Catullo e Lesbia/Annotazioni/4. A Lesbia - V Ad Lesbiam
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V.
Pag. 162. Vivamus, mea Lesbia, atque amemus.
Adotta la massima degli Epicurei, che tutta la vita ponevano nel difetto di cure e nella pienezza della voluttà. Onde Cicerone (De nat. Deor., I), riportando le parole d’Epicuro, scriveva: Nos autem beatam vitam et in animi securitate et in omni vacatione munerum ponimus.
Ma qual beatitudine senza l’amore?
Miserum est neque amori dare ludum, |
E qual voluttà più grande dell’amore? Voluptates omnes amore imbecillores sunt, come dice Agatone nel Convito.
E si può vivere senza amare?
Cras amet qui nunquam amavit, quisque amavit cras amet. |
Amiamo dunque finchè c’è concesso, dum fata sinunt; per dirla con Tibullo:
Interea, dum fata sinunt, jungamus amores; |
E Properzio, quasi con le stesse parole:
Dum nos fata sinunt, oculos satiemus amore. |
Si contenta però di molto meno; saziar gli occhi, e niente altro. Ma l’amore incomincia dagli occhi: ex aspectu nascitur amor.
Amuri, amuri accumenzi di l’occhi, |
E il Poliziano:
O bello Dio, che al cor per gli occhi spiri |
Amiamo; la vita è tanto breve!
Onde Marziale ha ragione:
Non est, crede, sapientis dicere: vivam. |
E il casto Virgilio:
Pone merum et talos; pereat qui crastina curet, |
Ah! genus imprudens hominum, quid gaudia differs? |
Cum sciamus, dice Trimalcione, nos morituros esse, guare non vivamus?
Per i Romani dell’impero vivere non è soltanto vivere, ma goder della vita: vivere et frui anima, come direbbe Sallustio. Dum vivimus vivamus, scrisse un amico di Petronio sulla tomba della sua ganza. Vitula si chiamò la Dea dell’allegrezza e dei piaceri, non già da vitulus, come crede Festo e Varrone, ma, secondo Nonio, da vita, o piuttosto da vitulor, che vale allegrarsi, darsi bel tempo, godere, vivere a tavola, o in letto, come spiega il Dufour, con la mollezza d’una vitula o giovenca sdraiata sull’erba dei campi.
Ma codesta è vita da giovani. Anacreonte cantava:
ἐγὼ δἐ τὰς κόμας μέν |
Non tutti i vecchi hanno lo spirito d’Anacreonte; la loro severità proviene spesso dal dispetto e dall’impotenza. Catullo però fa molto bene a consigliar l’amica a non far caso dei susurri e delle rampogne dei vecchi.
Pag. 162. Unius æstimemm assis;.
ch’è quanto dire: teniamoli in conto d’un centesimino bacato, per dirla alla fiorentina. Quanto all’origine e alle vicende dell’asse si può legger Varrone, 4, L.L. 36; Plinio, lib. XXXIII; Ulpiano, D., 28, 5, 48; Columella, V, 1, 3; Vitruvio, 111,1.
Pag. 162. Soles occidere et redire possunt.
Tangit Epicureorum opinionem, qui putarunt multos fieri et nasci soles. Plinius etiam multos soles visos fuisse tradit. Così annota il Partenio.
Ibidem. Nobis, cum semel occidit brevis lux.
Breve luce, cioè la vita. Virgilio:
Quæ lucis miseris tam dira cupido? |
e altrove:
Quo magis inceptum peragat lucemque relinquat, |
Is genti mos dirus erat, patriumque petebant |
Similmente Plauto:
Ecquid agis? remorare? lumen lingue. |
E come ha detto luce la vita, così chiama notte la morte.
Ibidem. Nox est perpetua una dormienda.
conformandosi alla sentenza espressa da Platone nell’Apologia, e ad Orfeo nell’Inno alla morte:
Τὸν μακρὸν ζωοῖσι φέρων αὶώνιον ὕπνον |
Così pure Orazio:
Sed omnes una manet nox; |
Nox tibi longa venit nec reditura dies; |
e ricorda il verso di Dante:
La morte, si sa, era creduta consanguinea del sonno; e fu opinione volgare che gli uomini fossero tratti a morte dalle stesse cagioni che ci traggono al sonno. Onde Lucrezio:
Tu quidem ut es lecto sopitus, sic eris ævi |
Anche nelle sacre carte la Morte è chiamata col nome di sonno o di quiete; e ferreo sonno, χαλκεον ὖπνον, la chiamarono i Greci. Onde Valerio Flacco:
En frigidus orbes |
E cimiteri son detti i sepolcreti, con greco vocabolo; perchè i Cristiani hanno fede che dopo morte non si faccia che dormire. Beati loro, che non dividono i dubbii del povero Amleto!
To die, to sleep; |