LVII. — Morte ai preti

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LVI LVIII

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CAPITOLO LVII.

MORTE AI PRETI.

Morte ai preti! — Morte a nessuno! gridava il solitario dall’alto del balcone — alle moltitudini — rispondendo alla terribile loro esclamazione!

Morte a nessuno! «Eppure, chi è più meritevole di morte che la setta malvagia la quale ha fatto dell’Italia — un paese di morti1 un cimitero? Beccaria! le tue dottrine sono sante! io ripugno dal sangue! ma non so se l’Italia potrà liberarsi da’ suoi tiranni dell’anima e del corpo — senza distruggerne, senza annientarne sino l’ultimo rampollo!»

Queste considerazioni passavano per la mente dell’uomo del popolo — e lo distraevano. —

Frattanto quella parte di popolo che non avea potuto udire la voce che partiva dal balcone Zecchin — ma solo il grido di morte! che mille infocate voci avevano esclamato [p. 342 modifica] — quella parte di popolo dico — più distante dal solitario, ma più vicina al palazzo principesco del Patriarca — s’avanzava come l’onda d’un torrente che precipita dalle montagne — ed assaltava il vestibolo del palazzo suddetto — rovesciando quanti ostacoli si opponevano alla sua furia. —

In pochi minuti ogni salone, ogni stanza del maestoso palazzo erano invasi — e per le finestre si vedevano svolazzare tutti que’ simulacri d’idolatria con cui i preti sì spudoratamente beffeggiano le ingannate moltitudini.

Molti artisti innamorati del bello avrebbero potuto gridare allo scandalo — al sacrilegio! in quel rovinio d’ogni aggetto d’arte — e per vero dei ben preziosi capolavori — sotto forme di santi o di madonne andaron travolti ed in pezzi — nel generale esterminio. —

Tra le astuzie dei sardanapali pretini — ricchissimi com’essi furoni sempre mercè la stupidirà dei fedeli — non ultima fu quella d’impiegare gli artisti più eminenti nell’illustrazione delle loro favole. — Quindi i Michelangeli ed i Raffaelli d’ogni età, furon da loro assoldati — ed il popolo anche persuaso della vanità delle proprie credenze, e dell’impostura dei leviti di Roma — rispetta ancora [p. 343 modifica] i simulacri della sua prostituzione — perchè sono capi d’opera di molto pregio. —

Ma il primo capo d’opera d’un popolo — non è la libertà? non è la dignità nazionale? E tutti quei portenti dell’arte, — benchè portenti — che gli rammentano il suo servaggio e la sua degradazione — oh! — non sarebbe meglio che ei li mandasse all’inferno? —

Comunque fossero — opere preziose o volgari — il popolo rovesciava, e precipitava sul lastrico ogni cosa, e tutto mandava in frantumi, —

Ed il Patriarca!? — guai a lui se fosse caduto nelle mani della turba furente! — Ma la pelle è cara ai discendenti degli Apostoli! ai campioni della fede! — Essi edificarono veramente la loro baracca sul martirio degli antichi seguaci di Gesù e su quello del nazzareno — ma di martirio — questi grassi epuloni, non ne vogliono sapere — nemmen per sogno!

L’Eminenza sua — al primo ruggito della tempesta popolare — se l’era svignata — e per un uscio segreto avea guadagnato una delle sue gondole — e con essa si era posto al sicuro. —

Intanto la voce del solitario — che [p. 344 modifica] esclamava: «Morte a nessuno!» era ripetuta nella moltitudine — e giungeva fino agli assalitori del Patriarcato. — Quella voce amata e rispettata dal popolo, calmò il fremito delle turbe, ed in pochi momenti la tranquillità venne interamente ristabilita.

  1. Lamartine.