebbe letto un mondo di espansioni affettuose alla vista del suo diletto — espansioni alle quali tenne dietro subitaneo timore — quando la voce di lui maschia e sonora, rivolta al principe lo incalzava con queste parole:

«Credo vi siate ingannato, signor damerino — non troverete qui ciò che cercate. — Vi prego dunque di rifar la via — e andare altrove alla cerca. —»

La scossa ricevuta — e le austere parole che la seguirono — sollevarono nel principe un certo orgasmo di dispetto — e poichè alla indignazione univa il coraggio — rispose sullo stesso tuono al suo interlocutore. —

«Non venni qui ad insultare, signor insolente — ma ad ossequiare — e del vostro insulto — se siete gentiluomo, me ne darete ragione. — Eccovi la mia carta — e sarò all’Albergo Vittoria ai vostri ordini sino al meriggio di domani. —»

«Io non vi lascierò aspettar tanto,» fu la risposta del Morosini. —

  1. Diritto dei signori feudali, come già dicemmo, altrimenti chiamato diritto della prima notte, che gli sposi vassalli dovevano subire, o redimere a danaro, a beneplaciti dei signore.
  2. Il più piccolo degli uccelli-variopinto — che succhia il polline dei fiori come l’ape. — Molti ve ne sono nell’America tropicale.
  3. Comio — gomito — forza Giovanni Battista!
  4. In questa fucina di servilismo che si chiama Italia — ad ogni passo si devono ricordare le glorie dei tiranni. —